Globalizzazione dell’”I care”
Abbiamo
appena dato l’addio al nostro fratello padre Benedetto Bellesi, un
missionario generoso che ha dedicato ben 27 anni della sua vita a
questa rivista. Gioalista e fotoreporter, ha girato in lungo e in
largo tutte le missioni della Consolata per offrire ai lettori di MC
una documentazione di prima mano, onesta e verificata, sul vissuto
della missione. Formato come insegnante di lettere, con un buon dono
per le lingue – maneggiava oltre che un perfetto italiano e un buon
latino e greco, anche un inglese fluente con francese, portoghese,
spagnolo e zulu – e una grande passione per la Bibbia, padre
Benedetto ha sempre curato i suoi articoli nel dettaglio per rispetto
all’intelligenza e al cuore dei lettori. Non credo si sia mai
identificato con le parole di Elbert Hubbard: «Il lavoro del
giornalista consiste soprattutto nel separare il grano dalla pula. E,
naturalmente, nel provvedere che la pula sia stampata». No, lui
raccontava del grano, anche a costo di non essere alla moda. Perché
era prima di tutto un missionario, servitore della verità. Servire
la verità era per lui servire il Signore nascosto negli ultimi, nei
poveri, nei diseredati della terra.
Penso
a questo mentre cerco di rendermi conto di cosa significherà fare la
rivista senza di lui.
Una rivista che non vuole giocare sul
pietismo, che non cerca di manovrare le emozioni, che desidera
evitare i luoghi comuni e ama e rispetta le persone e i popoli di cui
scrive, come ama e rispetta i suoi lettori. Padre Benedetto ha
dedicato il meglio di sé per un sogno di frateità, di pace e di
giustizia, raccontando in maniera pacata e documentata di persone e
fatti che non fanno breccia in un mondo di comunicazione rapida, che
brucia le notizie, che rende la realtà finzione e la finzione stile
di vita, che rende spettacolo le tragedie ed eventi mondiali le
vanità e le cose fatue, fino all’intontimento delle coscienze e
all’indifferenza totale per tutto quello che non tocca il «mio»
benessere immediato.
A
proposito di indifferenza, ho sotto gli occhi il testo dell’omelia
di papa Francesco a
Lampedusa (8 luglio 2013). «Chi è il
responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno! Tutti
noi rispondiamo così: non sono io, io non c’entro, saranno altri,
non certo io. Ma Dio chiede a ciascuno di noi: “Dov’è il sangue
del tuo fratello che grida fino a me?”. Oggi nessuno nel mondo si
sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della
responsabilità fratea; siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita
del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parlava Gesù
nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto
sul ciglio della strada, forse pensiamo “poverino”, e continuiamo
per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci
tranquillizziamo, ci sentiamo a posto. La cultura del benessere, che
ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida
degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non
sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta
all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione
dell’indifferenza. In questo mondo della globalizzazione siamo
caduti nella globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati
alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non
è affare nostro! Ritorna la figura dell’Innominato di Manzoni. La
globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti “innominati”,
responsabili senza
nome e senza volto».
«Voce
contro la globalizzazione dell’indifferenza»: oso applicare questa
espressione alla nostra rivista e alle altre riviste missionarie –
con cui stiamo condividendo tempi difficili -. Siamo una piccola
realtà, non abbiamo la forza dei grandi network, ma per
quanto riguarda l’amore alla verità e la passione per i
«senzavoce», non siamo secondi a nessuno. Neppure per quel che
riguarda il rispetto dei nostri lettori e del loro impegno per un
mondo più giusto, fraterno, bello e giornioso. Padre Benedetto ha
speso gran parte della sua vita in favore della «globalizzazione
dell’I care», quel «m’interessa, mi sento responsabile e
me ne occupo» che è l’unica forza che può cambiare il mondo.
Buona estate.
Gigi Anataloni