Una voce in meno

L’editoriale di ottobre della
rivista «Popoli», dopo un caldo saluto a lettori e lettrici, recitava: «Vi
comunico la sofferta decisione di interrompere, con il numero di dicembre 2014,
la pubblicazione». Probabilmente, a voi, amici lettori di Missioni Consolata,
questa comunicazione dice poco. Io, invece, non ho potuto fare a meno di
piangere, poche, sentite lacrime, per una notizia che mi ha dato tristezza. Una
tristezza ampiamente condivisa dagli amici e colleghi di tutta la stampa
missionaria.

«Popoli» è la rivista missionaria dei Gesuiti italiani. Fondata nel
1915 col nome di «Le Missioni della Compagnia di Gesù», diventata «Popoli e
Missioni» nel 1970 e poi «Popoli» a fine anni Ottanta. A dicembre conclude 100
anni di servizio alla missione. Nata durante la prima guerra mondiale, muore
mentre è in corso quella che il papa chiama la «terza guerra mondiale». E muore
per fallimento economico, strozzata dai debiti. Sanissima quanto a idee,
progetti e visione, «Popoli» è vittima però più della crisi «missionaria» del
nostro paese che della crisi economica.

Non è di conforto il fatto che non sia l’unica vittima nel settore
della stampa missionaria e che negli altri paesi europei sia ancora peggio. «Ad
Gentes» dell’Editrice Missionaria Italiana ha chiuso in questo 2014, «Afriche»
della Società Missioni Africane nel 2010, il nostro «Amico» nel 2010, altre
hanno ridotto il numero delle pagine o la periodicità, altre ancora si sono
fuse tra loro. Le riviste missionarie ancora in circolazione, nonostante il
grande sforzo di rinnovamento e di riqualificazione a servizio del Vangelo e
dei poveri, non scoppiano di salute, condividendo in pieno tutte le difficoltà
dell’editoria italiana, religiosa e non.

Con gli altri amici della stampa missionaria italiana (che non è poi
solo stampa, ma è web, e video, e tanto altro) ci chiediamo se la chiusura di «Popoli»,
al di là delle ragioni oggettive portate dagli editori, non sia un sintomo di
una situazione ben più complessa. Ogni anno vediamo drammaticamente invecchiare
e diminuire di numero i missionari italiani «a vita» (17 mila negli anni
Ottanta, poche migliaia già oggi e in continuo calo), chiudere comunità,
rarefarsi le partenze non compensate dal pur crescente numero di missionari
laici. Allo stesso tempo si chiudono o si accorpano parrocchie, si vendono
chiese, per la preoccupante diminuzione del numero dei sacerdoti.

è questo solo un momento di purificazione? O la fiaccola della missione è stata tolta ai cristiani italiani
per essere affidata ad altri? è
la missione che non interessa più o non ci sono più neppure i cristiani che
possano appassionarsi ad essa? Oppure è la missione che è talmente cambiata da non avere più bisogno di missionari e
tantomeno delle loro delle riviste?

Le riviste missionarie raccontano della bellezza della missione,
della dedizione di tanti missionari, del sogno di un mondo più fraterno, di una
Chiesa viva che cresce nelle periferie del mondo, dello Spirito che suscita
nuovi evangelizzatori da ogni angolo della terra. Pur nella loro povertà e
debolezza (evidente nel confronto con gli altri media!), sono testimonianza di
speranza e di un mondo più fraterno. Non hanno più nulla da dire? Quello che
scrivono non interessa più a nessuno? O non c’è più nessuno che creda nel
mandato di annunciare il Vangelo fino ai confini del mondo?

Sempre il mio vizio di far domande! Anche perché non ho risposte
chiare in una situazione così fluida come quella che stiamo vivendo. Certamente
gli interessi degli italiani sono cambiati in questi anni. E l’annuncio del
Vangelo non è in cima alle loro preoccupazioni. La nostra società è sempre meno
cristiana nonostante il numero sempre alto dei battezzati. I cristiani
praticanti costituiscono ormai una minoranza e sembra che la maggior parte dei
giovani non si identifichi più con la Chiesa. Questi sono dati di fatto,
confermati da abbondanti statistiche.

In un simile contesto la chiusura di una o più riviste missionarie non
cambia molto le cose. Però fa riflettere: quale sarà la prossima? Noi intanto
andiamo avanti con serenità nel nostro servizio, cercando in tutti i modi di «far
bene il bene», fino in fondo. Abbiamo (noi missionari) una convinzione
profonda: «Siamo semplicemente dei servi» (Lc 17,10). Il vero missionario è lo
Spirito di Dio. Anche se una voce si spegne qua o là, Lui farà «parlare anche
le pietre» (cfr. Lc 14,40). E non ditemi, come fa il mio correttore di bozze,
che queste ultime sono solo parole di consolazione messe lì per non chiudere
l’editoriale con troppa tristezza. Ogni bene a voi.

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Buona lettura!

Gigi Anataloni

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