Non più schiavi, ma fratelli
Il contrasto tra due parole forti che esprimono due modalità
opposte di concepire la relazione con l’altro è ciò che ci propone il tema
della 48a giornata mondiale della pace celebrata il 1° gennaio: Non più
schiavi, ma fratelli. Due termini carichi di significati: lo schiavo è
oggetto che non dispone di sé, proprietà di chi brama possederlo; il fratello
è soggetto, persona libera, dignità. Il fratello inoltre non è soltanto
persona e basta, ma è persona in relazione, che condivide con qualcuno lo
stesso padre, una comune provenienza, una medesima origine, un’identica
sostanza umana.
Mentre scriviamo, il testo del
messaggio del Papa non è ancora disponibile. Possiamo tuttavia immaginare ci
sia, tra i brani biblici che hanno ispirato il tema, Giovanni 15,15: «Non vi
chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho
chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto
conoscere a voi».
Il tema scelto dal pontefice è
ampio e urgente. La schiavitù non è infatti un flagello relegato nel passato:
sono molteplici e spesso nascoste le sue forme odiee. Schiavitù «estee»,
vissute da persone vittime di tratta, di condizioni di lavoro estreme, di
situazioni di guerra, di famiglie segreganti, di violenze, di discriminazioni,
di degrado ambientale, di malattie, e di altro ancora; schiavitù «interiori»
vissute da persone dominate da ideologie o moralismi, da sensi di colpa,
dall’invasività delle tecnologie della comunicazione, dall’isolamento, dal
mercato, dall’assenza di speranza e fede, dalla fame insoddisfatta di amore.
Ancora oggi molti schiavi cercano
la liberazione.
La riflessione sull’opposizione
tra oggetto (schiavo) e soggetto (fratello), ci ha ricordato (chissà perché?)
un altro brano di Giovanni, quello dell’adultera considerata oggetto dai
farisei e dagli scribi, e invece soggetto da Gesù (Gv 8,1-11): «Maestro, questa
donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha
comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Nell’episodio di
Giovanni 8, Gesù, prima di rispondere, scrive col dito sulla sabbia, poi, data
l’insistenza degli accusatori, risponde: «Chi di voi è senza peccato, scagli
per primo la pietra contro di lei». Infine si rivolge direttamente
all’accusata: «Donna, dove sono?». Come suona differente la parola «donna»
pronunciata prima dai farisei in terza persona singolare («lei»), e poi da Gesù
in seconda persona singolare («tu»). Sembra quasi che Giovanni voglia
rovesciare i ruoli: la donna adultera, percepita come oggetto dagli ideologi,
diviene soggetto, un tu con cui Gesù si mette in relazione, una donna, una
sorella, un’amica a cui Gesù fa conoscere l’amore del Padre («vi ho chiamato
amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi»);
i farisei e gli scribi che si credono liberi e padroni (soggetti), si scoprono
invece schiavi (oggetti delle loro intransigenze) grazie all’espediente del
Maestro di disegnare segni indecifrabili sulla sabbia: loro dovrebbero sapere
sul conto di Dio Padre (attraverso le scritture e gli stessi insegnamenti di
Gesù) cose fondamentali che invece non sanno. Loro chiedono a Gesù: «Tu che ne
dici?», ma dovrebbero sapere già da sé la risposta. Non sanno, non conoscono
quello che Dio compie, perché sono schiavi («il servo non sa quello che fa il
suo padrone»), non intuiscono in tal modo nemmeno di essere figli amati dal
Padre, cioè fratelli tra loro, fratelli della donna che vogliono lapidare. Solo
dopo aver richiamato la loro attenzione sulla loro incapacità di capire, Gesù
esprime a parole il cortocircuito in cui quegli uomini si trovano: «Chi di voi è
senza peccato», chi di voi non condivide la stessa natura umana della donna,
chi di voi ritiene che ella sia un oggetto, e non sua sorella, «scagli per
primo la pietra contro di lei». Uomini che vogliono disporre della vita di una
donna, che essi considerano un oggetto perché peccatrice, non possono negare di
essere essi stessi peccatori, quindi simili alla donna, suoi fratelli perché
provenienti dalla stessa origine, accomunati da una simile condizione umana.
Alla spicciolata, iniziando dai più anziani fino ai più giovani, tutti se ne
vanno lasciando libera la donna, la quale a sua volta, forse, in quel momento
comprende di essere stata altrettanto schiava, prima d’incontrare Gesù.
Non più
schiavi, ma fratelli. Non più imprigionati dentro l’assenza di fede, di
speranza e di amore, dentro l’idea che la pace non sia possibile. Ma fratelli,
persone in relazione tra loro che conoscono la loro comune provenienza,
consapevoli che la pace è impossibile senza un padre comune, difficile ma
realizzabile accompagnati da Lui.
Cari amici di amico,
avrete notato che in questo
numero di Missioni Consolata mancano le sedici pagine
dedicate ai giovani e
all’animazione missionaria che da quattro anni siete abituati a trovare a
inizio anno.
Amico cartaceo non è sparito,
ha solo cambiato periodicità: da
tre «inserti di formAzione missionaria» all’anno, passiamo a cinque,
con una
fogliazione leggermente inferiore. Ci ritroveremo quindi nel prossimo numero di
marzo,
e poi in quelli di maggio,
luglio, ottobre e dicembre 2015.
Nel frattempo seguiteci online su
amico.rivistamissioniconsolata.it
Luca Lorusso