La rivolta della dignità 

28-31 ottobre 2014. I quattro giorni che
cambiarono la storia

Blaise Compaoré è
stato cacciato dal potere che teneva saldamente nelle sue mani da 27 anni. La
popolazione, stremata dalla crisi, non era più disposta a subire una classe
politica che viveva nel lusso. Alla rivolta è seguito un processo di
transizione, pacifico e consensuale. Degno di un popolo di pace. Un esempio per
l’Africa.

Clicca sull’immagine qui sotto per aprire l’articolo nello sfogliabile pdf

Blaise Compaoré è fuggito. A fine ottobre scorso
il «quasi presidente a vita» del Burkina Faso è stato rovesciato da una rivolta
popolare.

Ancora
una volta la gente del Burkina Faso – paese tra i più poveri del mondo, secondo
gli indici dell’Onu – ha voluto dire basta ai soprusi, alla corruzione e allo
strapotere di una certa classe dominante. Una rivolta che molti media hanno
troppo in fretta etichettato come «colpo di stato militare». E invece no, non è
stato un golpe, anche se in qualche modo, i militari hanno cercato di
approfittae.

Il «regno» Compaoré

Ma
facciamo un passo indietro.

Il 15 ottobre del 1987, il presidente carismatico e
visionario Thomas Sankara viene freddato con 12 dei suoi più stretti
collaboratori. Poche ore dopo, sulle onde radio, il capitano Blaise Compaoré,
dichiara che un fantomatico Fronte Popolare «ha deciso di mettere fine al
potere autocratico di Thomas Sankara, e di bloccare il processo di
restaurazione neo-coloniale intrapreso da questo traditore della rivoluzione di
agosto […]». Compaoré, numero due della rivoluzione burkinabè iniziata quattro
anni prima, compagno d’armi e amico di Sankara, aveva deciso di prendere tutto
il potere con la forza. Il comunicato, fitto di menzogne, si rivela il
programma politico di Compaoré. Seguiranno gli anni della «restaurazione
contro-rivoluzionaria», l’amicizia stretta con la Francia, il potere e il
denaro per una ristretta casta che circonda il presidente.

Da quel lontano 15 ottobre Blaise Compaoré è rimasto capo
di stato per 27 anni: il periodo del dopo golpe, seguito da due settennati
(1992-2005) e due mandati di cinque anni. Durante questo lungo regno è
stato scaltro ed equilibrato. Ha dato stabilità al paese e anche saputo farsi
amare dal popolo. Il suo potere ha vacillato solo due volte.

Il 13
dicembre del 1998 il celebre giornalista investigativo Norbert Zongo viene
trovato carbonizzato nella sua auto con due compagni. Zongo stava indagando sul
cruento assassinio dell’autista del fratello minore di Blaise, François.
L’omicidio colpisce fortemente l’opinione pubblica e la gente scende in piazza
per chiedere giustizia. Compaoré, fine imbonitore, inventa «La giornata del
perdono». Riduce i mandati presidenziali da 7 a 5 anni e li limita a un massimo
di due.

Nel
2011 sembra finita l’era Compaoré. La tensione sociale è molto elevata a causa
di una gestione clientelare e corrotta che ha impoverito la maggioranza della
popolazione. Mentre si costruiscono interi quartieri di sfarzose ville a
Ouagadougou – per investire soldi di vari traffici regionali e quelli distolti
dalla cooperazione internazionale – nel resto del paese mancano acqua potabile,
centri medici, scuole elementari. La malnutrizione è, ancora oggi, causa
diretta o indiretta del 35% dei decessi.

Alcune
manifestazioni della società civile di studenti, magistrati, commercianti
scaldano il clima politico. Ma i veri rischi arrivarono dai militari, a più
riprese con un primo ammutinamento a marzo e una rivolta nella guardia
presidenziale il mese successivo. Compaoré tenta di placare gli animi con un
cambio di governo e misure per calmierare i prezzi dei beni alimentari più
diffusi.

Poi,
per la prima volta, deve reprimere nel sangue un’insurrezione di un gruppo di
militari a Bobo Dioulasso, la seconda città del paese.

Infine… la crisi

Blaise Compaoré non potrà più presentarsi come candidato
alle elezioni previste nel 2015, ma non vuole farsi da parte. Qualcuno sostiene
che il suo entourage voglia mantenerlo al potere, preoccupato di perdere i
privilegi acquisiti. Lui potrebbe terminare il mandato e poi essere nominato ai
vertici di una organizzazione internazionale. Invece no, e fin dal 2012 si
preoccupa di modificare l’articolo 37 della Costituzione che limita a due i
mandati presidenziali. Tenta pure di
creare il Senato (il parlamento burkinabè è unicamerale), che sarebbe
strumentale alla modifica costituzionale.

Un’altra
via sarebbe passare per un referendum costituzionale, ma il presidente lo teme,
perché sarebbe, di fatto, un voto sulla sua persona.

Nel
2013 il clima politico si scalda. La società civile non vuole che la
Costituzione sia modificata e manifesta contro il referendum. Il movimento Le
balai citoyen, (letteralmente: La scopa cittadina) fondato da
due cantanti di successo, è tra i più attivi. Contrari sono anche i partiti
politici dell’opposizione come l’Upc (Unione per il progresso e il cambiamento)
del leader Zéphirin Diabré e l’Unir-PS dell’avvocato Bénéwende Sankara.

La
capitale Ouagadougou diventa teatro di diverse manifestazioni di piazza contro
l’impunità, la corruzione e in opposizione al cambiamento costituzionale: a
maggio, giugno e luglio. Sono organizzate dalla Coalizione contro il carovita,
che riunisce sindacati a associazioni della società civile.

A sorpresa il 15 luglio 2013 i 16 vescovi del Burkina
pubblicano una lettera pastorale che esprime grande preoccupazione per la «frattura
sociale» in aumento e prende posizioni forti chiedendo un impegno a chi
governa: «Affinché il Burkina Faso non diventi una polveriera occorre ricercare
la giustizia, operare per una trasformazione sociale e democratica profonda
promuovere i valori cardinali di solidarietà e sussidiarietà». E raccomanda: «Più
equità nella distribuzione della ricchezza, più trasparenza nella gestione
degli affari pubblici, più etica nei comportamenti sociali e politici» (si veda
MC dicembre 2013).

La
svolta politica avviene nel marzo 2014: un gruppo di stretti collaboratori di
Blaise lascia il partito per creae uno nuovo, il Mpp (Movimento del popolo
per il progresso). Tra loro Salif Diallo, Roch Marc Christian Kaboré e Simon
Compaoré, tutti pezzi grossi del regime. La macchina di potere che Compaoré ha
messo in piedi in 27 anni inizia a mostrare segni di debolezza.

Tentato scacco matto

Il
presidente ha un asso nella manica. Ottiene un accordo con Gilbert Ouedraogo, leader
del Adf/Rda (Alleanza per la democrazia e la federazione), terzo partito del
paese: i suoi deputati voteranno la modifica costituzionale. In questo modo
Blaise avrà 99 voti contro 28 dell’opposizione: la maggioranza qualificata per
modificare la Costituzione è garantita e il referendum evitato.

Partiti di opposizione e società civile fanno un fronte
unico per impedire a Compaoré di ricandidarsi. Il 28 ottobre scorso si svolge a
Ouagadougou una grande manifestazione chiamata: «Giornata nazionale di protesta».
Si conta quasi un milione di persone che sfilano pacificamente per le strade
della capitale.

Ma la
tensione sale. All’alba del 30 ottobre, giorno previsto per il voto
all’Assemblea Nazionale, la folla si dirige verso l’emiciclo e lo occupa
distruggendo e appiccando il fuoco. La stessa sorte tocca alla sede della Tv di
stato e alle sedi del partito al potere Cdp (Congresso per la democrazia e il
progresso) e dell’Adf/Rda. Anche le case di molti politici sono saccheggiate.

Poi la folla si sposta verso l’enorme palazzo
presidenziale Kosyam, che Compaoré si è fatto costruire a Ouaga2000, il
quartiere di lusso della capitale. Qui si evita il bagno di sangue grazie a una
negoziazione tra guardia presidenziale e manifestanti. A fine giornata si
conteranno comunque 24 morti e alcune centinaia di feriti.

Il presidente Compaoré tenta ancora di usare il suo
talento di imbonitore. Dichiara disciolto il governo e l’Assemblea Nazionale e
afferma che ci sarà una transizione di 12 mesi. Ma non si fa da parte. È troppo
tardi. Il popolo burkinabè non ne vuole più sapere di lui.

Sono
ore cruciali, tutto dipende dalla posizione che prenderà l’esercito. La
negoziazione tra vertici militari, uomini del presidente e delegati dei
manifestanti è serrata.

«Vattene!»

Il 31
ottobre, gli autobus arrivano numerosi dai quattro angoli del Burkina. La
parola d’ordine è «Blaise dégage!»
(vattene). «La folla è composta in gran parte da giovani e da donne» ci
racconta un testimone, «e sono tutti molto determinati». E ancora: «Affronteremo
i militari a mani nude, a mani alzate. Sparateci se volete, noi non ci
spostiamo. Staremo in piazza finché Compaoré non si dimette. Senza violenza».

Se è
difficile che un militare burkinabè spari su un suo connazionale indifeso, non è
detto che sia lo stesso per militari e mercenari togolesi, di cui si è
circondato il fratello di Blaise, François, e con buona probabilità lo stesso
presidente.

Alle 13 Compaoré fa leggere un suo comunicato di «dimissioni»
alla radio. Lui è già su un convoglio che lo conduce verso la frontiera con il
Ghana. Ma sarà un elicottero francese di base a Ouagadougou a mettere in salvo
lui e la famiglia. Saranno poi trasferiti in Costa d’Avorio e, infine, in
Marocco.

Dopo
l’annuncio la tensione si rilassa. Seguono ore di confusione per il vuoto di
potere. L’esercito, unica istituzione funzionante rimasta, prende il controllo
e gli alti graduati nominano capo di Stato il colonnello Yacouba Isaac Zida il
numero due della guardia presidenziale.

Transizione

L’uomo
forte sospende la Costituzione ma, da subito, dichiara di voler gestire una
transizione con l’accordo tra tutte le parti: «Per noi è importante arrivare a
un consenso a partire dal quale potremo, nell’arco di un anno, andare a
elezioni il cui risultato sia accettato da tutti. Percorreremo una nuova via
costituzionale nella pace e nella serenità per tutti i burkinabè».

La
preoccupazione della comunità internazionale è che la transizione sia gestita
dai civili.

Le
consultazioni tra militari, partiti di opposizione e responsabili religiosi
(tra i quali il cardinal Philippe Ouedraogo, vedi inervista MC dicembre 2013)
portano alla definizione degli organi di transizione e di come saranno messi in
piedi. Presidente, governo e Consiglio nazionale di transizione resteranno in
carica 12 mesi con l’obiettivo di organizzare le elezioni del novembre 2015. Il
processo è definito nei dettagli nella Carta di transizione, che, firmata da
tutte le parti il 16 novembre, va a completare la Costituzione del 2 giugno 1991.

Tutte
le persone nominate, ad eccezione dei componenti del Consiglio nazionale (il
parlamento provvisorio) non potranno essere ricandidate alle legislative e
presidenziali del 2015.

Un
Collegio di designazione composto da società civile, partiti politici e
militari sceglie così il presidente di transizione nella figura di Michel
Kafando. Settantadue anni, diplomatico di carriera, è stato ministro degli
esteri e ambasciatore del Burkina alle Nazioni Unite. Non si è mai iscritto a
un partito politico.

Kafando
nomina primo ministro lo stesso tenente colonnello Isaac Zida, 49 anni,
militare poliglotta, con diverse esperienze inteazionali.

Il
paese è nelle mani di due uomini: l’anziano saggio e il giovane dinamico. Il
civile e il militare. A sottolineare l’importanza dell’esercito nella
transizione. I due identificano i ministri del governo di transizione e li
presentano domenica 23 novembre. Zida mantiene il dicastero della Difesa,
mentre Kafando tiene per se quello degli Esteri.

I
militari si aggiudicano anche il ministero dell’Amministrazione territoriale e
Sicurezza (Inteo) e quello strategico dell’Energia e Miniere, oltre a quello
dello Sport. Altri dicasteri vanno alla società civile, mentre i responsabili
dei partiti politici non entrano nel governo per non essere esclusi dalle
prossime elezioni.

Il
ministero della Giustizia è affidato a Joséphine Ouedraogo, già ministro di
Thomas Sankara (1984-1987), esperta internazionale di questioni di genere. È
molto conosciuta in Africa ma poco nel suo paese, dove è rientrata solo nel
2012. A lei sarà affidata la riforma della giustizia che, insieme a quella di
difesa ed economia, sarà uno dei cavalli di battaglia del governo di
transizione, ha dichiarato il premier Zida dopo il primo consiglio dei
ministri.

Contestato
invece, il ministro della Cultura, Adama Sanon, in quanto già procuratore al
tempo del processo sull’assassinio di Norbert Zongo, è accusato dalla società
civile di aver affossato il dossier e impedito il corso della giustizia. Si
dimette pochi giorni dopo la nomina.

La
comunità internazionale tira un respiro di sollievo, in particolare Usa e
Francia, che hanno contingenti militari in Burkina nell’ambito della guerra
contro il terrorismo.

In
Burkina Faso il 60% dei 17 milioni di abitanti ha meno di 25 anni. Giovani nati
e cresciuti sotto il regime Compaoré e che ora hanno deciso di rischiare tutto
per cambiare. È la vera forza di una nazione, giovane e vivace, che ha saputo
dare una svolta al proprio destino: «Osare inventare l’avvenire», diceva Thomas
Sankara.

Marco Bello

Marco Bello

image_pdfimage_print
/

Sei hai gradito questa pagina,

sostienici con una donazione. GRAZIE.

Ricorda: IL 5X1000 TI COSTA SOLO UNA FIRMA!