La Tratta: facciamo il punto
L’8 febbraio è la
prima «Giornata mondiale contro la tratta di esseri umani e lo sfruttamento
sessuale»1. La data è stata scelta perché coincidesse con la festa di Santa
Giuseppina Bakhita, una schiava sudanese nata nel 1869 diventata, dopo la
liberazione, una religiosa canossiana. Dopo circa trent’anni dalla comparsa del
fenomeno della tratta in Italia, Missioni Consolata, come già altre volte,
propone una riflessione sulla situazione.
Leggi articolo integrale con intervista a suor Eugenia Bonetti nello sfogliabile pdf
«La tua università è
la strada»
Hope (Speranza – nome inventato) è arrivata in Europa
dalla Nigeria in aereo, con un passaporto valido e un permesso di soggiorno per
motivi di studio in tasca. Prima ha fatto scalo in Olanda, dove, insieme a un
gruppo di coetanee, ha seguito una settimana di corso di orientamento
preliminare all’inizio degli studi. Poi le ragazze sono state divise a seconda
della destinazione finale. A Hope è toccata l’Italia, paese raggiunto
nuovamente in aereo. Una volta arrivata, è stata accompagnata a casa di una sua
connazionale che l’avrebbe ospitata durante il periodo di studio. «Domani andrò
all’università a iscrivermi ai corsi», ha detto Hope alla padrona di casa. «Non
uscirai di qui finché non lo dirò io», le ha risposto la signora. «La tua
università è la strada».
È cominciato così l’incubo di una ventenne nigeriana
convinta di venire in Italia per frequentare l’università e che ha invece
rischiato di diventare l’ennesima vittima di sfruttamento sessuale.
«Per fortuna lei ha reagito subito», spiega la
missionaria della Consolata suor Eugenia Bonetti, cornordinatrice dell’Ufficio
tratta donne e minori dell’Unione Superiori Maggiori d’Italia e presidente
dell’associazione Slaves No More (Mai più schiave) che assiste le donne
vittime di tratta. «Ha reagito prima che le botte e il terrore annientassero la
sua volontà: ha approfittato di una distrazione dei suoi carcerieri ed è
scappata, si è messa a camminare lungo i binari della ferrovia ed è arrivata a
una stazione dove ha chiesto aiuto alla polizia. Da lì, grazie alla
collaborazione della moglie del sindaco locale, che parla inglese, la rete che
cornordino è riuscita a intercettarla e ad assisterla nel realizzare l’unico
desiderio che a quel punto le era rimasto: tornare a casa».
Ma la storia di Hope non è così comune: molte di più
sono invece le nigeriane vittime della tratta incapaci di sottrarsi alla catena
di violenza che le annichilisce, ai riti vudù che le terrorizzano e ai debiti
che le inchiodano a un’esistenza in cui l’esperienza di sottomissione le
devasta fisicamente e moralmente al punto da non riuscire più a riprendersi.
Non solo. Anche quando le donne riescono a uscire dal «giro» e a regolarizzare
la loro posizione entrano in campo una serie di difficoltà: «Noi seguiamo
diverse ragazze che lavorano in Italia con regolare contratto e permesso di
soggiorno», spiega suor Eugenia, «ma quando queste persone hanno dovuto fare il
passaporto elettronico l’ambasciata nigeriana ha rifiutato il rilascio di
quarantanove documenti, perché il passaporto precedente è risultato falso e
l’impronta digitale collegata è stata utilizzata per falsificare altri
documenti. Ora queste donne rischiano di perdere permesso di soggiorno e lavoro».
In entrata, inoltre, i meccanismi legati alla richiesta
d’asilo hanno di fatto aperto un ulteriore varco per l’ingresso delle ragazze
destinate alla strada: «Una volta inoltrata la richiesta di riconoscimento
dello status di rifugiato», continua suor Bonetti, «le ragazze possono uscire
dai centri di identificazione ed espulsione in attesa dell’esito. A quel punto
vengono intercettate dalla rete criminale, che le fa letteralmente sparire nel
nulla per farle riemergere poi sulla strada. Le spese, ingenti, per la richiesta
d’asilo vengono spesso sostenute dalla stessa rete criminale e vanno poi a
ingrossare il debito, di solito nell’ordine dei cinquanta/sessantamila euro,
che le ragazze dovranno ripagare prostituendosi. Questa dinamica getta una luce
sinistra su un sottobosco di persone coinvolte nel favorire il meccanismo: ad
esempio quegli avvocati che suggeriscono alle ragazze di dichiarare la propria
provenienza da zone settentrionali della Nigeria, quelle in preda alla guerra
civile, mentre noi, in vent’anni di lotta alla tratta, abbiamo verificato che
le donne vengono piuttosto da aree, come Benin City, in cui non c’è nessun
conflitto che possa dare diritto allo status di rifugiato».
Se il caso delle donne nigeriane costrette a
prostituirsi è forse uno dei più riportati dai media, la tratta di esseri umani
è molto più ampia e tocca diverse categorie di persone. Donne e minori
specialmente, ma anche uomini di fatto ridotti in schiavitù e costretti a
svolgere lavori degradanti. Un po’ di dati. Secondo uno studio
dell’Organizzazione mondiale del Lavoro, nel mondo le persone vittime di lavoro
forzato sono quasi ventuno milioni; di queste, nove milioni si trovano
intrappolate nelle reti delle nuove schiavitù in seguito a una migrazione,
intea o estea. È difficile dire quante di queste siano vittime di tratta,
le persone cioè reclutate e trasportate attraverso varie forme di violenza o di
inganno per scopi di sfruttamento sessuale o lavorativo. Un rapporto di Save
the Children del 2008 stimava che tali vittime fossero quasi tre milioni,
di cui l’ottanta per cento donne e minori, per un giro d’affari che secondo le
Nazioni unite arriva a trentadue miliardi di dollari l’anno.
Secondo Eurostat, la direzione generale della
Commissione europea incaricata di fornire alle istituzioni europee i dati
statistici relativi ai paesi dell’Unione, in Europa nel triennio 2010-2012 le
vittime della tratta documentate – cioè note alle autorità perché il crimine è
in qualche modo emerso – sono state più di trentamila, l’ottanta per cento
delle quali donne. Due terzi delle vittime erano cittadini dell’Unione europea
e i primi cinque paesi di provenienza erano Romania, Bulgaria, Paesi Bassi,
Ungheria e Polonia, mentre i primi cinque paesi extra Ue erano Nigeria, Brasile,
Cina, Vietnam e Russia.
Ma questi casi documentati sarebbero solo la punta
dell’iceberg se è vero che, in Italia, le sole nigeriane vittime di tratta fra
il 2011 e il 2013 sarebbero state quindicimila (dati Unicri, Istituto
interregionale di ricerca delle Nazioni unite sul crimine e la giustizia,
con sede a Torino).
L’Italia ha incassato lo scorso autunno una bocciatura da
parte del Gruppo di esperti sulla lotta contro la tratta di esseri umani
(Greta) dell’organizzazione internazionale indipendente denominata Consiglio
d’Europa. Il Greta bacchetta l’Italia per la mancanza di una strategia e di una
struttura di cornordinamento nazionale che contrasti il fenomeno. «L’Italia ha
una lunga esperienza nella lotta alla tratta per sfruttamento sessuale» si
legge nel rapporto, «ma dovrebbe prestare maggior attenzione anche alla tratta
per sfruttamento lavorativo e al traffico di bambini». Inoltre, è scritto nel
rapporto, nessuna campagna di sensibilizzazione a livello nazionale è stata
realizzata negli ultimi anni. Infine, la collaborazione a livello regionale e
locale fra autorità pubbliche e società civile ha dato buoni risultati per
quanto riguarda le procedure d’identificazione delle vittime, ma non riesce a
colmare il vuoto derivante dalla mancanza di un meccanismo d’identificazione a
livello nazionale. Il governo Renzi, a inizio incarico, aveva promesso di
approvare entro tre mesi il Piano nazionale, ma a fine 2014 ancora nulla si era
mosso. La Piattaforma nazionale anti tratta ha lanciato una petizione
nella quale sottolinea che «l’approvazione del Piano nazionale doveva avvenire
per disposizione di legge entro la fine di giugno scorso» e chiede al Goveo
di «non far morire il sistema nazionale di tutela e protezione delle vittime
della tratta e di adottare urgentemente i provvedimenti vincolanti previsti dal
decreto 4 marzo 2014 n. 24».
1-
La Giornata internazionale contro la tratta è promossa da Pontificio Consiglio
per la Pastorale dei Migranti, Pontificio Consiglio della Giustizia e della
Pace, Unioni inteazionali femminili e maschili dei Superiori/e Generali (Uisg
e Usg), assieme a Caritas Inteationalis, Talita Kum, Global Freedom Network,
Ufficio tratta donne e minori dell’Usmi, associazione Slaves no more.
Definizione di tratta
Dal Protocollo delle Nazioni unite sulla prevenzione,
soppressione e persecuzione del traffico di esseri umani, in particolar modo
donne e bambini (noto anche come uno dei tre Protocolli di
Palermo, 2000).
La Tratta di Persone:
«Indica il reclutamento, trasporto,
trasferimento, l’ospitare o accogliere persone, tramite la minaccia o l’uso
della forza o di altre forme di coercizione, di rapimento, frode, inganno,
abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità o tramite il dare o
ricevere somme di danaro o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che
ha autorità su un’altra a scopo di sfruttamento. Lo sfruttamento comprende,
come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di
sfruttamento sessuale, il lavoro o i servizi forzati, la schiavitù o pratiche
analoghe, l’asservimento o il prelievo di organi».
sessuale:
riguarda le persone costrette a prostituirsi o diversamente impiegate
nell’industria del sesso (esibizione in locali nottui, pornografia,
eccetera);
lavorativo:
riguarda persone costrette a lavori forzati o servitù domestica;
altre forme:
riguarda le persone costrette a mendicare, a svolgere attività criminali, a
cedere organi e a subire altri tipi di sfruttamento, come i matrimoni forzati.
Chiara Giovetti