Laici missionari sulla frontiera
Dal 31 maggio al 2 giugno scorsi si è svolto, presso la casa
dei missionari della Consolata di Bevera (Lecco), il secondo convegno dei laici
missionari allo scopo di creare rete e valorizzare le esperienze in atto.
L’evento, che ha coinvolto più di cento persone provenienti da una dozzina di realtà
laicali legate a vario titolo agli istituti missionari o alle diocesi, ha avuto
come tema: «Laici Missionari: cristiani impegnati sulla frontiera tra Chiesa e
società». Una laica missionaria ce lo racconta.
Per i membri dei vari movimenti laicali missionari
è una grande ricchezza riuscire a riunirsi e ragionare insieme sulle strategie
per fare missione qui e ora. Il
convegno – organizzato dal comitato dei laici missionari che raccoglie
esponenti dei gruppi laicali legati ai rami maschili e femminili di Consolata,
Saveriani e Pime, ramo maschile dei Comboniani e Fidei donum – tenutosi nella
scorsa primavera ha evidenziato come le diverse realtà laicali missionarie
siano unite, pur nella diversità e nella ricchezza dei carismi originari, nel
compito di impegnarsi in una missione che sempre più spesso è di frontiera.
Dopo aver riflettuto, nella prima edizione del dicembre 2012, sul ruolo del
laico missionario nella Chiesa di oggi, in questa sessione abbiamo affrontato
tematiche più legate all’agire missionario: qual è il rapporto tra noi laici e
gli istituti missionari (meglio: le famiglie missionarie) di riferimento? Quali
le difficoltà nell’annuncio del Vangelo oggi? E ancora: come fare animazione
missionaria nelle nostre Chiese locali? Quale impegno nel volontariato e sui
temi di giustizia e pace? E infine: qual è la spiritualità che sentiamo più
nostra come laici e famiglie del XXI secolo?
Il
primo giorno è intervenuto don Armando Matteo, docente di teologia fondamentale
presso la Pontificia Università Urbaniana, dal 2005 al 2011, assistente
ecclesiastico centrale della Federazione Universitaria Cattolica Italiana
(Fuci), grande conoscitore del mondo giovanile e autore de La prima
generazione incredula, edito da Rubbettino.
Egli
ha analizzato in maniera puntuale la situazione giovanile in Italia, a partire
da una spietata ma vera fotografia degli adulti di oggi che si distinguono per
un diffuso culto della giovinezza, il quale censura figure quali la crescita, l’esperienza
del limite, l’insuperabilità della malattia, e che conduce sino
all’esorcizzazione linguistica della vecchiaia e della morte. «Gli adulti
stanno costruendo una società che ruba avidamente spazi e tempi ai giovani e
non riesce più a prestare sufficiente attenzione né alla loro reale condizione
né alla possibilità del loro futuro sviluppo». In questo modo aumenta una sorta
di «risentimento» da parte degli adulti nei confronti dei giovani, dal momento
che gli stessi giovani con la loro «pura» presenza «ricordano ciò che gli
adulti vorrebbero a ogni costo dimenticare: lo scorrere del tempo,
l’avvicinarsi della malattia, l’inesorabile ora del congedo da questa vita».
Per
questo motivo i giovani si trovano spesso a confronto con figure adulte
demotivate e poco autorevoli, incapaci di testimoniare ragioni di vita che
suscitino amore e dedizione. Secondo don Armando all’interno della relazione
educativa adulto-giovane, il giovane dovrebbe trovare adulti felici di essere
adulti che lo invitano a seguirli nella crescita: «Cammina, datti da fare».
L’attuale rivoluzione dell’immaginario circa le età della vita, però, comporta
che nella carne vivente di ogni adulto il giovane trovi un rifiuto dell’età
adulta e una sorta d’invidia della gioventù: «Non ti muovere. Tu sei nel
paradiso. Tu sei paradiso. L’unico a dover uscire (e-ducere) dal suo possibile
cammino sull’orlo della vecchiaia sono io adulto. Tu puoi star fermo».
Secondo
don Armando i giovani osservano gli adulti per apprendere il vero senso della
vita e del loro futuro. Per questo motivo è necessaria un’autentica conversione
del mondo degli adulti: essi sono chiamati a passare «da un amore viscerale per
la giovinezza e il suo irresistibile fascino a un amore e una cura per i
giovani e il loro bisogno d’incontrare adulti testimoni».
L’intervento
di don Matteo ha voluto rendere chiaro lo scenario in cui i laici missionari
sono chiamati a lavorare. Gettando uno sguardo ai partecipanti al convegno ci
siamo resi conto della scarsa presenza di giovani. A noi quindi, che siamo
adulti, spetta l’arduo compito di essere testimoni credibili della fede. Spesso
parliamo di giovani e ci domandiamo come lavorare con loro. La risposta
impegnativa è che dobbiamo essere adulti: contenti di essere adulti e di essere
cristiani.
Chiara Viganò