Mandela: Tra i grandi della terra
di 95 anni. La sua lunga malattia aveva tenuto il mondo col fiato sospeso per
mesi. Dagli studi da avvocato alla rivolta armata, fino alla creazione di una nazione unita, un ritratto
inedito secondo padre Pearson, incaricato del collegamento tra i Vescovi
cattolici e il Parlamento sudafricano.
Nelson Mandela è
probabilmente stato una delle più importanti icone politiche del nostro secolo.
Egli è stato per il Sudafrica quello che Winston Churcill era stato per la Gran
Bretagna durante la seconda guerra mondiale, o il Mahatma Gandhi per le masse
di indiani del subcontinente o Martin Luther King per i discendenti degli
schiavi africani nel profondo Sud degli Stati Uniti d’America. Sono tutti
leader, questi, che hanno mostrato coraggio, e sono degli importanti
riferimenti ancora oggi perché hanno indicato una direzione in alcuni dei più
bui e brutali periodi della storia dei loro paesi. Leader la cui leadership si è estesa ben oltre il loro contesto immediato e il loro tempo per
diventare parte nobile dell’umanità.
La
statura di Mandela è dimostrata dal fatto che gente di ogni schieramento
ideologico in Sudafrica è d’accordo nel sostenere che egli ha rappresentato ciò
che di più nobile c’è nelle aspirazioni del paese. Un altro segno di quanto il
mondo sia stato legato a quest’uomo è l’enorme quantità di libri e articoli
scritti su di lui, e i luoghi a lui intitolati in ogni paese.
Mandela
è stato visto come simbolo di riconciliazione, perdono, coraggio, saggezza e
giustizia. Valori veri di cui si ha bisogno nella maggior parte del mondo. Il
tratto che probabilmente, sopra a tutti gli altri, ha reso la sua vita così
affascinante è stato la sua capacità di incarnare con potenza quello che la
gente comune desiderava in risposta al deficit morale presente in molti aspetti
della politica e del mondo.
Il
suo sorriso sempre pronto e la sua cortesia vecchio stile hanno fatto di lui un
custode naturale di questi valori. In un mondo ossessionato dall’ego e dalla
magnificazione personale, il suo sacrificio di 27 anni passati in prigione, il
suo rifiuto di vedersi come l’eroe generale della rivoluzione sudafricana, e la
sua coscienza di essere stato uno dei tanti che hanno giocato un ruolo nel
lungo processo della libertà politica, sono sicuramente un raro esempio di
umiltà nell’ambiente politico. Questo è ancora più vero in un’epoca segnata
dalla corsa spietata all’auto promozione e all’affermazione radicale di sé. In
questo modo egli è stato, e continua a essere, visto come un profeta nello
stile di quelli biblici.
Una delle abilità raramente riconosciute di
Mandela è il suo essere stato un potente stratega: lungo tutto il percorso
della sua vita, ha preso decisioni strategiche basate su quello che sentiva
potesse meglio servire il popolo oppresso del Sudafrica. Ma capì, e sviluppò in
diverse occasioni, la convinzione che la sua azione dovesse essere anche
orientata verso chi beneficiava dell’oppressione degli altri. La liberazione
era per lui indivisibile!
Da giovane prese la decisione cosciente di entrare nella
professione di giurista, sperando, in un paese nel quale sistematicamente si
sovvertivano i valori di giustizia e correttezza, di poter usare le sue
competenze per «portare avanti la lotta anche nella fortezza del nemico». Una
visione e un impegno a favore non solo della ricerca delle migliori vie per un
risarcimento storico, ma anche di un rinnovamento della disciplina giuridica in
un’epoca in cui i successi accademici per i neri erano molto difficili da
ottenere.
Anni dopo, esauriti tutti i mezzi pacifici per l’acquisto della
libertà per gli oppressi, ispirandosi ad altri movimenti di liberazione dal
colonialismo nel mondo, con un gruppo di colleghi formò l’ala militare
dell’African National Congress (Anc), allo scopo di usare atti di
violenza, simbolici e selezionati, contro installazioni dello stato. Mandela,
nel suo discorso dal banco del processo per tradimento, ricordò alla corte che
ogni mezzo di protesta pacifica era stato tentato e lo stato era diventato
sempre più violento nella sua repressione. Da un punto di vista strategico, una
più dinamica forma di resistenza era diventata necessaria. Fece allora il
famoso commento: «Il momento viene nella vita di ogni nazione in cui rimangono
solo due scelte: sottomettersi o combattere. Quel momento è ora arrivato in
Sudafrica. Noi non dovremmo sottometterci e non abbiamo scelta se non
rispondere con ogni mezzo in nostro potere in difesa della nostra gente, del
nostro futuro, della nostra libertà».
Più tardi, quando il movimento di liberazione andò al governo del
paese, Mandela prese l’impegno strategico e di principio di cercare la via
della riconciliazione. Già dalla prigione, prima di essere rilasciato, in
alcune sue note portate illegalmente fuori dalla cella, trasmetteva la chiamata
a prepararsi per un tempo di riconciliazione attraverso il perdono. La
citazione seguente è il tipico mantra politico che lui ha inculcato nella gente
attraverso tutto il paese: «Noi dobbiamo agire insieme come un popolo unito,
per la riconciliazione nazionale, la costruzione nazionale e la nascita di un
nuovo mondo. Che sia giustizia per tutti. Che sia pace per tutti».
Sostenendo questo Mandela creò i presupposti per prevenire ciò che
avrebbe potuto facilmente diventare un bagno di sangue. È stata la sua
insistenza tranquilla sulla persuasione, piuttosto che sulla coercizione, che
ha dato al Sudafrica le fondamenta non razziste sulle quali costruire il paese.
Il sogno non razzista è ancora lontano da essere realizzato ma almeno ha un
terreno condiviso, un consenso di base, una narrativa comune che indica la
direzione futura del paese.
Legata a questo c’è sempre stata in lui la qualità accattivante di
non mostrarsi come uno che aveva tutte le risposte alle domande e alle
posizioni ideologiche, ma piuttosto come qualcuno che era abituato, nel
linguaggio del poeta Rilke, a «vivere con le domande». In una società dominata
da una continua ricerca di risposte istantanee e da soluzioni spesso imposte da
chi ha la voce più forte, Mandela, tranquillo e riflessivo, ha cercato risposte
che potessero essere condivise dal maggior numero di attori, offrendo una forma
di leadership unica al mondo.
Mandela capì che dopo secoli d’ingiustizia razziale e terribile
oppressione, lasciare spazio al desiderio di vendetta ovvio in molte zone del
paese sarebbe stato disastroso, e così decise di lanciare una chiamata per la
riconciliazione e la costruzione della nazione.
La sua chiara comprensione fu che una lotta senza fine agli errori
del passato avrebbe portato meno risultati che un impegno a realizzare
giustizia in tutte le sfere: politica, economica e culturale. Ma capì pure che,
mentre bisognava evitare che il futuro fosse influenzato solo dal passato, si
sarebbe dovuta coltivare la memoria di quanto successo. E andò oltre,
istituendo la Commissione Verità e Riconciliazione per assicurare alla nazione
che non si sarebbe più tornati a ripetere i gravi errori del passato.
Una volta ritirato dalla vita politica, Mandela ha continuato a
spendere se stesso nel lavoro di riconciliazione, specialmente nel tentativo di
costruire una vita migliore per i bambini attraverso la sua Fondazione, la Nelson Mandela Children’s fund. Capì che dopo
aver vinto la libertà politica, occorreva dare contenuto a questa vittoria.
Egli vide inoltre che essa andava orientata a coloro che restavano i più
vulnerabili nella società, ovvero i bambini del paese. Anche nel periodo in cui
fu presidente, il compito di costruire scuole, in particolare in aree rurali,
fu una priorità nazionale. Di Nelson Mandela si può dire che sia stato un buon
interprete dei segni dei tempi.
Riconosciuto come «grande stratega», ciò che lo ha portato a
essere così popolare è stato il suo grande cuore, il suo amore appassionato per
la gente e un profondo senso dell’etica del servizio.
Mentre è stato restio a esprimere punti di vista religiosi e
preferenze confessionali in pubblico, le qualità personali appena descritte e
il suo impegno incrollabile per le chiese hanno creato un linguaggio condiviso
con la comunità religiosa. È stato certamente un linguaggio basato sui valori.
Ci sono stati anche meravigliosi e toccanti momenti in cui la sua
affinità con la comunità della fede è stata pubblicamente evidente.
Se incontravi Nelson Mandela ed eri vestito con l’abito da
sacerdote, egli inevitabilmente parlava chiaro e forte del suo rispetto per la
Chiesa, di quanto questa gli aveva dato nei suoi primi anni di formazione e
come, se non fosse stato per essa, lui e molti della sua generazione non
sarebbero arrivati dove sono arrivati. È stato generoso nel suo atto di
riconoscimento del ruolo della Chiesa nella lotta contro l’apartheid.
Una delle sue caratteristiche è stata quella di non dimenticare
mai una gentilezza personale ricevuta, e di ricordare la generosità degli
altri. Abbiamo visto questo quando visitò l’Irlanda. Nel mezzo di una visita di
stato sovraccarica chiese informazioni dell’ex cappellano di Robben Island (la
prigione di Mandela, ndr), padre Brendan Long, che era in ospedale, e parlò con lui al
telefono. Ricordò la vita in carcere e ringraziò padre Long per i suoi anni di
servizio, la sua gentilezza e generosità. Anni che marcarono indelebilmente lo
spirito del presidente che continuava a essere riconoscente a un umile
cappellano di prigione.
Sembra quasi una fiaba: un prigioniero uscito dopo 27 anni di
incarcerazione era diventato presidente.
E se questa storia contiene l’eco di un sogno, se ha gli elementi
di una fiaba, certo è importante ricordare che c’è chi ha lavorato per
realizzare questo sogno e lottato per rendere realtà una fiaba. Questa è
un’altra lezione di Nelson Mandela, quella di non abbandonare i propri sogni,
perché essi possono essere raggiunti e diventare, in un modo misterioso, la
storia, i mattoni di un nuovo mondo.
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Direttore del Southe African Catholic Bishops Conference Parliamentary Liason
Office, l’ufficio di collegamento tra Conferenza
Episcopale e Parlamento.
Peter_John Pearson