4 chiacchiere con
Pedro Calungsod Bissaya, originario della regione di
Visayas, nacque nel 1654 a Ginatilan (Isola di Cebu) nell’arcipelago delle
Filippine. Fin da adolescente collaborò con i Missionari Gesuiti . Ben presto
divenne catechista mettendosi al servizio dell’evangelizzazione che i discepoli
di Sant’Ignazio di Loyola avevano avviato nelle nuove terre scoperte dalla
Spagna. Fu martirizzato il 2 aprile 1672 con il gesuita spagnolo Padre Diego De
San Luis Vitoris, nell’isola di Guam – arcipelago delle Marianne – dove aveva
accompagnato il missionario per fargli da interprete con le comunità indigene
sparpagliate nell’immensa vastità dell’Oceano Pacifico.
Il messaggio evangelico fu accolto con semplicità ed
entusiasmo dai nativi delle Filippine. Alcune tribù, però, sobillate dai loro
stregoni e da chi si opponeva alla Buona Novella, si opposero attivamente ai
missionari e aizzarono anche le tribù che avevano accolto i missionari a rivoltarsi
contro di essi cercando con ogni mezzo di impedie l’azione, e arrivando
persino a utilizzare metodi cruenti e criminali. Nonostante ciò, i missionari
non vennero mai meno al loro impegno e continuarono la loro azione di
promozione umana e di evangelizzazione portando il messaggio di salvezza di
Gesù Cristo fino alle isole più sperdute e remote. Il loro coraggio e la
determinazione che li caratterizzavano non furono vani. Oggi le Filippine sono
l’unico stato a maggioranza cattolica del continente asiatico.
Caro Pedro, se non vado errato, tu sei uno dei migliori frutti
dell’opera di evangelizzazione che i missionari hanno compiuto nelle Isole
dell’Arcipelago delle Filippine.
È
vero, il messaggio del Vangelo arrivò a noi dall’America Latina perché i
missionari che sbarcarono in Messico si avventurarono nell’Oceano Pacifico al
seguito delle navi spagnole, approdando nel 1521 sulle coste delle nostre
isole, chiamate da allora «Isole Filippine» in omaggio al loro re Filippo. In
un certo qual modo per gli spagnoli diventammo una propaggine del continente
scoperto da Cristoforo Colombo.
Infatti anche oggi molto del folklore e delle feste religiose
filippini assomiglia a quelli dei paesi di lingua spagnola dell’America Latina.
Proprio così: oltre che asiatici, dal punto di vista
della pratica religiosa, siamo anche un po’ «latinoamericani». Non è un caso
che la fede cattolica, portata dagli spagnoli partiti dalle coste messicane,
abbia attecchito in maniera così intensa e feconda nelle nostre Isole. Del resto
la colonizzazione spagnola (durata oltre quattro secoli) ha inciso
significativamente nella toponomastica, nella cultura e e addirittura nei notri
patronimici, ossia nei nostri cognomi.
In ogni caso alcune culture native erano impregnate in maniera
viscerale di tradizioni fortemente contrarie al Vangelo e questo ha costituito
un serio ostacolo alla diffusione del messaggio evangelico in Asia e in
Oceania. Confermi questa tesi?
Sì, perché gli stregoni di varie isole vedevano nei
missionari dei concorrenti e quindi delle persone che insidiavano il potere che
loro avevano sulle coscienze e sulle comunità indigene, per questo li
osteggiavano in tutti i modi. Ricordiamo che il grande navigatore Ferdinando
Magellano fu ucciso proprio dai tribali in una di queste isole.
Ma i missionari gesuiti avevano una strategia vincente, o no?
I
gesuiti erano semplicemente geniali, coinvolgevano nell’evangelizzazione
soprattutto noi giovani, studiavano le lingue del posto, arrivando a parlarle
perfettamente e, per la prima volta nella nostra storia, a metterle per
iscritto utilizzando i caratteri latini. Per questo proprio nelle stazioni
missionarie che avevano creato nelle Filippine, accoglievano coloro che
intendevano aiutarli nell’opera di evangelizzazione, li formavano adeguatamente
e davano loro un’istruzione di prim’ordine, di modo da preparare anche dei
preziosi collaboratori nel catecumenato e nell’evangelizzazione degli adulti.
Anche tu hai fatto questo iter di formazione?
Sì,
avevo solo 14 anni quando entrai a far parte del «Collegio» di formazione che
essi avevano fondato nella mia isola. Lì insieme ad altri ragazzi oltre a
imparare a leggere e scrivere, fui istruito con il catechismo che allora veniva
usato per i catecumeni in vista del sacramento del Battesimo, e spinto ad
approfondire le verità di fede contenute nel Vangelo.
Cosa ti ha colpito di più del messaggio evangelico?
Il
fatto che per la prima volta tra la nostra gente risuonavano parole come Amore,
Misericordia e Perdono, e l’invito ad amarsi vicendevolmente. Ma quello che più
mi stupì di più del Vangelo fu il comando che Gesù diede ai suoi discepoli
(quindi anche a noi!) di amare e perdonare persino i nemici.
Effettivamente questa è proprio la novità assoluta del Vangelo.
Ma è
una novità inaudita portata sulla terra da Gesù Cristo stesso, il Figlio di
Dio! Da soli non ce l’avremmo mai fatta a capirla, spiegarla e proclamarla! Né
noi asiatici, né voi europei! Questo tesoro affidato agli apostoli e da questi
alle prime generazioni cristiane, ha attraversato i secoli, diffondendosi a
macchia d’olio tra i popoli e le nazioni, grazie alla testimonianza cristallina
che seppero dare cristiani di ogni tempo. Grazie all’opera instancabile e allo
spirito di sacrificio di missionari generosi, il Vangelo valicò ampi spazi
geografici e con la scoperta di terre nuove arrivò fino a noi, fino alle isole
Filippine.
Bisogna anche dire che la Buona Notizia di Gesù si innervò a tal
punto nei vostri usi e costumi, da diventare una cosa sola con essi.
L’arrivo
del messaggio evangelico per opera dei missionari fu per noi come la
realizzazione di un’attesa che nutrivamo da tempo. Il Vangelo entrò
gradatamente nella nostra vita, nel nostro modo di vedere la realtà, unendoci
sempre più, plasmandoci come nazione in maniera indelebile e facendo di noi un
popolo nuovo. Un popolo checapiva di avere un ruolo significativo da giocare
nel continente asiatico, per la responsabilità – che scoprivamo di avere – di
annunciare Gesù ad altri popoli vicini. Il tesoro della «Buona Novella» che ci
era dato in dono, andava condiviso il più possibile con altri.
Diciamo che i missionari con voi non commisero gli stessi errori
fatti nelle Americhe.
Quello
che nel continente americano non era riuscito a Bartolomeo de las Casas e alle
anime nobili come lui che difendevano gli indios, da noi poté essere
realizzato. Infatti non vi furono né schiavi né lavori forzati. I missionari si
presentarono come protettori degli indigeni e seppero difenderli dalle
sopraffazioni dei bianchi. I riguardi e la mitezza con cui furono trattati gli
indigeni non mancarono di produrre il loro effetto. La mia gente rimase fedele
alla Spagna e ai suoi missionari, insieme ai quali difesero l’impero coloniale
contro tutti gli attacchi dei maori, dei cinesi e degli olandesi.
Questo ebbe riflessi positivi sulla nascente comunità cristiana?
La
conseguenza di questo intenso lavoro missionario, basato sul rispetto della
gente, fu che ben presto si ebbero catechisti e sacerdoti nativi, i quali con
l’andar del tempo presero in mano quasi tutto lo sforzo missionario. Pensa che
nel 1585 si contavano già 400 mila cristiani, nel 1595 quasi 700 mila, nel 1620
oltre due milioni: in meno di cent’anni la massa della popolazione
dell’arcipelago era divenuta cristiana! Nel 1595 fu istituita nelle Filippine
una gerarchia ecclesiastica propria!
Ma l’impegno missionario restava per te prioritario?
Non
solo per me, ma per molti giovani delle Filippine era un onore accompagnare i
missionari dei diversi ordini: Francescani, Domenicani, Agostiniani, Gesuiti,
ecc., nelle innumerevoli isole dell’immenso Oceano Pacifico, alle Marianne,
Salomone, Marshall e via dicendo, per
fare loro da interpreti.
Un
compito che continua anche oggi con numerosi sacerdoti, religiosi, suore e
laici, inviati dalla Chiesa Filippina ad annunciare il Vangelo in diversi paesi
asiatici, dove gli europei avrebbero magari maggiori difficoltà
d’inculturazione. Non è un caso che la Mongolia apertasi da pochi anni
all’accoglienza del Vangelo, abbia attualmente come Vescovo di Ulan Bator
proprio un presule filippino! E con le meraviglie che sa operare lo Spirito
Santo e che spiazzano sempre coloro che non vorrebbero mai cambiamenti nella
Chiesa come nella società… chissà che sorprese ci riserva il futuro!
Il 2 aprile 1672, Pedro insieme a Padre Diego, parte per le Isole
Marianne. Approdati a Guam, si addentrano verso l’interno dove giungono al
villaggio di Tomhom. Radunata la popolazione iniziano a presentare loro il
Vangelo di Gesù. Mentre espongono le verità del Vangelo, vengono circondati da
una folla di esagitati aizzati dallo stregone del posto. In odio alla fede
cristiana, sono ripetutamente colpiti con lance e frecce. Pedro cerca
disperatamente di difendere Padre Diego e viene colpito in pieno petto e finito
a colpi di scimitarra. Prima di subire la stessa sorte, Padre Diego riesce a
dargli l’assoluzione. Poi i loro corpi, spogliati e sfregiati, sono gettati in
mare, da dove non saranno più recuperati.
La
beatificazione di Padre Diego nel 1985, ha portato a riscoprire anche la
splendida figura del catechista laico Pedro Calungsod, che Papa Wojtyla ha
beatificato il 27 gennaio 2000, proponendo il giovane filippino diciassettenne
come esempio di coraggio, di fede e d’impegno missionario. Il 21 ottobre 2012 è
stato canonizzato come Santo nella Basilica di San Pietro a Roma da Papa
Benedetto XVI.
Mario Bandera