Tutto di un pezzo … e santo?

La fede cattolica

Un esempio per tutti
È un cattolico praticante che si confessa sovente e fa la comunione quasi tutti i giorni. In chiesa uomini, donne e bambini lo scrutano con ammirazione, perché è il loro mwalimu, il presidente della repubblica, che si inginocchia come loro, e prega: «Dio onnipotente, benedici i tuoi figli del Tanzania. Signore, abbi pietà di me, peccatore!».
Un giorno, poi, si viene a sapere qualcosa di assolutamente inedito per un politico, specialmente in Africa: inizia il processo di «beatificazione» di Julius K. Nyerere; lo annuncia, il 26 gennaio 2006, il cardinale di Dar es Salaam Polycarp Pengo. Dunque: Nyerere sarà dichiarato beato e santo dalla Chiesa cattolica? Come i martiri d’Uganda? Come Bakhita, la schiava del Sudan, e pochissimi altri del continente nero?
«Però l’interessato – si interroga il professor J. M. Lusugga Kironde di Dar es Salaam – cosa direbbe? Sarebbe d’accordo con la decisione della Chiesa?». In altri termini: l’idea di proclamare santo Nyerere come si concilia con il fatto che era presidente di tutti, senza differenze di religione?(1). La domanda evidenzia una preoccupazione: quella che qualcuno (i cattolici soprattutto) voglia impadronirsi di Nyerere e di strumentalizzarlo a proprio vantaggio.
La preoccupazione emerge già alla morte dello statista (14 ottobre 1999). I musulmani si oppongono a che il «padre della patria» sia sepolto nella chiesa cattolica di Butiama, nonostante che Nyerere, da vivo, ne abbia manifestato il desiderio. Così è posto in un mausoleo, vicino casa sua, per consentire a tutti i tanzaniani di rendergli omaggio, senza il disagio di sentirsi in un luogo di culto estraneo al proprio credo religioso(2).
Tuttavia il professor Lusugga riconosce il diritto della Chiesa cattolica di continuare il processo di beatificazione, perché il «padre della patria» non fece mai pesare la sua fede. «I tanzaniani (compresi i musulmani) non vi scorgano un’appropriazione indebita di Nyerere da parte dei cattolici!».
La Chiesa cattolica seguirà la scia del primo presidente. Questi, già alla vigilia dell’indipendenza nel 1961, incontrando i rappresentanti di tutte le religioni, annotava nella sua agenda: «Abbiamo deciso che né il colore, né la tribù, né la religione, né altra cosa potranno mai togliere all’individuo la sua uguaglianza fra tutti nella comunità. Questa è la nostra bussola»(3). Ha sempre mantenuto fede a tale impegno. A prescindere dalla beatificazione, il mwalimu resta un esempio di uomo fedele e onesto per tutti, soprattutto per i leader politici, il cui comportamento spesso è l’esatto contrario di quello di Nyerere. «Beatificando Nyerere – dichiara il cardinale Pengo – miriamo a stimolare i politici, i commercianti e i capi in genere a condurre una vita degna anche di santità»(4).

Tre ragioni
Beard Joinet, dei Missionari d’Africa, elenca tre motivi per cui Nyerere è da additarsi come esempio a tutti(5).
Il primo motivo è la pacifica convivenza (già ricordata) del presidente con l’Islam e le altre religioni. Non vi furono tensioni nella Tanzania continentale (problemi di tolleranza emersero, invece, nelle isole di Zanzibar e Pemba, a grande maggioranza di fede islamica). Non vi fu alcun partito di ispirazione religiosa. Il partito unico Tanu e, successivamente, il Ccm erano aperti anche agli europei ed asiatici; anzi, Nyerere insisteva affinché vi aderissero. Tribalismo e fanatismo religioso, che sono come benzina sul fuoco, furono scongiurati.
Seconda ragione: la libertà di Nyerere di fronte al potere. Quando nel 1985 lasciò la presidenza, resistette all’enorme pressione del popolo che non voleva privarsi del suo «maestro signore». Senza una grinza, ritoò al villaggio natale.
Infine colpisce il distacco dal denaro. Lo statista vestiva sobriamente. Abitava non nel palazzo presidenziale, ma in una villetta con la moglie Maria, che cucinava. I figli non godevano di alcun privilegio. Percepiva uno stipendio di 6 mila scellini, ridotti per sua volontà a 4 mila. «Tale somma – riferisce la figlia Anna – non bastava per mantenere la famiglia e una zia, oltre a rifondere un prestito ottenuto da una banca»(6).
Tali comportamenti erano ispirati da una fede cristiana viva. Il progetto politico dell’ujamaa scaturiva pure dagli Atti degli Apostoli, come rivela un biglietto di auguri del presidente stesso, inviato ai capi di stato nel 1967: «La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuor solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva. Fra loro tutto era in comune» (Atti 4, 32).

Momenti difficili
Di più. Si dice che Nyerere, dovunque andasse, portasse con sé la Bibbia e la «Dichiarazione di Arusha», la magna charta dell’ujamaa. A dieci anni da quella Dichiarazione, il presidente scrisse Arusha Declaration Ten Years After, dove riconobbe alcuni errori: primo fra tutti la costituzione forzata dei «villaggi sociali».
Se la causa di beatificazione di Nyerere proseguirà, «l’avvocato del diavolo» troverà nella villaggizzazione buoni argomenti per incrinare la presunta santità del «socialista», anche perché la Chiesa non è mai stata tenera verso i sistemi socialisti.
Oltre al fallimento economico, la formazione dei villaggi socialisti generò violenze gratuite, spargimenti di sangue e uccisioni (7). Ciò detto, occorre riconoscere che simili «fattacci» non sono riconducibili direttamente a Nyerere, ma ai suoi impiegati troppo zelanti. Il presidente si prefiggeva ben altro! Egli fu schietto al riguardo: «Posso chiedere scusa – confessò a The Vision Newspaper (settembre 1986) – per il modo in cui l’operazione fu condotta da vari funzionari in alcune regioni; ma non posso chiedere perdono per avere cominciato i villaggi socialisti, che sono stati l’inizio dello sviluppo di cui oggi vi vantate».
Nyerere, in alcuni eventi drammatici, pregava, digiunava ed esortava a fare altrettanto. Ricorreva a queste «armi» anche nelle lotte politiche, prima e dopo l’indipendenza.
Nel 1986 egli stesso ricordò un incontro del Tanu, prima dell’indipendenza del Tanganyika, durante il quale dal Kenya giunsero notizie preoccupanti. «Venimmo a sapere che alcuni nostri amici, fra cui Tom Mboya, furono imprigionati, essendo implicati nell’uccisione di Mau Mau (che lottavano armati contro i britannici). Pensammo che il modo migliore per aiutare i nostri compagni fosse il digiuno: non mangiare né bere per un giorno. Chiedemmo che l’intero paese facesse lo stesso»(8).
Il 1978 fu un anno funesto per i tanzaniani, perché lo spregiudicato Idi Amin Dada invase il loro paese. Nyerere usò ancora l’arma del digiuno e sostò in preghiera per vari giorni consecutivi. Ma prevalse la real politik e fu guerra, vinta dall’esercito tanzaniano. Però Nyerere visse quegli interminabili mesi di conflitto con la morte nel cuore. Incontrava i soldati: «Ragazzi, partecipo alla vostra sofferenza. Tutti sono con voi ed io prego [per voi]». Ad un combattente sul fronte disse: «Evita di spargere sangue inutilmente! Non finire la vita di persone senza colpa!».
Quando le truppe tanzaniane entrarono in Uganda, trovarono alcune delle sacche di resistenza che si dovettero eliminare a forza. E Nyerere era presente. Un soldato confessò: «La nostra audacia era finita, per far posto alla pietà. Il mwalimu mormorava fra le lacrime: “Mi dispiace molto. Tanto sangue e la vita di questa gente! Dio ci perdoni, Dio abbia pietà di noi!”. Fu necessario portarlo via (dal teatro di guerra) con la forza…»(9).
In Africa è raro scorgere un adulto che pianga in pubblico, sia pure al cospetto della morte. Julius K. Nyerere piangeva perché era un «maestro signore» davvero speciale. Unico in Tanzania; unico – molto probabilmente – in tutta l’Africa.

di Francesco Beardi

Note

1) Cfr. E. R. Katare, Julius K. Nyerere, falsafa zake na dhana ya utakatifu, Dar es Salaam 2007,  p. V.
2) Cfr. www.culturacattolica.it
3) Parole di Nyerere, riportate da E. R. Katare, op. cit., p. 66; cfr. Ibid., p. VII.
4) Mwenge, aprile 2007, p. 5.
5) Cfr. www.missionaridafrica.org e Missioni Consolata, op. cit., p. 18.
6) Cfr. E. R. Katare, op. cit., p. 78.
7) Cfr. Ibid., p. 114 e 133.
8) Ibid., 28-29. I Mau Mau erano un movimento rivoluzionario clandestino, che lottò in Kenya negli anni ’50. Tom Mboya, sindacalista e politico del Kenya, morì assassinato nel 1969.
9) E. R. Katare, op. cit., pp. 140-141.

PROCESSO DI BEATIFICAZIONE

Butiama, 21 gennaio 2006, inizio del
processo diocesano per la beatificazione
di Julius K. Nyerere

Lanciata da mons. Samba, che ammirava l’onestà e sobrietà di vita e la profonda spiritualità di J. Nyerere, la causa di beatificazione ha perso energia dopo l’improvvisa morte del vescovo stesso nel giugno 2006. Il nuovo vescovo di Musoma, mons. Michael Nsonganzila, intende rilanciare la causa, facendone una priorità per tutta la Chiesa del Tanzania.

Francesco Beardi

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