Nyaatha è Beata
Da Nyeri, Cronache
della Beatificazione
Narrare un evento
come quello della beatificazione di suor Irene Stefani, a Nyeri, non è facile.
Ogni cerimonia avrebbe bisogno di pagine e pagine, le quali tuttavia non
riuscirebbero a trasmettere a chi non era presente i sentimenti e le emozioni
che hanno attraversato la vita di chi vi ha partecipato.
La cronaca dei tre
giorni – 22-24 maggio 2015 – potrebbe essere paragonata a un trittico, opera
pittorica divisa in tre parti autonome ma complementari, che, pur mostrando
forme e colori in tre spazi ben distinti tra loro, cerca di armonizzare una
scena, o un soggetto: nel nostro caso, la bellezza della vita e della missione di
Irene Stefani.
1. Gekondi, il villaggio
di Nyaatha
Vigilia
di Tutti i Santi del 1930, la piccola comunità cristiana di Gekondi, sugli
altopiani centrali del Kenya, era già in chiesa e si meravigliava del ritardo
del missionario per la messa. Quando finalmente arrivò, aveva il volto triste e
annunciò: «Carissimi, la notte scorsa alle 10,30 suor Irene, la vostra Nyaatha,
è stata chiamata nella casa del Padre». La sorpresa e il dolore si impadronì
dei presenti. Tutti cominciarono a piangere e a scuotere il capo sconsolati.
La
notizia della morte di suor Irene si propagò velocemente, e tutti – cattolici,
protestanti e «pagani» – si ritrovarono uniti in un profondo cordoglio.
Il 1°
novembre la salma composta nella bara fu trasportata, su un camioncino, da
Gekondi a Nyeri, per essere tumulata nel cimitero della missione del Mathari.
Una grande folla giunse per dare l’ultimo saluto alla mware mwendi ando,
«la suora che vuol bene a tutti». Il 2 novembre, il funerale fu un vero
trionfo.
Ottantacinque
anni dopo, il 22 maggio 2015, di nuovo una fiumana di gente si snoda sulle
strade che salgono verso Gekondi, non più per piangere la scomparsa di suor
Irene, ma per celebrare le meraviglie che Dio ha compiuto in quella giovane donna,
che aveva promesso di «Amare la carità più di se stessa» e che in questa terra,
domani 23 maggio, sarà proclamata Beata.
Alle
16,00, la chiesa dedicata alla Madonna della Divina Provvidenza e tutti gli
spazi attorno sono gremiti. Due maxi schermi permettono a tutti di seguire la
veglia di preghiera. La celebrazione inizia con una danza eseguita da un gruppo
di ragazzine che indossano i costumi di diverse etnie. Due di loro sono vestite
da musulmane. La danza vuole sottolineare una delle caratteristiche della vita
di suor Irene Stefani: l’accoglienza e l’attenzione verso tutti senza
distinzioni etniche o religiose.
La
veglia continua con la lettura tratta da Siracide 44 che tesse l’elogio degli
antenati. Al termine, un ritratto di suor Irene viene portato in processione e
deposto ai piedi dell’altare. Poi il sacerdote legge uno stralcio da
Matteo 28 che riporta il mandato di Gesù
agli apostoli: «Andate in tutto il mondo, battezzate, insegnate».
Dopo
avere ascoltato la Parola, vengono proposti flash della vita di suor
Irene alternati a canti. Inizia quindi la carrellata dei testimoni. Don
Rutilio, parroco di Anfo per quarant’anni, ringrazia per l’esempio e la
vita di questa giovane donna consacrata a Dio e alla missione. La superiora
generale delle suore di Maria Immacolata di Nyeri, fondate da mons. Filippo
Perlo, Imc, sottolinea come suor Irene sia considerata la loro «mamma», perché
lei aveva accompagnato gli inizi della Congregazione insegnando alle future
suore, con l’esempio, cosa significasse consacrarsi al Signore.
Toccante è la testimonianza di tre persone che hanno
conosciuto suor Irene. John Mbutia (95 anni), ricorda che la missionaria
convertì suo nonno e suo zio e a lui, che faceva il chierichetto, insegnò a
rispondere, in latino, alle preghiere della santa messa. Per dimostrare che ciò
che dice è vero, con voce ferma e decisa, comincia a cantare in latino, come
suor Irene gli aveva insegnato, il Kyrie, il Gloria, il Santus.
Elizabeth
Wangui, centenaria, racconta che suor Irene era molto buona e faceva
chilometri e chilometri per raggiungere i bisognosi e curare i malati, ma era
anche molto esigente verso le giovani a cui insegnava i principi della fede e
molti canti per onorare la Madonna. Poi, all’improvviso, con grande stupore dei
presenti, Elizabeth comincia a cantare l’Ave Maris Stella, in latino.
Elizabeth
ricorda che sua mamma fu mandata alla missione del Mathari, Nyeri, ad avvisare
la superiora che suor Irene stava male. Purtroppo, nonostante la lunga corsa,
quando questa arrivò a Gekondi, la missionaria era già morta.
Milka
Wambui Itunde (95 anni), protestante, rammenta che era facile
scorgere suor Irene anche da lontano, perché indossava un grande cappello
bianco e rotondo (il casco coloniale) e un lungo vestito bianco che, per la sua
camminata veloce, svolazzava. Irene, continua Milka, conosceva bene la lingua
kikuyu, perciò la gente si confidava con lei. «Un giorno la missionaria seppe
che io, i miei fratelli e le mie sorelle avevamo una malattia che consumava le
dita dei piedi; subito, anche se non eravamo cattolici si affrettò a
raggiungere la nostra abitazione e a curarci. Toò parecchie volte finché
fummo guariti. Ho detto ai miei figli che senza le cure di suor Irene non avrei
potuto camminare!». L’anziana protestante termina la sua testimonianza cantando
un ritornello che l’assemblea ripete danzando: «Cosa posso fare per ripagare la
bontà di suor Irene?».
Prima
di terminare la veglia di preghiera, padre Gottardo Pasqualetti,
postulatore della causa di beatificazione, riassume i passi fatti per giungere
a questa meta, mentre padre Giuseppe Frizzi narra il miracolo di Nipepe,
Mozambico.
Infine,
madre Simona Brambilla, superiora generale delle missionarie della
Consolata, conclude indirizzando una lettera a suor Irene, che esprime
sentimenti di gioia e di ringraziamento.
I
canti ci accompagnano mentre, verso le 21, usciamo dalla chiesa di Gekondi e,
quasi «portati» dalla folla, scendiamo l’unica strada sterrata che porta ai
piedi della collina. La luce della luna, e ancor più la presenza di suor Irene,
madre misericordiosa, rischiara il nostro cammino.
L’ampia
area verde della Dedan Kimathi University alle porte di Nyeri, il 23
maggio 2015, è diventata una chiesa all’aperto e senza confini, sì perché le
persone che la gremiscono sono arrivate non solo dai vari angoli del Kenya
(Meru, Nanyuki, Loyangalani, Mombasa…), ma anche da altre nazioni dell’Africa,
Europa, America e Asia, per celebrare la beatificazione di suor Irene Stefani.
Alle
7 del mattino, per entrare nell’area assegnata alle suore si passa per parecchi
chilometri tra due ali di folla in attesa. Niente, neppure il calore del sole
riesce a fermare la gente che vuole essere testimone di un evento mai avvenuto
in questo scampolo di terra.
Dalla
zona dell’altare posto in alto, il colpo d’occhio lascia senza fiato: 300 mila
persone riempiono la spianata di prati verdi. I vestiti dai colori sgargianti e
caldi dell’Africa, le acconciature accurate, i canti accompagnati dai tamburi,
le danze, i volti sorridenti, contribuiscono a creare un’atmosfera di gioia e
ringraziamento.
La
bandiera del Kenya e quella del Vaticano sventolano ai lati dell’altare e nella
zona dove il presidente del Kenya, Uhuru Kenyatta, e i membri del suo governo
sederanno per partecipare alla cerimonia.
Alle
10,00, la danza di una cinquantina tra bambine e bambini del Children
helping children (Infanzia Missionaria) accompagnate dai canti del coro
composto di 600 membri appartenenti a 49 Parrocchie della Diocesi di Nyeri,
apre il corteo dei Vescovi (28) e dei Sacerdoti (500 ca.).
Il
primo saluto è quello dell’arcivescovo di Nyeri, mons. Peter Kairo, che
descrive suor Irene Stefani come modello di virtù che ogni cristiano dovrebbe
imitare per seguire il Maestro.
Suor
Linda Hill, missionaria della Consolata, legge una breve biografia di suor
Irene. Poi l’inviato del papa, l’arcivescovo di Dar-es-Salaam, Tanzania, il
cardinal Polycarp Pengo, legge la Bolla papale della beatificazione in latino e
il cardinale di Nairobi, John Njue, la ripete in inglese concludendo che la
festa liturgica della Beata Irene Stefani, sarà il 31 ottobre, giorno della sua
morte.
Dopo
la lettura della Bolla, il prolungato battimani dei partecipanti e gli
armoniosi trilli di gioia delle donne risuonano e rimbalzano in ogni parte
dell’assemblea. Quando viene srotolata la tela che ritrae la nuova Beata,
mentre madre Simona ne porta all’altare il reliquiario, il coro intona un
ritornello, ripetuto più volte dalla gente: «Ni Baraka» (è una benedizione).
Il reliquiario consegnato da madre Simona al cardinal
Njue verrà dato al parroco della chiesa
di Gekondi, segno della continua presenza della Beata su quelle colline dove
aveva annunciato con la vita che l’Amore non ha confini.
Poi
una lunga processione danzante porta la Bibbia verso il leggio. Dalla Parola,
in controluce, emerge il volto e la vita della nuova Beata.
La
prima lettura, da Isaia 52, 7-10, esalta la «bellezza» dei piedi e dei passi di
coloro che fanno risuonare la «buona notizia», che diventano messaggeri di
pace, di gioia e che proclamano la salvezza. La prima lettera di san Paolo ai
Corinti, 13, 1-13, descrive le caratteristiche della carità. Mentre il Vangelo
di Matteo, 25, 31-40, svela le azioni che identificano i seguaci del maestro.
Il
cardinal Njue, nell’omelia sollecita i presenti ad attualizzare il messaggio di
suor Irene: «Oggi, il Signore ci chiede di guardare la beata Irene Stefani, che
ci insegna ad amare e apprezzare la bellezza dell’umanità unita e in pace, ad
andare al di là delle diversità di cultura, nazionalità e religione. Non
importa da dove veniamo, o il gruppo etnico a cui apparteniamo, importa ciò che
siamo, che valori ci guidano; solo camminando in questa direzione diventeremo
come la nuova Beata: strumenti di pace e di unità. Sì, oggi è il momento di
guardare al passato e di sottolineare che cosa questa umile missionaria ha
fatto, ma è anche il tempo di guardare avanti e avere il coraggio di assumerci
le nostre responsabilità: tocca a noi curare e fare crescere il seme da lei
piantato, affinché porti frutto».
Il
cardinal Njue poi si rivolge ai giovani invitandoli a «coltivare i veri valori
e a impegnarsi nel tessuto della società per renderla migliore». Ai genitori,
invece, chiede di «assumere le proprie responsabilità nel crescere i figli in
maniera adeguata e saggia».
Chiudendo
l’omelia incoraggia le Congregazioni religiose a imitare la vita della Beata
affinché «la gente possa amare e servire Dio».
Al
termine della celebrazione vari membri del governo centrale e della Contea di
Nyeri si alternano per ringraziare e sottolineare gli aspetti significativi
della figura della nuova Beata. Il presidente, Uhuru Kenyatta, concludendo
questo grande evento nazionale sottolinea: «La beatificazione di suor Irene
Stefani ricorda a tutti i kenioti l’importanza dell’umiltà, la forza e la
potenza della misericordia e la bellezza dell’amore. Questa lezione non è per i
politici, ma ogni singola persona deve incominciare questo cammino, il solo
capace di cambiare la società, di portare pace e unità». Il presidente, con
forza poi ribadisce: «Il Kenya rispetta tutte le religioni perché non c’è una
fede superiore a un’altra, per questo continueremo a proteggere tutti, sicuri
che insieme saremo capaci di fare prevalere la tolleranza e la beata Irene ci
guiderà su questa strada».
Verso le 16,00, questa lunga giornata si conclude ed
entra nella storia e nei cuori dei presenti e di chi ha seguito l’evento in
diretta Tv oppure in streaming. L’augurio è che tutti siano toccati
dalla vita di questa umile missionaria che ha saputo scegliere e vivere
l’Amore, incarnando il proposito: «Gesù solo! Tutta con Gesù! Nulla da me!
Tutta di Gesù! Nulla di me! Tutta per Gesù! Nulla per me!».
3. Camminando con Suor
Irene
Il 24
maggio 2015, mentre a piedi, dietro le spoglie di suor Irene, percorro i 7
chilometri dalla parrocchia del Mathari a Nyeri, mi rivolgo alla mia Beata
consorella.
«Suor
Irene carissima, il tuo ultimo passaggio nella terra dei Kikuyu che, mentre eri
in vita percorrevi calzando i tuoi duri e scomodi scarponi chiodati per portare
il messaggio del Vangelo a tutti coloro che con libertà di cuore ti
ascoltavano, è stato un trionfo.
Quest’ultima
camminata non l’hai affrontata da sola, ma ti sei lasciata portare, prima a
spalle dai militari della British Army, commilitoni di coloro con i
quali avevi collaborato per curare i soldati feriti durante la prima guerra
mondiale. Poi, i tuoi resti sono stati posti su di un furgoncino sul quale sono
salite alcune tue consorelle, vescovi e rappresentanti legali. Mentre quattro
poliziotti a cavallo ti scortavano, una fiumana di gente: uomini, donne,
bambini, giovani e vecchi vestiti a festa, ti seguiva.
Umiltà,
povertà, obbedienza, preghiera, ospitalità, perdono, ma soprattutto la carità
è stata la molla, il “fuoco”, che ha acceso la tua vita e, per riflesso, tutte
le persone che ti hanno incontrato nel tuo rapido passaggio nel tempo e nella
storia. Oggi, sugli antichi sentirneri, ormai divenuti strade asfaltate, la gente
ti ripete, pregando e cantando, che ha capito il tuo messaggio: la carità non
si racconta, ma si vive con gratuità e diventa compassione, condivisione,
servizio.
La
tua vita, segnata da gesti discreti, semplici, ha rivelato che l’Amore è il
filo conduttore che si dipana e, nel tempo, tesse la nostra storia, come la
spola del tessitore che corre avanti e indietro sul telaio mentre il tessuto
cresce e il disegno, prima invisibile, si va completando.
I tuoi gesti non sono rimasti statici, incatenati a uno
spazio, o a un luogo, ma sono liberi e sono certa che lo Spirito che ti ha
spinta su e giù per le colline vicino a Gekondi per annunciare l’Amore di Dio,
muoverà anche chi ti sta accompagnando nella tua nuova “dimora”, a impegnarsi
per migliorare la propria vita e a lasciarsi toccare dalle necessità del
“prossimo”, come tu hai fatto, cara Nyaatha. Aiutaci a riappropriarci
della gioia della fede, della gioia dell’annuncio, della fierezza e
dell’audacia della testimonianza cristiana.
La
Chiesa, le tue consorelle, la gente del Kenya, non possono fare altro che
cantare con gioia: “Grazie Beata Irene!”».
Maria Luisa Casiraghi