Il piccolo regno di Kadyrov

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Ai confini dell’Europa (3):
la Cecenia
Dopo la deportazione staliniana del 1944 e due sanguinose
guerre civili, nella piccola repubblica caucasica pare vigere la calma. Il
presidente Ramzan Kadyrov, fedelissimo di Putin, tiene in pugno il paese. Senza
alcuna preoccupazione per i diritti umani.

Luci colorate brillano nel cielo di Grozny, la città è
animata da traffico e commerci. Ovunque fervono cantieri. Una situazione molto
diversa da qualche anno fa, quando la capitale della Repubblica cecena era
ancora un ammasso di edifici in rovina, crivellati dalle bombe. Oggi la strada
principale è intitolata a Putin, il presidente russo che ha distrutto Grozny in
passato ma che ora ne finanzia la ricostruzione, sotto la supervisione del capo
della Repubblica cecena Ramzan Kadyrov.

Secondo dati del ministero delle Finanze russo, negli ultimi
anni Mosca ha finanziato più del 90 per cento del bilancio totale della
Cecenia. Grazie a questa ingente iniezione di danaro – e a un sistema
repressivo ben radicato – Ramzan Kadyrov e i suoi stanno riuscendo a tener fede
allo slogan lanciato qualche anno fa: «La Cecenia senza segni di guerra».
Almeno per quanto riguarda la capitale.

Dopo le bombe, la paura

Se Grozny sta rinascendo dal punto di vista architettonico,
non tutte le tracce della guerra sono state però cancellate. Dietro la facciata
splendente della città, c’è un mondo di miseria di cui pochi parlano. Molti
ceceni vivono ancora in case provvisorie e la disoccupazione è altissima (sopra
il 40% secondo i dati ufficiali). La corruzione è molto diffusa e senza
tangenti è impossibile trovare lavoro. Molti lasciano il paese per cercare rifugio
in Europa, dove, secondo la Jamestown Foundation, vivono circa 70.000 rifugiati
ceceni. La più grande comunità si trova in Austria con circa 17.000 persone.

Su Grozny le bombe non cadono più dal 2009 (vedi riquadro
storico), ma la paura è ancora presente. Secondo le associazioni non
governative Human Right Watch e Amnesty Inteational in Cecenia minacce
e intimidazioni sono all’ordine del giorno nei confronti di chi si batte per il
rispetto dei diritti umani e cerca la verità sulle responsabilità delle
violenze e delle sparizioni.

Il regime giustifica il metodo repressivo come parte della
lotta contro il terrorismo. La direttiva di Mosca è chiara: eliminare qualsiasi
manifestazione di ribellione o estremismo con ogni mezzo.

Ramzan Kadyrov è stato scelto da Vladimir Putin nel 2007
alla guida della Cecenia e, in cambio della fedeltà al Cremlino, ha ottenuto
potere e aiuti per la ricostruzione.

L’amicizia e la devozione di Kadyrov verso Putin è arrivata
persino a cancellare il passato più remoto. Quest’anno, per la prima volta
nella storia recente, non vi è stata a Grozny alcuna commemorazione ufficiale
della deportazione staliniana del 1944. La celebrazione del 70° anniversario
dell’evento che coinvolse ceceni, ingusci e balcari sarebbe coincisa con la cerimonia
di chiusura dei Giochi olimpici invernali di Sochi, il 23 febbraio 2014. Così
per evitare di gettare un’ombra sulla festa sportiva, tanto importante per
l’amico Putin, Kadyrov ha vietato ogni manifestazione.

Il 18 febbraio nella cittadina di Gekhi, a pochi chilometri
da Grozny, Ruslan Kutaev, noto attivista per i diritti umani e presidente
dell’Associazione dei Popoli del Caucaso settentrionale, ha sfidato le autorità
organizzando comunque una conferenza di commemorazione. Due giorni dopo il suo intervento
Kutaev è stato invitato telefonicamente dalle autorità cecene a presentarsi per
un colloquio. Il 21 febbraio il servizio stampa del ministero degli Intei ha
comunicato che Kutaev era stato trovato in possesso di 3 grammi di eroina e di
conseguenza era stato arrestato. La pratica di nascondere droghe sulle persone
ritenute scomode dal regime per poterle arrestare e metterle a tacere è
largamente diffusa in Cecenia come in altre parti della Federazione russa.

Roberta Bertoldi

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