Un sorriso per la vita

Il diritto
alla salute per tutti è ancora lontano.
In alcuni
paesi sono ancora molto diffusi il «labbro leporino» e altre patologie
collegate. Le strutture locali hanno ancora difficoltà a risolverlo. Così è
nata un’associazione di volontari che operano i bambini e formano personale sanitario
locale. Li abbiamo seguiti in una loro missione.

Cotonou. Il risveglio è stato doloroso, il digiuno un po’
pesante e le due notti nel reparto dell’ospedale non proprio piacevoli, ma è
con un sorriso raggiante che la piccola Mael ora cammina, la mano stretta a
quella della sua mamma, Juanita, lungo il viale in terra battuta che conduce al
cancello d’uscita del Centro ospedaliero universitario (Chu) di Cotonou, la
capitale del Benin. Nel parcheggio gremito di motorini, uno dei mezzi di
trasporto più usati in questa metropoli di oltre un milione di abitanti, Mael
sale sullo scornoter che la riporterà a casa, fasciata e legata dietro la schiena
della madre. Ancora qualche giorno di dieta semi liquida, una cicatrice nel
palato che velocemente si riassorbirà, e l’incubo vissuto nei suoi primi
quattro anni di vita sarà per sempre dimenticato. D’ora in poi Mael potrà
mangiare e bere senza rischiare il soffocamento a ogni pasto e con un po’ di
pratica recuperare il ritardo accumulato per giocare e imparare insieme ai
bambini della sua età. E forse, essendo ancora giovane, potrà correggere quel
timbro nasale che segna a vita le persone affette da palatoschisi, ossia
l’apertura del palato.

Mael fa parte dei 62 bambini beninesi operati
gratuitamente per correggere la palatoschisi, la labioschisi (il cosiddetto «labbro
leporino») o labiopalatoschisi (apertura del palato, del labbro e in alcuni
casi della gengiva) dai medici volontari dell’Ong italiana Emergenza Sorrisi
durante una missione svolta in Benin dal 21 al 31 maggio scorso. Grazie alla
cooperazione del ministero della Sanità del Benin e a un’organizzazione non
governativa locale, La Resurrection, si è potuto dar vita alla terza
missione del genere in questo piccolo paese dell’Africa occidentale, parte
dell’antico regno del Dahomey.

Una sinergia ormai rodata che ha condotto a un nuovo
successo di questo fruttuoso esempio di cooperazione Nord-Sud, nel quale entra
anche una componente di formazione del personale locale e di prevenzione.

Un gruppo affiatato

Nell’interpretazione di questo spartito ognuno ha eseguito il
proprio ruolo in uno spirito di reciproco rispetto e di adattamento a
situazioni nuove e per certi versi estreme.

Un’avventura, è bene sottolinearlo, in cui ognuno ha fatto un
dono: chirurghi, anestesisti, infermieri, pediatri italiani disposti a lavorare
gratuitamente sfruttando periodi di ferie in un ambiente spartano e lontano
dagli standard a cui sono abituati in Italia; medici e assistenti locali, che
hanno sconvolto gli ordinari ritmi di lavoro per adeguarsi alle richieste del team;
il ministero della Sanità, che ha accettato il ricovero gratuito dei
beneficiari e dei loro parenti; le madri beninesi, che hanno affidato i propri
figli a questi dottori bianchi e sconosciuti; l’Ong La Resurrection, che
ha attraversato il paese in lungo e in largo per sensibilizzare le popolazioni
sul problema della labiopalatoschisi, spiegare che vi si può rimediare, almeno
in parte, annunciare l’arrivo della missione e la possibilità di beneficiae.

«Solo grazie a questo patto di fiducia e di supporto si è potuti
arrivare al successo di questa missione, che speriamo, in futuro, potrà
coinvolgere sempre meno medici italiani e sempre più medici locali» sottolinea
Francesca Pacelli, cornordinatrice delle missioni inteazionali di Emergenza
Sorrisi
. Il team che ha operato in Benin, composto da 10 medici
altamente qualificati, ha potuto assistere, ognuno nella propria
specializzazione, il personale locale insegnando i passi da compiere secondo
gli standard inteazionali.

Se la labiopalatoschisi è diventata rara nei paesi ricchi, resta
molto diffusa nel Sud del mondo, dove carenze alimentari e vitaminiche unite a
infrastrutture poco sviluppate, all’assenza di medici sufficientemente
qualificati e a fattori socio-culturali non consentono di trovare una risposta
adeguata al problema.

«Il nostro obiettivo è non solo di operare bambini affetti da
questa patologia, ma di mettere in atto delle misure per poter prevenire la
comparsa di questa e altre malformazioni con una campagna di prevenzione di
massa, tesa alla somministrazione, per esempio, di acido folico, la cui carenza
è dimostrata essere uno dei fattori principali nel meccanismo di insorgenza
della patologia labiopalatoschisi», spiega il capo missione, Mario Altacera,
specialista in chirurgia plastica e maxillo-facciale ad Acquaviva delle Fonti
(Ba).

Nelle aree remote del Benin – come in altre zone dell’Africa
– la povertà, l’analfabetismo e antiche
credenze costituiscono ancora un ostacolo alla cura di alcune malformazioni. C’è
chi non si fida della medicina portata dall’Occidente e crede che un intervento
chirurgico causerà la morte del proprio figlio. Chi ritiene invece che l’arrivo
di un neonato malformato sia una sciagura voluta dal cielo o da un sortilegio
che non si può cambiare. Chi ancora, nella peggiore delle ipotesi, non riesce
ad accettare un erede malformato, la vergogna e la discriminazione, e si
macchia anche di infanticidio.

Per i 62 bimbi e ragazzi operati la vergogna e l’esclusione fanno
ormai parte del passato e la testimonianza che porteranno nei propri villaggi,
nei propri quartieri, aiuterà a sfatare antichi miti e riserve.

Pierre, 22 anni, uno dei pazienti più grandi con diverse
operazioni alle spalle e altre malformazioni, ha corretto un’apertura del
labbro superiore, ma avrebbe bisogno di altre cure per tornare ad avere un
volto «normale». Tuttavia l’affetto di cui è stato circondato durante il suo
soggiorno in ospedale, sempre in compagnia di parenti e amici, gli hanno ridato
forza e entusiasmo. Per l’ultimo controllo due giorni dopo l’operazione si
presenta indossando la maglia del Barcellona, la sua squadra di calcio
preferita. Si fa dare uno sguardo dal chirurgo: è tutto a posto. Non vede l’ora
di raggiungere i suoi compagni sul campo e di giocare una nuova partita.

Un’esperienza importante

Anche i medici italiani tornano a casa con un bagaglio di
soddisfazione, di gioia e di emozione senza paragoni. «Si porta tutto nel cuore
per sempre. Sono emozioni che non si possono descrivere, solo chi le vive può
capire come ci si sente» dice Jolanda Barile, infermiera, al ritorno dalla sua
terza missione dopo quelle compiute in Indonesia e in Gabon.

Tra i volontari di questo viaggio in Benin, qualcuno partiva per
la decima o undicesima volta, e tutto sommato la situazione trovata a Cotonou è
stata piuttosto tranquilla rispetto ad altre esperienze trascorse in Bangladesh
sul Brahmaputra, nella Repubblica Democratica del Congo, in Iraq o in alcune
aree dell’Etiopia. Per qualcuno invece è stata una prima assoluta o quasi: «L’anno
scorso ero partito per una missione umanitaria, con un’altra organizzazione, in
Mozambico – racconta Ivan Alonge, infermiere -. Operavamo in una clinica
privata, con dotazioni molto simili a quelle che si trovano in Italia, in
ottime condizioni. Mi ero fatto una falsa idea di quello che realmente si vive
in Africa».

Il reclutamento di medici e infermieri disposti a partire in
missione per Emergenza Sorrisi si fa in base a candidature ricevute, ma
anche e soprattutto attraverso volontari già noti all’organizzazione, che
introducono collaboratori di fiducia, diventandone «tutori» durante la
missione.

L’Ong è nata cinque anni fa con il nome di Smile Train Italia
– affiliata all’organizzazione statunitense Smile Train – e dal primo
gennaio scorso ha cambiato denominazione sociale per poter ampliare il raggio
delle proprie attività. «Dopo anni di interventi in paesi come Iraq,
Afghanistan, Kurdistan, Indonesia, Bangladesh, Benin, Gabon, Congo e migliaia
di visite, ci siamo resi conto che non potevamo più evitare di occuparci anche
di bambini e pazienti con gravi conseguenze derivanti da ustioni, traumi,
tumori, ma ai quali non siamo stati finora in grado di dare una risposta»
spiega Fabio Massimo Abenavoli, presidente di Emergenza Sorrisi. Saranno
dunque questi un nuovo impegno e una nuova sfida, che si spera verrà
assecondata dai donatori. «La crisi economica che ha colpito il mondo intero
non ha ridotto lo spirito e i valori di solidarietà che spingono tutte le
nostre azioni – dice ancora Abenavoli -. Se sembrano prevalere egoismo e
individualismo, nella realtà dei fatti le azioni concrete di sostegno al
bisognoso esistono e sono forti, ma nella maggior parte dei casi «dimenticate»
per far posto al gossip e al pessimismo. Noi possiamo garantire una
cosa: a tutte le realtà che ci sostengono promettiamo che il nostro impegno
verrà ripagato nell’unica moneta universale e resistente a qualsiasi crisi: il
recupero del sorriso dei nostri bambini!».

Céline Camoin


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Céline Camoin