La paralisi agitante
La condizione
dell’anziano (seconda parte) / il Parkinson
Tremore, rigidità,
disturbi dell’equilibrio, postura curva, disfunzioni sessuali, disturbi della
pressione arteriosa, dell’olfatto, del sonno, depressione, ansia, apatia,
disturbi cognitivi e talvolta psicotici. La «paralisi agitante» colpisce il 2%
della popolazione sopra i 65 anni, e per i prossimi 15 anni è previsto un
raddoppio del numero di malati. Ricerca scientifica e assistenza ai malati e
alle loro famiglie sono le priorità.
La malattia di Parkinson è senz’altro
la patologia neurodegenerativa più diffusa al mondo dopo l’Alzheimer (crf.
Mc dicembre 2014). Nei paesi industrializzati, la prevalenza di questa malattia
è di circa lo 0,3%. Secondo uno studio di R. Dorsey, neurologo dell’Università
di Rochester (Usa), apparso su «Neurology», il numero dei malati di Parkinson
raddoppierà con la prossima generazione nei 15 paesi oggetto della ricerca
(Francia, Germania, Spagna, Italia, Regno unito, Cina, India, Indonesia, Usa,
Brasile, Pakistan, Bangladesh, Nigeria, Giappone, Russia), passando dai 4,1
milioni attuali a 8,7 milioni nel 2030, di cui 5 nella sola Cina. Secondo lo
studio di «Neurology», la patologia aumenterà, più che negli Usa e in Europa,
negli altri paesi, soprattutto in quelli in via di sviluppo, dove il Parkinson
non è ancora considerato un problema rilevante e le infrastrutture per la
diagnosi e la cura sono spesso molto limitate. Questi paesi focalizzano le proprie
risorse maggiormente sulle malattie infettive, ma in un futuro non troppo
lontano dovranno fare fronte a quelle croniche non infettive, come il
Parkinson, che rappresentano un peso maggiore in termini di costi economici e
sociali.
In Italia attualmente i pazienti in cura
sono circa 230.000. Si stima che la spesa annuale italiana per questa patologia
sia di circa 2,4 miliardi di Euro. Buona parte di questa cifra viene spesa in
ricoveri ospedalieri e case di cura, mentre la spesa relativa ai farmaci è
decisamente inferiore. A queste voci vanno poi aggiunti i costi indiretti della
malattia, come la riduzione della produttività dei pazienti e, spesso, dei
familiari che li assistono, e i costi dei vari ausili e della riabilitazione
per superare le difficoltà motorie e di linguaggio, che la malattia comporta.
Nell’immaginario collettivo, la malattia di
Parkinson è legata soprattutto a due personaggi pubblici come papa Giovanni
Paolo II e Muhammad Ali, alias Cassius Clay. Per il pugile si è ipotizzato un
parkinsonismo secondario, dovuto cioè ai colpi ricevuti nell’attività sportiva.
Un altro malato illustre fu il cardinale Carlo Maria Martini, scomparso nel
2012. Anche nel mondo dello spettacolo si contano malati di Parkinson come
l’attore canadese Michael J. Fox, che ha aperto una fondazione negli Usa con lo
scopo di sviluppare una cura. Negli ultimi anni della sua vita, fu malato di
Parkinson anche Adolf Hitler.
La malattia di Parkinson prende il nome da
James Parkinson, il chirurgo londinese che ne descrisse i sintomi nel Trattato
sulla paralisi agitante del 1817. Sono state trovate descrizioni di sintomi
simili già in antichi scritti di medicina indiana e cinese, in un papiro
egizio, nella Bibbia (si veda ad esempio Qoelet 12,3-7 e Lc 5,17-26) e negli
scritti di Galeno (medico greco del II secolo d.C.).
Questa malattia è tipica dell’età anziana,
poiché esordisce mediamente intorno ai 60 anni. Tuttavia nel 5-10% dei casi,
definiti a esordio giovanile, i sintomi compaiono già tra i 20 e i 50 anni. La
sua incidenza è di 8-18 nuovi casi all’anno su 100.000 persone, e colpisce
circa il 2% della popolazione sopra i 60 anni. La percentuale sale al 3-5%
oltre gli 85 anni. Un malato di Parkinson rischia di soffrire di demenza da 2 a
6 volte in più della popolazione generale, e la prevalenza della demenza
aumenta con il decorso della malattia. Ciò riduce notevolmente la qualità e
l’aspettativa di vita. Il tasso di mortalità dei parkinsoniani è circa il
doppio di quello delle persone non affette. Inoltre, se la cura non viene
intrapresa ai primi sintomi, il paziente rischia di venire immobilizzato dal
morbo nell’arco di una decina di anni.
I sintomi della malattia di Parkinson
possono essere distinti tra motori e non motori. Non sono presenti in tutti i
pazienti allo stesso modo, e nel singolo paziente possono presentarsi
progressivamente nel corso degli anni, ma in modo molto diverso a seconda che
la cura sia iniziata più o meno precocemente, per cui è importante cogliere i
primi segnali della malattia per effettuare quanto prima una corretta diagnosi.
Talvolta purtroppo i sintomi del Parkinson non vengono immediatamente
riconosciuti, perché si manifestano in maniera incostante, e la progressione
della malattia è tipicamente lenta. Spesso sono i familiari del malato ad
accorgersi per primi dei cambiamenti.
Tra i principali sintomi motori del
Parkinson ci sono il tremore a riposo, la rigidità, la bradicinesia
(lentezza dei movimenti), i disturbi dell’equilibrio e del cammino, la postura
curva, l’alterazione della voce, le difficoltà di deglutizione
con conseguente scialorrea (eccessiva presenza di saliva in bocca).
Generalmente il tremore a riposo, che peraltro non è comune a tutti i pazienti,
interessa unilateralmente una mano o un piede, oppure la mandibola. Qualche
paziente talvolta riferisce di percepire un «tremore interno» non
visibile esteamente.
La rigidità è la conseguenza di un aumento
involontario del tono muscolare, che può essere un sintomo di esordio della
malattia. Colpisce inizialmente un lato del corpo e può interessare gli arti,
il collo e il tronco. È tipica la riduzione dell’oscillazione pendolare delle
braccia durante il cammino. Può essere presente anche acinesia
(difficoltà a iniziare movimenti spontanei). Acinesia e bradicinesia
interferiscono pesantemente con la vita quotidiana, rendendo difficili (se non
impossibili) attività come lavarsi, vestirsi, camminare, spostarsi, girarsi nel
letto. I movimenti fini diventano sempre più difficili, per cui ne risultano
alterate la grafia, che diventa più piccola, e l’espressione del volto
(ipomimia).
I disturbi dell’equilibrio compaiono più
tardivamente: per una riduzione dei riflessi di raddrizzamento, il paziente non
è capace di correggere eventuali squilibri, ad esempio mentre cammina o cerca
di cambiare direzione, rischiando cadute e fratture. Si stima che il 40% dei
ricoveri di pazienti con Parkinson sia conseguente alle cadute. Poiché questo
sintomo non risponde alla terapia dopaminergica, può essere di grande aiuto la
fisiochinesiterapia.
I disturbi del cammino si manifestano con un
ridotto movimento pendolare delle braccia, con un tronco flesso in avanti e con
un passo più breve. Talvolta è presente la «festinazione», cioè la tendenza a
trascinare i piedi a terra e ad accelerare il passo, con difficoltà ad
arrestarsi. Inoltre, durante il cammino, possono verificarsi episodi di blocco
motorio, anch’esso possibile causa di cadute. Oltre alla postura flessa del
tronco, talvolta sono flesse anche le ginocchia.
Le difficoltà di movimento che interessano i
muscoli della gola causano problemi di deglutizione (disfagia) e di fonazione,
rendendo la voce via via più flebile o mancante di tonalità e di modulazione.
Talvolta il paziente tende a ripetere le sillabe, ad accelerare l’emissione dei
suoni e a «mangiarsi» le parole.
Oltre ai sintomi motori, nella malattia di
Parkinson, a causa di alterazioni del sistema nervoso autonomo, insorgono anche
sintomi non motori che possono esordire anni prima rispetto a quelli motori e
peggiorare nella fase avanzata. Tra essi ci sono la stipsi
(stitichezza), i disturbi urinari, le disfunzioni sessuali, i disturbi
della pressione arteriosa, alcuni problemi cutanei, i disturbi
dell’olfatto, quelli del sonno, quelli dell’umore, tra cui depressione,
ansia, apatia, i disturbi comportamentali ossessivi-compulsivi, i disturbi
cognitivi e talvolta i sintomi psicotici.
La stipsi è dovuta a un rallentamento della
funzionalità gastro-intestinale.
I disturbi urinari generalmente comportano
un aumento della frequenza minzionale, cioè la necessità di urinare spesso.
Possono esserci anche ritardo nella minzione o lentezza nello svuotamento della
vescica.
Il desiderio sessuale può essere ridotto o
aumentato sia per motivi psicologici, che per effetti farmacologici.
Possono esserci alterazioni della pressione
arteriosa con episodi di ipotensione durante la stazione eretta e di
ipertensione durante la posizione sdraiata. Il cambio di posizione
sdraiato/seduto può causare caduta pressoria.
Possono esserci molteplici problemi cutanei
come cute secca o seborroica (grassa), ridotta sudorazione o iperidrosi
(sudorazione profusa).
Tra i primi sintomi del Parkinson possono
esserci riduzione del senso dell’olfatto e del gusto, per cui improvvisamente
viene meno il piacere di mangiare determinati cibi o di sentire gli odori.
I disturbi del sonno possono interessare
fino al 70% dei pazienti, si manifestano sia all’inizio della malattia, che più
avanti nel tempo, e possono essere determinati tanto dalla patologia, che dai
farmaci utilizzati. Tra questi disturbi vi sono l’insonnia, l’eccessiva
sonnolenza diua indipendente dall’insonnia nottua, il disturbo
comportamentale nella fase Rem del sonno (mentre in essa normalmente si è
rilassati, i malati di Parkinson si muovono e sembrano interagire con i sogni),
la sindrome delle gambe senza riposo (che compare e s’intensifica nelle ore
serali e nottue con una continua necessità di muovere le gambe).
La depressione è molto frequente nei malati
di Parkinson, sia in fase iniziale, che avanzata, e può manifestarsi con
alterazioni dell’umore, affaticamento, disturbi del sonno, modificazioni
dell’appetito e disturbi della memoria. Altrettanto frequente è la presenza di
ansia, paura o preoccupazione. Spesso l’ansia è associata a sintomi vegetativi,
somatici e cognitivi, e in particolare alle fasi di blocco motorio.
Spesso il paziente si presenta apatico, cioè
presenta indifferenza emotiva e mancanza di volontà a intraprendere qualsiasi
attività.
Sotto l’effetto dei farmaci dopaminergici,
in alcuni pazienti possono essere presenti alterazioni comportamentali come la
ricerca ossessiva di piacere e gratificazione personale, l’assunzione smodata
di cibo, il gioco d’azzardo, l’ipersessualità, lo shopping compulsivo o la
dipendenza da internet.
In tutte le fasi della malattia, ma
soprattutto nello stadio avanzato e negli anziani, possono manifestarsi
disturbi cognitivi che coinvolgono l’attenzione, le capacità di visualizzazione
spaziale e le funzioni esecutive, cioè la capacità di pianificare e cambiare
strategia.
In rari casi possono essere presenti sintomi
psicotici come deliri, allucinazioni e affaticamento, riferito come mancanza di
forza e senso di stanchezza, anche nel caso in cui il paziente in cura non
abbia problemi dal punto di vista motorio.
I sintomi del Parkinson sono la conseguenza
del danneggiamento di aree profonde del cervello – i gangli della base (nuclei
caudato, putamen e pallido) – che partecipano alla corretta esecuzione dei
movimenti. In particolare si verifica la morte di una consistente quota (fino
al 70%) di neuroni dopaminergici, i quali producono dopamina, un
neurotrasmettitore che favorisce l’attività motoria. Caratteristica della
malattia di Parkinson è la presenza, nei neuroni rimanenti, di formazioni,
dette corpi di Levy, costituite dalla proteina alfa-sinucleina. Per molti
malati di Parkinson la causa della malattia non è nota, ma in una piccola
percentuale di casi, circa il 5%, la malattia si verifica a seguito di una
mutazione genetica: di uno tra i geni specifici che, ad esempio, codificano per
l’alfa-sinucleina (Snca), per la parkina (Prkn) e per la dardarina (Lrrk2).
Tali mutazioni sono la causa di circa il 5% dei casi di familiarità del
Parkinson, i quali sono a loro volta il 15% del totale.
Tra i fattori di rischio della malattia pare
esserci l’esposizione a inquinanti ambientali come i fitofarmaci, gli
insetticidi come il rotenone, gli erbicidi come il disseccante paraquat e il
defoliante Agente Orange (usato durante la guerra del Vietnam per stanare i
vietcong nascosti nella foresta), i metalli pesanti (a cui sono esposti alcuni
lavoratori come, ad esempio, i saldatori) e gli idrocarburi solventi
(trielina). Altro fattore di rischio importante sono i traumi cranici ripetuti.
Fattori protettivi dalla malattia sembrano
essere il consumo di caffeina, gli estrogeni, i farmaci anti-infiammatori non
steroidei e il fumo di tabacco. Quest’ultimo però è da evitare, visto il suo
ruolo nel cancro del polmone e nell’insorgenza dell’aterosclerosi.
Attualmente non esiste una cura per la
malattia di Parkinson, ma il trattamento farmacologico, la chirurgia e la
gestione multidisciplinare del malato possono contribuire ad alleviare i
sintomi. Poiché la malattia è scatenata dalla riduzione della dopamina in
circolo, la terapia farmacologica mira a ripristinae il livello. Il farmaco
più usato, la levodopa, viene convertito in dopamina nei neuroni dopaminergici,
tuttavia solo il 5-10% raggiunge il cervello. Il resto viene trasformato
altrove, causando una serie di effetti collaterali, come nausea, discinesia
(movimenti involontari) e rigidità articolare. Dopo circa 10 anni di terapia
con levodopa, i pazienti sono in gran parte affetti da queste complicanze da
farmaco. Inoltre dopo un numero di anni variabile, il trattamento non è più in
grado di fornire un controllo motorio stabile. In questi casi è possibile
ottenere un miglioramento ricorrendo alla chirurgia stereotassica che consente
di raggiungere formazioni situate nella profondità del cervello, grazie
all’ausilio di dispositivi radiologici. Attualmente sono in corso ricerche per
mettere a punto una terapia genica, che prevede l’uso di virus non infettivi
per portare nel nucleo subtalamico, che regola il circuito motorio, un gene
utile alla produzione del neurotrasmettitore Gaba, anch’esso deficitario nel
Parkinson.
Un altro fronte di ricerca è quello che
prevede la sostituzione dei neuroni dopaminergici andati perduti con cellule
staminali. Le cellule staminali possono essere embrionali, neurali adulte o
fetali, autologhe (derivanti dal midollo osseo o da altri tessuti dei pazienti
stessi), e derivanti dal cordone ombelicale. Le staminali embrionali sono
cellule capaci di differenziarsi in qualsiasi tessuto, tuttavia il loro uso
rappresenta un problema etico. Inoltre esse possono causare la formazione e lo
sviluppo di tumori, e rigetto. Solo proseguendo con la ricerca sarà possibile
risolvere questi problemi. È indispensabile, quindi, che vi sia una maggiore
sensibilità su questi temi, soprattutto a livello parlamentare, affinché siano
recepite tanto l’importanza della ricerca, quanto la necessità di supportare la
gestione dei malati.
Rosanna Topino
Novara
La prima puntata, dedicata all’Alzheimer, è
apparsa su MC 12/2014, pp. 66-69.
Tags: malattie, salute, anziani, malattia di Parkinson
Rosanna Topino Novara