Natale e concilio
Il Natale di quest’anno accade in un contesto tutto particolare, da un lato c’è il Giubileo della Misericordia, un’occasione per tutti di sperimentare l’amore personale, incondizionato e rigenerante di Dio, dall’altro c’è il circo mediatico che si nutre di notizie, di scandali che coinvolgono persone di Chiesa, di Vatileaks, di gossip e speculazioni su papa Francesco e di molto altro. Non entro nel merito delle varie notizie, spesso purtroppo vere anche se esagerate e fuori contesto; non mi interessa conoscere i particolari. Vorrei solo cercare di capire il senso di quanto sta succedendo. E forse il Natale, quello vero, mi aiuta a farlo.
La storia di cui facciamo memoria è, di per sé, un’anti-storia: quella del figlio di un povero senza terra – immagino Giuseppe dire a Maria (come fece mio padre con mia madre): «Ho solo queste braccia e il bene che ti voglio» – che, appena nato, viene rifiutato dai potenti ed esaltato dagli umili. Partorito durante un viaggio, in una casa non sua, subito cercato per essere ucciso e reso profugo, va poi a vivere nel villaggio più umile e nascosto di tutto Israele, Nazareth. Altro che Messia glorioso e vittorioso, atteso e temuto, altro che «Signore dei Signori, re della terra». La storia del Natale è piuttosto quella di un signor nessuno, ultimo degli ultimi, come cercheranno di dimostrare i suoi uccisori, esponenti di una strana alleanza politico-religiosa, facendogli subire il supplizio riservato agli schiavi-cose con l’inchiodarlo alla croce.
L’evento ricordato a Natale è stato l’inizio di una storia che continua ancora oggi: la contrapposizione tra la logica di Dio e quella degli uomini. L’azione di Dio è libera, gratuita, nascosta, periferica, rispettosa, inclusiva; quella degli uomini, anche di «religione», cerca invece successo, approvazione, potenza, visibilità, centralità, onori e ricchezze. L’uomo vuole impadronirsi di Dio per usarlo per i suoi scopi; invece Dio si offre alla libertà dell’uomo in maniere sempre nuove e non convenzionali.
Cinquant’anni fa il Concilio Vaticano II iniziava un faticoso cammino per liberare la fede dalle sovrastrutture religiose accumulate nei secoli, per restituire alla Chiesa, popolo di Dio, la missione di essere testimone non della potenza giudicante e selettiva di un Dio glorioso nei cieli, ma dell’amore di un Dio che si è fatto uomo e tutti accoglie con una preferenza spiccata per i poveri, i peccatori, gli emarginati e gli scarti, un Dio che disdegna i grandi templi e preferisce i cuori; testimone di un Dio che non parla in lingue auliche che hanno bisogno di interpreti, ma che comunica nel linguaggio comune perché tutti lo conoscano davvero come Padre misericordioso, Pastore buono che conosce ciascuno per nome, Fratello e amico che si fa pane spezzato. È stato un vento impetuoso, il Concilio, che ha disperso le nubi, aperto nuovi orizzonti, alimentato la speranza, ma ha anche creato scompiglio in chi ha visto i propri privilegi e le proprie sicurezze messi in discussione.
In questo mezzo secolo sembra però che quel vento abbia pian piano perso vigore, non solo perché noi uomini abbiamo la memoria corta e ci abituiamo a tutto, ma anche perché quelli a cui piace un Dio sonnacchioso che dall’alto dei cieli si accontenta di nuvole d’incenso, di belle chiese e di tante candele, sono corsi a chiudere porte e finestre, a tagliare ponti e innalzare barricate.
Poi è arrivato il ciclone delle dimissioni di Benedetto XVI, e il vento fresco di Francesco. «Poveri, scarti, emarginati, chiesa in uscita, chiesa ospedale, accoglienza, attenzione alla persona, povertà, trasparenza, sobrietà…»: le parole di sempre, dette in modo nuovo, sgravate dal vetusto «chiesese» dei documenti curiali, sono tornate in libertà. E non solo le parole, ma soprattutto i gesti di Francesco, spiazzano e confondono, oppure confortano e incoraggiano. La reazione dei custodi della tradizione, riluttanti alleati di terremotatori gongolanti, non si è fatta attendere, come abbiamo visto in questi ultimi mesi, prima, durante e dopo il Sinodo sulla famiglia. Il paradigma del Natale si è ripetuto.
Ma il Natale, storia di libertà e gratuità, di semplicità e incontro, non si lascia ingabbiare. Nemmeno dagli scandali che periodicamente scuotono la Chiesa. Come il primo Natale non è stato fermato dalle violenze di Erode o dall’ipocrisia dei custodi del «Tempio e della Legge», così anche il cammino iniziato anni fa dal Concilio e galvanizzato oggi dal carisma di Francesco, non sarà fermato. Anzi, come la storia sacra ci insegna, questi scandali e le sofferenze a essi legate, nelle mani di Dio stanno diventando un’occasione di grazia e rinnovamento, un pungolo a continuare il cammino per la confusione dei «beffardi» e la consolazione e dei «miti e puri di cuore».
Buon Natale. E che il 2016 sia davvero l’anno della misericordia.
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Buona lettura.