Ultima puntata della vita a fumetti della Beata Irene Stefani, Nyaatha per la gente dell’altipiano centrale del Kenya.
Una vita spesa per amore, fino alla donazione totale di sé.
SULLA TOMBA DI UNA SUORA
4.000 battesimi – Vittima volontaria
da Missioni Consolata, aprile 1931
Abbiamo annunziato, nel numero di gennaio u. s. (1931), la morte della rev. suor Irene, Missionaria della Consolata al Kenya. Ora la Superiora di quelle Suore comunica alla Madre Generale di Torino le seguenti notizie sulla dolorosa perdita, notizie che crediamo bene di pubblicare perché siamo certi che faranno del bene ai nostri cari lettori.
Ven.ma Madre Generale,
Venerdì, 31 ottobre 1930, serenamente spirava nel bacio del Signore la nostra carissima Sr. Irene, dopo breve malattia. Si può dire senz’ombra d’esagerazione, ch’era una santa. Nel suo apostolato di ben 16 anni, ci fu sempre di edificazione sia come religiosa perfetta in tutte le virtù, sia come missionaria instancabile. I battesimi da lei amministrati in articulo mortis raggiungono i quattro mila, e Dio sa le fatiche, gli sforzi eroici per convertire le anime… I neri stessi, in questa ultima sua malattia, dicevano: «Mware Irene ci ha sempre tanto beneficati ed è per questo che sì è ammalata…». Infatti cadde sulla breccia.
Il 20 ottobre, festa di Santa Irene, sua patrona, era andata in visita ai villaggi indigeni per il catechismo, e s’incontrò in un vecchio, ammalato di peste polmonare abbastanza gravemente. Cercò allora di fargli un po’ di istruzione religiosa, ma l’infermo non ne volle sapere ed ella dovette lasciarlo. Cammin facendo, seppe di un’altra ammalata, pure colpita da peste polmonare. Senza indugio si recò presso di lei ed ebbe la consolazione di poterla battezzare. Dopo una giornata così piena e faticosa, ritoò alla Missione, ma, appena giuntavi, venne a sapere che il vecchio ostinato del mattino, si era aggravato assai e difficilmente avrebbe passato la notte. Suor Irene, non badando a stanchezza, accompagnata da un bravo catechista, ritoò dal poverino. Nella lurida capanna, al bagliore del focherello che scoppiettava vicino al moribondo, si fermò per ben tre ore, dopo le quali il trionfo su quell’anima era compiuto. Il vecchio accettava il battesimo e, al mattino seguente, l’anima di lui volava in seno a Dio.
Uscita dalla calda capanna, al fresco della notte, la sorella sentì un’impressione strana… ma, benché molto tardi, se ne toò a casa tutta felice per la grande vittoria riportata sul demonio.
Intanto, da quel giorno, la sua robusta salute fu scossa. Tuttavia ella proseguì nel suo pesante lavoro ed ancora dal mercoledì al giovedì 23 ottobre, passò parecchie ore accanto ad un altro infermo. Giunta a casa, ancora digiuna, alle 10 del mattino, essendosi il rev. padre assentato perché chiamato d’urgenza, attese e si comunicò alle 11,30.
La cara Sorella si consumava per lo zelo della gloria del Signore. Lavorò sino alla domenica 26, e poi la fibra cedette. Dopo la s. Messa si mise a letto con febbre a 40°. Al lunedì accorrevo presso l’inferma, ed al martedì, visto il caso abbastanza grave e la febbre persistente, feci chiamare il dottore di Nyeri, il quale dichiarò la malattia polmonite lobare che, salvo complicazioni, non presentava pericoli…
«La morte è eco della vita», aveva scritto un giorno Suor Irene. Potrei scrivere molte pagine se volessi riferire quanto ci fu di edificazione in quest’ultima malattia. Era assetata di bene, viveva di abnegazione e di sacrificio, e nel delirio che le sopravvenne in ultimo spiegava il catechismo, parlava di Dio alle anime.
Al giovedì il male si aggravò tanto, che alle tre di notte si dovette amministrarle la Estrema Unzione, e poi per l’ultima volta ricevette il suo Gesù, che aveva sempre fedelmente servito. Al venerdì sera, alle 10 e mezza, serenamente e placidamente lasciava questa valle di lagrime…
Fra moltissimi altri si ricorda il seguente mirabile atto di coraggio e di zelo compiuto da Suor Irene durante la guerra mondiale. Suor Irene da parecchio tempo stava preparando al battesimo un povero portatore indigeno gravemente ammalato in un ospedaletto da campo a Kilwa, nel Tanganyka. Un mattino non trovò più il suo ammalato, e, domandate informazioni, seppe che essendo morto nella notte, era stato portato con una cinquantina di altri cadaveri sulla spiaggia del mare, per risparmiare il disturbo della fossa e della sepoltura. La Suora provò un indicibile dolore, ma non volle credere che il Signore avesse lasciato sfuggire un’anima ormai così ben preparata al battesimo, e corse sulla spiaggia del mare per cercare quel poveretto nel mucchio terrificante di cadaveri. Non avendolo trovato alla superficie, con un coraggio sovrumano rimuove ad uno ad uno quei cadaveri, finché rinviene il suo catecumeno, lo estrae dolcemente, lo adagia sulla sabbia, ascolta il polso ed i respiro… Miracolo della carità! Il creduto morto era ancora vivo… Alle grida di aiuto accorrono alcuni infermieri indigeni, che riportano il moribondo all’ospedaletto, ove per mezzo di forti eccitanti vien fatto rinvenire ai sensi. Poté così ricevere il santo battesimo e meno di un’ora dopo se ne va in Paradiso.
Madre veneratissima, abbiamo perduto un tesoro, ma abbiamo acquistato una protettrice in cielo. Quindici giorni prima di morire, stimandosi – come ella diceva – inutile e buona a nulla, anzi solo capace a guastare le cose, aveva chiesto, per essere utile, di offrire la sua vita per il bene dell’Istituto. L’olocausto fu accettato e proprio due venerdì dopo, la vittima volava al Creatore.
I funerali furono un trionfo. Per desiderio comune venne tumulata a Nyeri, ed attorno alla salma fu un succedersi continuo di visitatori. I neri tutti vollero accostarsi alla loro «Mware Irene» che tanto li aveva amati e copiose lagrime scendevano dai loro occhi. Numerosissimi intervennero alla sepoltura ed ora la sua tomba è divenuta mèta di frequenti visite, godendo essi di inginocchiarsi presso la tomba della loro mware per contarle ancora le loro giornie e i loro dolori…
a cura di Gigi Anataloni