Infanzia: sempre più a rischio?

400 milioni di bambini al mondo si trovano sotto la soglia
di povertà assoluta. E anche la crisi nei paesi ricchi ha conseguenze nefaste
sull’infanzia. Intanto gli Obiettivi del millennio arrancano. E in Italia cosa
succede?

L’immagine più
straziante del 2013 rimarrà quella delle piccole bare bianche, ognuna con un
orsacchiotto sopra, dei bambini annegati a Lampedusa.

Quanti
bambini muoiono nella fuga dalla povertà e dalle guerre non lo sapremo mai,
anche perché a volte non c’è traccia delle loro brevi esistenze negli elenchi
ufficiali.

Sappiamo
però quanti bambini vivono oggi nella miseria: secondo il rapporto «The state
of the poor» della Banca Mondiale, un terzo dei poveri del mondo sono minori,
400 milioni di bambini al di sotto dei 13 anni si trovano in uno stato di
povertà assoluta.

I
dati sul nostro paese sono altrettanto sconfortanti: in Italia un quarto dei
poveri assoluti sono minori. La povertà assoluta è, secondo la definizione
dell’Istat, «l’incapacità di acquisire i beni e i servizi necessari a
raggiungere uno standard di vita minimo accettabile».

Sempre
l’Istat ci segnala che in Italia nell’ultimo anno la povertà assoluta è
cresciuta del 29 per cento, ormai ci sono quasi 5 milioni di persone in stato
di grave indigenza, di cui oltre un milione sono bambini e ragazzi. L’Unicef e
tutte le agenzie specializzate sui problemi dell’infanzia concordano nel dire
che la povertà costituisce la principale causa di discriminazione di bambini e
adolescenti.

Per
questo suggeriscono di considerare il minore come titolare di un diritto alla
protezione di base, il che significa che se il bambino è in uno stato di
privazione a causa della condizione della sua famiglia, del suo gruppo sociale
o del luogo dove vive, le istituzioni pubbliche devono prendersene cura,
assicurandogli i diritti fondamentali e i servizi essenziali stabiliti dalla
Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia del 1989. Una Convenzione
che, si noti bene, tutti gli stati hanno ratificato, a parte Somalia e Stati
Uniti.

Ma
per troppe bambine e troppi bambini la Convenzione è come se non fosse mai
stata scritta.

La
situazione è così intollerabile che il presidente della Banca Mondiale, Jim
Yong King, nella conferenza di presentazione del rapporto sulla povertà, ha
avuto un moto di vergogna: «I bambini non dovrebbero essere così crudelmente
condannati a una vita senza speranza».

Grazie
all’impegno per gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio si sono fatti alcuni
progressi, ad esempio nel campo dell’educazione primaria in cui, tra il 1990 e
il 2010, il tasso di frequenza scolastica dei bambini nei paesi in via di
sviluppo è salito dal 60% al 79%.

Passi avanti sono stati compiuti anche per
combattere la mortalità infantile che negli ultimi vent’anni è stata dimezzata,
ma ancora oggi 12.000 bambini muoiono ogni giorno per malattie che si possono
prevenire e nell’Africa sub sahariana il tasso di abbandono scolastico,
specialmente delle bambine, è sempre elevatissimo.

Non
si sta facendo abbastanza. Finora gli obiettivi stabiliti non sono stati
raggiunti non perché siano troppo ambiziosi o tecnicamente inarrivabili, ma a
causa di misure inadeguate e investimenti insufficienti. Investimenti che si
sono drasticamente ridotti anche nei paesi colpiti dalla crisi, dimenticando
che il benessere di una famiglia e di una comunità dipendono dalla qualità dei
servizi disponibili e che la riduzione della spesa per scuole, presidi
sanitari, mense e altre forme di sostegno sociale, accresce il disagio dei
bambini.

In
Italia,
un esempio che ci tocca da vicino, dal 2008 la spesa per assegni
famigliari è stata ridotta, è stato azzerato il fondo per l’inclusione degli
immigrati e sospeso il contributo per l’alloggio ai nuclei famigliari da parte
di quasi tutti i comuni. Queste scelte, di cui sono responsabili i vari governi
che si sono succeduti nel nostro paese dallo scoppio della crisi a oggi, hanno
pesanti ripercussioni sulla sorte dei minori. Anche l’aumento della disoccupazione
si riflette su di loro, se i genitori perdono il lavoro, aumenta per i figli il
rischio dell’abbandono scolastico e, nelle situazioni di marginalità sociale,
quello del lavoro minorile.

Secondo
un recente studio della Fondazione Trentin e della Ong Save
The Children, in Italia ci sono 260 mila minori che lavorano,
un lavoro che si svolge prevalentemente in imprese famigliari, agricole,
dell’allevamento, della ristorazione, ma che per 30 mila  ragazzi fra i 14 e i 15 anni è svolto in
condizioni pericolose e di sfruttamento.

Le
vittime sono ragazze, provenienti dall’Est Europa o dalla Nigeria, sfruttate
nella prostituzione o ragazzi egiziani e cinesi sfruttati in attività
produttive, mentre fenomeni di tratta riguardano minori di origine Rom, coinvolti
in circuiti di accattonaggio e attività illegali.

Sabina Siniscalchi

Sabina Siniscalchi

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