settimane negli ospedali piemontesi. Sono insieme ai volontari locali, alcuni
dei quali andranno in visita in Portogallo. È un programma europeo di scambio tra
volontari dell’Unione. Per conoscersi, capire, imparare e riportare a casa
qualche buona pratica. Cosa hanno scoperto nel nostro paese? Le abbiamo incontrate.
Branca Maria, Eugénia, Graça e
Manuela: le incontriamo per una cena al Caffè Basaglia, circolo Arci di Torino
nato per dare lavoro a persone con problemi psichici. Ma loro, le nostre amiche
arrivate da Lisbona, nel proprio paese si occupano di un altro tipo di disagio:
prestano infatti servizio di volontariato accanto ai malati oncologici per
conto della Lpcc, la Liga portuguesa contra o cancro.
«L’occasione che ci ha portate in Italia è stato uno
scambio tra il Nucleo regionale du Sul – la sezione della Lpcc che
include Lisbona, Madeira e le Azzorre – e l’Avo, Associazione Volontari
Ospedalieri del Piemonte, per conoscerci e confrontare le rispettive
esperienze. Noi siamo state qui tre settimane. Poi, a marzo, quattro volontari
italiani ricambieranno la visita», spiega Graça Almeida, 63 anni di cui 18
trascorsi come volontaria accanto ai malati terminali.
«Questo gemellaggio tra associazioni europee è stato possibile
grazie a un progetto dell’Unione Europea, il progetto Grundtvig Life (=
esperienza sul campo)» spiega Leonardo Patuano, presidente dell’Avo Piemonte, «destinato
agli over 50 e basato sull’idea che il volontariato rappresenti una forma
importante di apprendimento “non formale”, da sostenere attraverso il dialogo
tra soggetti simili operanti in realtà e con prassi diverse». Un’iniziativa
interessante che dimostra come l’unità dell’Europa non passi solo per il
tramite degli interessi economici comuni, come è avvenuto di recente nei casi
Telecom (con la Spagna) e Alitalia (con la Francia), ma possa costruirsi
attraverso i legami sociali e la cittadinanza attiva.
Ma perché dal Portogallo hanno mandato tutte donne? «È stato un
caso, inizialmente doveva esserci anche un collega ma all’ultimo ha avuto un
problema familiare e ha dovuto rinunciare, così sono subentrata io» racconta
Eugénia Cunha Ferreira, 58 anni, di cui 7 al servizio dei malati oncologici in
ambito pediatrico.
«In effetti però l’80 per cento dei membri della Lpcc sono donne,
come ho visto anche nel caso dell’Avo; probabilmente il motivo è culturale, le
donne sono più “abituate” ad accudire e a prendersi cura degli altri».
Nelle tre settimane trascorse in Italia le
ospiti portoghesi hanno incontrato le diverse realtà ospedaliere – ma anche
case di riposo, centri diui, hospices ecc. – dove
operano i volontari dell’Avo, spaziando su tutto il territorio piemontese (da
Torino a Borgomanero, da Cuneo ad Arona) e affiancando i volontari in servizio
nei vari reparti: oncologia, pediatria, ginecologia, geriatria…
«L’esperienza dei volontari qui e nel nostro paese non è del tutto
equiparabile, perché in Italia si interviene in ospedali “generalisti” mentre
noi ci troviamo in ospedali specializzati nel settore oncologico» nota Graça. «Tuttavia
– sottolinea Branca Maria Baptista, nella Lpcc da 18 anni – il servizio svolto è
sostanzialmente lo stesso: si tratta di fare compagnia alle persone malate e
alle loro famiglie facendole sentire accolte, ascoltate, attraverso l’offerta
di un sorriso, di una carezza, di una parola gentile…».
La Lpcc svolge anche servizi particolari, come il dono dei fiori
agli ammalati o il momento del caffelatte, «cioè portiamo in reparto bevande
calde e biscotti per i pazienti» spiega Eugénia Cunha Ferriera. «Questo è un
modo per rompere il ghiaccio, per creare un primo rapporto con i degenti o, nel
caso dei bambini, con i genitori, offrendo loro un momento di sollievo e
permettendogli di allontanarsi per un po’ sapendo che accanto ai loro piccoli
rimaniamo noi».
A differenza di quanto avviene in Italia, però, la Liga
portuguesa contra o cancro deve provvedere anche ad altri bisogni dei
malati, oltre a quelli relazionali e di supporto immediato.
«Da noi il servizio sanitario pubblico non fornisce tutto, molti
strumenti e prestazioni sono a pagamento, e per tanti cittadini è impossibile
sostenerli di tasca propria», spiega Manuela Moreira, 63 anni e 14 di
volontariato. «Perciò noi interveniamo per i più bisognosi, su segnalazione dei
servizi sociali, foendo ad esempio le protesi per le donne operate al seno o
per i pazienti laringectomizzati e stomizzati, i farmaci e i macchinari per gli
ospedali. Finanziamo anche la formazione e la ricerca erogando borse di studio
destinate a medici e infermieri, e acquistiamo libri e riviste per le
biblioteche degli ospedali».
Per fare questo la Lpcc mette in campo
diverse strategie di raccolta fondi. Ogni anno, ad esempio, dal 31 ottobre al 3
novembre vengono dedicati quattro giorni alla raccolta in piazza, che vede
coinvolto tutto il Portogallo. «Le persone rispondono con generosità al nostro
appello, perché la Liga è molto conosciuta e apprezzata», dice Manuela. Tant’è
vero che, pur contando su un numero di volontari relativamente contenuto (400 a
Lisbona, e circa 3.700 in tutto il Paese), la Liga riesce a mettere ogni anno
più di 500.000 euro a disposizione degli ammalati. «La maggior parte degli
introiti proviene proprio dalla raccolta in strada», osserva Maria Graça
Almeida, «poi abbiamo i finanziamenti di aziende e associazioni, i lasciti
testamentari e l’equivalente di quello che è il 5×1000 in Italia. Un’altra
piccola entrata è rappresentata dagli eventi sul territorio (spettacoli,
vendita di artigianato, ecc.) e dalle quote sociali che versiamo noi volontari:
ci viene richiesto un contributo minimo di 15 euro l’anno, ma c’è chi mette
molto di più».
A riprova dell’alta considerazione di cui godono i volontari in
Portogallo, ci sono le modalità in cui vengono «ufficialmente» inseriti nella
Liga: dopo un corso base e un tirocinio che dura dai 9 ai 12 mesi (ogni tre
mesi in un ospedale oncologico diverso) si svolge la cerimonia di consegna dei
camici con cui i neo volontari presteranno servizio. Ebbene, spiega Branca
Maria, «questa cerimonia assume i toni di una vera e propria festa nazionale, è
un momento di gioia e solennità, cui partecipa ogni anno anche la moglie del
presidente della repubblica».
«In Italia il volontariato non è altrettanto valorizzato, e i
nostri volontari – pur desiderando mettersi al servizio dei malati e
dell’associazione – non hanno la percezione di assumere un impegno nei
confronti dell’intera nazione», osserva Leonardo Patuano. «Tuttavia anche da
noi, pur svolgendosi in tono minore, il passaggio dal tirocinio al servizio
effettivo è sentito come un momento di grande emozione e di soddisfazione, per
il neo volontario ma anche per il tutor che l’ha seguito e per tutta l’équipe».
«Il tour delle volontarie portoghesi è stato organizzato
per dar loro la possibilità di sperimentare un ampio ventaglio di situazioni, a
contatto con realtà di diverse dimensioni» (le Avo del Piemonte vanno da quella
di Torino, con circa 1.000 volontari, a quella di Torre Pellice con una
cinquantina di presenze, nda) spiega Patuano; «e abbiamo voluto presentare anche altre realtà
d’impegno sociale oltre alle nostre: per questo la cena al Caffè Basaglia, o il
pranzo alla Cascina Roccafranca in occasione di un meeting di associazioni Lazio-Piemonte.
Nella Giornata nazionale dell’Avo abbiamo anche “sconfinato” fino a Roma, dove
le volontarie hanno avuto la possibilità, e direi la gioia, di assistere
all’Angelus di Papa Francesco». Un fitto calendario d’impegni, che ha però
lasciato spazio anche a momenti liberi, dedicati alle visite turistiche e al «lavoro»:
«Ogni giorno abbiamo redatto una sorta di diario dove annotavamo le varie
esperienze, gli incontri e le realtà osservate; al ritorno a Lisbona avremo la
responsabilità di trasmettere le conoscenze acquisite anche agli altri colleghi
della Lpcc», spiega Eugénia. E aggiunge: «Questi scambi servono per crescere e
arricchirsi, sono un primo passo per arrivare a un obiettivo a più lungo
termine: costruire una Unione europea dei volontari, in cui tutti possano
migliorare nel proprio servizio e operare in maniera più uniforme».
Ma in attesa di raggiungere questo obiettivo ambizioso, cosa
stanno mettendo in valigia le volontarie portoghesi? «Certamente quello che ci
porteremo a casa è il senso di calore, per la grande accoglienza e ospitalità
di voi italiani», dice Branca Maria. «Abbiamo trovato molta disponibilità,
alcuni volontari di Torino, incluso Leonardo, ci hanno accompagnate in ogni
spostamento facendoci da guide nel conoscere le realtà di sofferenza e gli
interventi per alleviare il disagio, che è fatto di malattia ma anche di
solitudine. E sono stati preziosi ciceroni, conducendoci alla scoperta delle
bellezze artistiche e naturali del vostro paese».
«Per noi è stato volontariato anche questo, un compito agevolato
dal fatto che le colleghe portoghesi parlavano benissimo la nostra lingua»,
dice Castiliano Boscolo, 60 anni, una delle guide «ufficiali». «Nel loro paese
hanno seguito un corso di italiano di 30 ore, come previsto dal progetto (lo
stesso faranno i volontari italiani che andranno a Lisbona, nda), e devo dire che l’hanno imparato
molto bene. Tant’è che gli ammalati avvicinati in queste settimane hanno
ricambiato le loro attenzioni con grande simpatia e affetto. E naturalmente si
sono sentiti anche un po’ onorati dal fatto di ricevere queste visite…
inteazionali!».
«Mi auguro che la nostra esperienza sia solo l’inizio di un
cammino, per crescere insieme, volontari italiani e portoghesi, e imparare a
stare vicini al disagio in maniera sempre più efficace», dice Branca Maria. «La
nostra speranza è che, in un futuro non troppo lontano, questa collaborazione
possa allargarsi anche ad altri paesi europei».
Uno scambio tra chi pratica volontariato per conoscersi e
avviare rapporti duraturi nel tempo. Capire le differenze di servizio nei
nostri paesi, imparare. Perché «il volontariato richiede professionalità e
competenza».
Quali sono gli obiettivi dello scambio tra volontariato
italiano e portoghese?
«L’idea di partenza è quella di conoscersi meglio, per
scambiarsi a vicenda le “buone pratiche” e avviare rapporti di collaborazione
che durino nel tempo. Le colleghe portoghesi ad esempio sono rimaste molto
colpite dalla nostra capacità di operare “in rete” con altre associazioni
presenti sul territorio: nell’ospedale pediatrico di Torino ad esempio l’Avo
collabora con altre sei realtà, tutte impegnate, con competenze diverse ma
complementari, nell’assistenza al bambino malato e alla sua famiglia; in varie
Avo piemontesi si interviene poi accanto ai malati psichiatrici in sinergia con
associazioni di familiari e utenti. Si tratta di un’attitudine a non chiuderci
nel nostro orticello ma a cercare la collaborazione con altri per garantire un
servizio che risponda a 360° alle esigenze del malato. Ecco, questo modello
culturale, questo passaggio dalla “mia associazione” al “noi volontari” è stato
un aspetto apprezzato dalle colleghe portoghesi. E in fondo, è lo stesso
atteggiamento che ci ha spinti a guardare fuori dai confini nazionali. Da parte
nostra, siamo rimasti colpiti dalla concezione portoghese che considera il
volontariato un impegno da assumersi nei riguardi dell’intera nazione».
Come avete selezionato i volontari destinati allo
scambio?
«Intanto c’era un limite d’età perché il progetto
dell’Ue era rivolto ai volontari senior (over 50), per valorizzae
l’esperienza e per renderli più consapevoli della dimensione europea in cui si inserisce
il loro servizio. La selezione non è stata semplice perché le Avo del Piemonte
raggruppano circa 3.000 volontari, di cui 2.500 al di sopra dei 50 anni; perciò
sono andato in “missione” nelle diverse zone per presentare il progetto e fare
proselitismo tra i volontari. Alla fine è uscita una rosa di 10 candidati, e la
selezione si è svolta in base a precisi requisiti: la provenienza geografica,
in modo che fossero rappresentate le diverse realtà del territorio piemontese,
la capacità di restituzione dell’esperienza ai colleghi rimasti a casa, il
ruolo ricoperto all’interno dell’associazione, e ovviamente, come titolo
preferenziale, la conoscenza della lingua portoghese o dell’inglese».
Quali sono le aspettative rispetto a questa esperienza?
«Prima di tutto c’è una valenza formativa, i volontari
europei possono apprendere gli uni dagli altri sviluppando la propria capacità
d’innovazione. Ma soprattutto mi auguro che esperienze come questa servano per
darci una spinta in più nelle cose che già facciamo, spronandoci a farle sempre
meglio, rafforzando la nostra consapevolezza e le nostre motivazioni. Perché il
volontariato non è fatto solo di altruismo e buoni sentimenti, ma richiede
professionalità e competenza. Dobbiamo formarci e aggioarci di continuo, per
stare accanto alle persone più vulnerabili senza fare involontariamente danni,
ma offrendo loro un aiuto reale».
I numeri
26 convegni e 11
pubblicazioni per promuovere e sensibilizzare sulla salute
244.867 mammografie realizzate nel 2012 (in 25 unità mobili
e 3 fisse)
4.500 accompagnamenti
annui ai consulti psico-oncologici
36.000 alunni di scuole primarie e secondarie incontrati in
260 iniziative di (in)formazione
524.000 euro spesi nell’anno per acquisto di farmaci,
protesi, trasporti, alimenti per i malati.
2002 l’anno di nascita del cornordinamento tra tutte le Avo
piemontesi
3.000 i volontari in servizio sul territorio regionale
350.000 le ore annue di presenza gratuita accanto ai malati
e alle loro famiglie
17 le sedi principali e 17 le sezioni distaccate
36 i Comuni piemontesi dove l’Avo è presente
65 le strutture sanitarie dove si svolge il servizio
Stefania Garini