San Martin de Porres

San Martin de Porres (Lima, Perù,
1579-1639) appartiene a quella generazione di santi latinoamericani che, al di
là delle efferatezze dei conquistadores, furono attratti dal messaggio del
Vangelo e dalla tenerezza di Cristo. Egli mise in pratica tutto ciò che il
maestro di Nazareth aveva insegnato, a partire dalle condizioni sociali, dallo
stato di vita e dalla situazione storica in cui si trovava. Il santo mulatto
peruviano si distinse praticando accoglienza e carità e, con modi discreti ma
incisivi, rivendicò giustizia ed equità per gli emarginati del Perù coloniale.
Egli dedicò tutta la sua vita ai poveri.
Pio XII nel 1945 lo proclamò
patrono della Giustizia Sociale e da Giovanni XXIII venne elevato alla gloria
degli altari il 6 maggio del 1962, mentre Paolo VI lo nominò patrono dei
barbieri e parrucchieri.

Martin, che bello avere a che fare con santi come te. Ci si
sente subito a proprio agio con una persona solare e gioviale come sei stato
lungo tutta la tua vita in Perù.

Il
dono del mio carattere mi fu di grande aiuto fin dall’inizio della mia
esistenza, che non fu né semplice né facile, ma grazie a mia mamma imparai come
sorridere al mondo nonostante le avversità che ti crollano addosso.

Già, dimenticavo, fin dalla nascita non ti furono risparmiate
difficoltà e incomprensioni.

Infatti
sono figlio di Juan de Porres, un aristocratico spagnolo approdato in Perù in
cerca di fortuna, e di Ana Velazques, una ex schiava di origine africana.
Segnato perciò fin dal primo giorno che venni alla luce come un bambino che di
fronte alle leggi del Vicereame spagnolo, risultava illegittimo, nato cioè
fuori dal matrimonio cristiano, in più ero diverso in quanto mulatto. Questa
situazione creò in me un mestizaje (meticciato) fra razze e culture
diverse.

Anche la burocrazia pesò non poco sulla tua vita. Non è vero?

Certo.
Fui registrato nella Chiesa di San Sebastiano di Lima come «figlio di padre
ignoto» perché mio padre non volle riconoscere né me né la mia sorellina. Ci
vollero diversi anni e una sua permanenza in Ecuador perché al ci riconoscesse
come carne della sua carne.

Quindi si può dire che tutto si appianò?

Direi di sì, anche dopo qualche anno mio padre fu
nominato governatore del Panama e ci lasciò a Lima con la mamma alla quale, però,
aveva dato le risorse necessarie per le nostre esigenze di vita.

Rimasto solo con tua mamma e tua sorella, che facesti nella Lima
coloniale, capitale del Vicereame del Perù?

Mia
mamma mi mise a bottega da un barbiere perché imparassi il mestiere. I barbieri
a quei tempi erano anche un po’ dentisti e chirurghi e ciò che appresi in
quella bottega (tagliare i capelli, fare la barba, strappare i denti, incidere
bubboni infetti, ecc.) mi toò molto utile in seguito, quando dovetti
risolvere un’infinità di casi che necessitavano del medico, che ovviamente non
era possibile trovare. E io con le conoscenze che avevo acquisito mi trovai a
operare in un settore dove non c’era molta concorrenza.

Avevi pertanto un avvenire garantito con queste tue nozioni
sanitarie e praticità «chirurgiche».

Sì, però fare il cerusico, il barbiere o il cavadenti non mi
appagava fino in fondo, sentivo dentro di me un richiamo molto più intimo e
suggestivo. Il Signore lavorava nella mia coscienza e rendeva il mio cuore
sempre più inquieto. Ogni giorno che passava capivo sempre più che mi voleva
totalmente per Lui.

Fu in questo periodo quindi che decidesti di diventare frate
domenicano?

Proprio così. Questo grande Ordine della Chiesa, fondato da San
Domenico di Guzman, che ha il carisma della predicazione del Vangelo al popolo
e che ha in San Tommaso d’Aquino il suo esponente più illustre, mi attirava
proprio perché aveva come caratteristica quella di non lasciare nessuno
nell’ignoranza. Anzi, in un certo qual modo, i Domenicani si rivolgevano
proprio a quella fascia e categoria di persone alla quale anch’io appartenevo,
per farla diventare soggetto privilegiato dell’annuncio evangelico.

Fu per te facile entrare nell’Ordine dei Domenicani?

Il
colore della mia pelle non mi aiutava certamente. Tanto ai neri, quanto agli
indigeni, come ai meticci, ai miei tempi non si potevano dare gli Ordini Sacri;
ma io non volevo diventare sacerdote per compiere chissà quali grandi opere, più
semplicemente, volevo consacrarmi al Signore nell’umiltà e nel nascondimento,
cercando di vivere come Lui aveva vissuto a Nazareth, cioè aiutando in casa e
contribuendo al mantenimento della famiglia.

E fu così?

Fin
dal momento in cui all’età di quindici anni entrai nel convento domenicano di
Lima, mi sentii liberato completamente, in quanto ero disponibile a una
consacrazione totale per gli altri. Mi furono affidati la cura della portineria
e i lavori più umili di pulizia della casa e della cucina. E mentre svolgevo
queste mie mansioni, la mia immaginazione spaziava continuamente contemplando i
misteri divini, per cui a livello interiore vivevo un’esperienza straordinaria
d’intimità con il Signore. Allo stesso tempo, svolgendo attività ripetitive,
ero stimolato con la preghiera del Rosario a innalzare la mia mente a Dio, il
che aumentava (non scandalizzatevi) la mia allegria e la mia voglia di donarmi
sempre più alla mia comunità e a coloro che vi ricorrevano per avere un aiuto.

E i Padri domenicani non si accorgevano di queste tue esperienze
mistiche?

Eh
sì. Dopo qualche tempo si accorsero di queste mie singolari particolarità, che
io considero doni del Signore. Mi tolsero dalla condizione subalterna, che vivevo
fin dall’inizio del mio ingresso, e mi accolsero all’interno dell’Ordine dei
Predicatori come fratello cornoperatore.

Questo ti facilitò nel tuo impegno verso i poveri, non è vero?

C’è
da dire che in quel periodo in Perù, come in tutti i territori conquistati
dalla Spagna, era ancora vivissimo il ricordo delle efferatezze che i
conquistadores avevano commesso. Molte persone quindi avevano perso ogni cosa e
vivevano in estrema povertà, così come coloro che erano afflitti da varie
malattie si dirigevano ai conventi, sicuri di avere almeno un pezzo di pane o
una bevanda calda. E puoi ben immaginare che, avendo io sofferto la condizione
di emarginazione per un verso e di razzismo per un altro, ero molto sensibile
verso i poveri che accorrevano a noi.

Non ti limitavi a dare l’elemosina?

No.
Mi diedi da fare per avviare delle opere assistenziali e istituzioni permanenti
di promozione sociale e culturale, destinate a durare nel tempo. Andavo dai
nobili e con franchezza chiedevo aiuti e risorse, non per me, ma per quelli più
svantaggiati. Praticamente non c’era casa di aristocratici che non riceveva la
mia visita e dalla quale me ne andavo a mani vuote.

Il coraggio non ti mancava allora?

Quando
non chiedi per te, ma chiedi per gli altri, puoi andare dal Viceré,
dall’Arcivescovo, dal Goveatore e da tutte le famiglie abbienti, per avere
quello che bisogna ridare ai poveri per giustizia e non per carità. Mettevo
tanta forza di convinzione nelle mie parole, che molti dei nobili si sentivano
privilegiati per essere stati scelti come collaboratori di fra Martin de
Porres!

Quando arrivò la peste in Lima ti desti da fare per lenire le
sofferenze di coloro che erano colpiti da quella grave malattia.

Curai
tutti i miei confratelli e nessuno di loro morì per il terribile morbo, così
come andavo per la città per dare conforto a chi nelle proprie case, sui propri
giacigli, affrontava la fase terminale della malattia. Grazie a Dio questa
tragica situazione passò e si ritoò alla vita normale.

È vero che fondasti il primo collegio per bambini poveri a Lima?

Di
per sé risulta essere il primo collegio a Lima, ma nei fatti è il primo
collegio del Nuovo Mondo. L’istruzione ai figli di coloro che erano esclusi dai
benefici della colonia non poteva essere negata. Insieme a alcuni confratelli
che avevano a cuore l’istruzione dell’infanzia, diedi origine e compimento a
quest’opera che già i miei contemporanei giudicavano meritoria e che con
l’andare del tempo si è rivelata profetica.

Quindi non sei per nulla un santo ingenuo e svagato, con la
testa fra le nuvole, che raccomanda ai topolini di non fare troppi danni in
dispensa e che vive in semplicità facendo i lavori più umili?

Questo
è quello che fa comodo a una presentazione della mia vita secondo canoni
agiografici, che presentano i santi sempre come delle persone che vivono sulle
nuvole e non creano problemi. Papa Pacelli che se ne intendeva di queste cose
volle invece che fossi proclamato «protettore della Giustizia Sociale», un
titolo che mi fa arrossire e inorgoglire allo stesso tempo, ma che rende merito
a tutto ciò che io feci durante la mia vita.

San
Martin de Porres, colpito da violente febbri, muore a Lima sessantenne. Per il
popolo peruviano e per i confratelli è subito santo. Invece l’iter canonico,
iniziato nel 1660, avrà una lunghissima sosta. Sarà Giovanni XXIII a
proclamarlo santo, il 6 maggio 1962. A distanza di anni dalla sua
canonizzazione, la sua figura si erge, semplice e amorevole, come prototipo del
liberatore, anche se egli viene raffigurato non con la spada in mano, bensì
nell’atteggiamento più umile e servizievole di chi, usando con maestria scopa e
ramazza sa mettersi al servizio dei più poveri e bisognosi.

 
Don Mario Bandera, Direttore Missio Novara

Mario Bandera