Piangere e «spogliarsi»

Scrivo mentre non si fa che parlare del terribile
naufragio di Lampedusa, con i pochi superstiti rei di clandestinità. Una
tragedia che ha provocato pietà e rabbia, compassione e sdegno e anche tanta
retorica. Eppure presto sarà dimenticata nella logica della
spettacolarizzazione mediatica. Chi ricorda ancora i 72 macellati nel Westgate
di Nairobi? Chi non è assuefatto al ripetersi delle bombe sui civili in Iraq? O
delle chiese bruciate in Nigeria? E degli scontri in Egitto? E in Siria? Chi fa
caso a cosa succede in Somalia, o si preoccupa della situazione in Centrafrica
o nel Nord-Est del Congo o in Libia? E quanti sono gli scomparsi dei quali non
si sa proprio niente, morti nel silenzio, nella clandestinità, nelle
reti dei trafficanti di uomini, nella follia apocalittica dei fanatici mutati
in terroristi in nome di Dio? E le vittime, gli schiavi e gli sfruttati del
perverso sistema economico in cui viviamo: giovani senza lavoro, anziani
abbandonati, esodati e licenziati, cassintegrati e senza casa, indebitati con
banche e strozzini (che è quasi lo stesso)… chi li conta più?

«Oggi sono qui con voi. Tanti di voi – ha
detto il Papa ad Assisi il 4 ottobre scorso – sono stati spogliati da questo
mondo selvaggio, che non dà lavoro, che non aiuta; a cui non importa se ci sono
bambini che muoiono di fame nel mondo; non importa se tante famiglie non hanno
da mangiare, non hanno la dignità di portare pane a casa; non importa che tanta
gente debba fuggire dalla schiavitù, dalla fame e fuggire cercando la libertà.
Con quanto dolore, tante volte, vediamo che trovano la morte, come è successo
ieri a Lampedusa: oggi è un giorno di pianto!».

Piangere! Invece prevale la tentazione di fare
la predica o di essere saccenti: «Bisogna fare così, bisogna fare cosà…». Di
fatto nessuno ha soluzioni in tasca. I problemi sono veramente complessi e
ramificati e il Male (come l’ha chiamato Domenico Quirico uscito dall’inferno
siriano) non solo penetra con i suoi tentacoli anche le istituzioni che
dovrebbero essere più integre e pure ma compromette anche la nostra capacità di
ragionare in modo obiettivo, di cercare la verità. Provaiamo solo a pensare
alla situazione dei cosiddetti «clandestini» che «vengono a invaderci», che «sono
pieni di pretese», che «conoscono solo la parola “diritti” e non quella
“doveri”», che «approfittano di noi», che «rubano il lavoro ai nostri figli»…
Da vittime sono trasformati in carnefici. Eppure chi lucra sul traffico di
uomini, fa documenti falsi, manipola le leggi, sottopaga in nero, intasca le
bustarelle o collude con le mafie, non sono certo i disperati che sbarcano a
Lampedusa ma insospettabili connazionali: funzionari, tutori dell’ordine,
avvocati, industriali, coltivatori, costruttori… In questo gioco perverso i
poveri sono usati contro i poveri, mentre molti politici cavalcano il
malcontento per una manciata di voti.

Piangere e cambiare il cuore. Piangere e spogliarci dai
pregiudizi, dall’apatia, dal pensare in piccolo, dal demonizzare le vittime. Ad
Assisi il Papa ci ha detto: «Queste cose le fa lo spirito del mondo». E ci ha
invitato a «spogliarci», sull’esempio di San Francesco. Perché «la mondanità
spirituale uccide! Uccide l’anima! Uccide le persone! Uccide la Chiesa!».
Occorre «spogliarci dello spirito del mondo, che è la lebbra, è il cancro della
società! È il cancro della rivelazione di Dio! Lo spirito del mondo è il nemico
di Gesù! Chiedo al Signore che, a tutti noi, dia questa grazia di spogliarci».

Sì, piangere i morti di tutte le Lampeduse del
mondo. Ma piangere per rinascere, spogliandoci della passività,
dell’indifferenza, dell’assuefazione, della svendita della nostra capacità
critica e, soprattutto, dell’indurimento del cuore. Per non essere solo dei «brontoloni»
inerti, ma «cristiani» cittadini d’Italia e del mondo: responsabili ed
esigenti, critici e onesti, «samaritani» e «profeti».

E ho finito per fare la predica! Scusatemi…

Gigi Anataloni

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