Dove il tempo è scandito dal dondolo

Diario di viaggio e
incontri / 2

Continua la visita di
Claudia nel Nicaragua postsandinista, da Léon a Granada.

León


17 gennaio

La
casa di Dona Blanca si trova nel centro storico di León e ha un bel patio ricco
di piante esotiche. Il pomeriggio è rovente in città, ma la sera rinfresca e
noi troviamo un locale ampio e allegro dove si serve cibo e caffè italiano.

Alessandro
era arrivato qui come consulente agronomo della Comunità europea. Dodici anni
fa ha deciso di rimanere, aprire un locale e mettere su famiglia con Emilia,
figlia di un italiano e una guatemalteca. Il lavoro è tanto perché si preparano
lasagne, parmigiane e dolci anche da asporto. Alessandro è stanco ma
soddisfatto e, prima di chiudere, si ferma al nostro tavolo con Emilia e la
loro piccola di otto anni. Ne ha di cose da dirci, anche su quegli italiani che
hanno trovato rifugio in questo paese dopo essere stati condannati per delitti
terribili. «Di solito aprono ristoranti e sposano ragazze del posto», e ci fa
l’occhiolino.

Ci
sono molti cartelli di case e terreni in vendita, ma bisogna stare attenti,
potrebbe essere un imbroglio. Il catasto è allo sfascio. I grandi proprietari
erano stati espropriati con la rivoluzione, ma gli Usa premono perché rientrino
nelle loro proprietà. A volte compaiono comunità indigene che reclamano la loro
terra ancestrale.

Rubén


18 gennaio

Avevo
studiato Rubén Darío (1867-1916) nel corso di letteratura spagnola, ma non
ricordavo che fosse nato proprio a León. I poeti in questo paese sono molto
amati e celebrati. Tra due anni cade il centenario della morte di Rubén, e León
si sta preparando. Visitiamo il museo, allestito nella sua casa, poi passiamo
nel museo di arte contemporanea in un fascinoso edificio coloniale, con cortili
e fontane.

Nella
stessa via noto il convento dei francescani, che ora è uno spettacolare
albergo, quasi un museo. Le chiese di León sono numerose e alcune veramente belle,
anche se bisognose di restauri. Gli interni sono arricchiti da colonne di
mogano, alberi che un tempo dovevano formare le foreste ora scomparse.
Il Nicaragua da sempre è in mano a poche, ricchissime famiglie. Le più potenti
sono i conservatori Chomorro di Granada e i liberali Casasa di León. Tutti
grandi proprietari terrieri che hanno sempre avuto il potere di influenzare la
politica.

León,
città di studenti universitari e di poeti, è sempre stata al centro della vita
culturale e politica del paese. Anche la famiglia di Maria Vittoria è di idee
liberali. Ci siamo conosciute a Co Island e ora ci ritroviamo qui, nella città
dove la famiglia aveva proprietà che ha perso con la rivoluzione. «Mia nonna
nascondeva le armi dei sandinisti in giardino» mi racconta, «durante la guerra
i miei genitori hanno deciso di rifugiarsi a San Diego, in Califoia, dove mio
padre aveva studiato da ragazzo». Maria Vittoria ama León ma abita a San
Francisco e fa l’avvocato. Tutti gli anni ritorna qui per una settimana di vacanza.

Stasera
vi è un’altra cerimonia in onore di Darío davanti alla gigantesca cattedrale,
con i discorsi dei politici, i balli in costume, una musica assordante e il
finale con i botti, come quelli che ieri mattina ci hanno svegliate alle 5. Ci
siamo spaventate, poi ho saputo che ieri cadeva l’anniversario della nascita di
Sandino, eroe nazionale. Sono uscita e, davanti alla chiesa della Merced,
ho visto il carro delle processioni con la polizia e uomini che caricavano la
statua della Madonna, avvolta in teli di plastica. Destinazione: le prigioni di
stato, dove la Vergine benedirà i carcerati.

Poneloya


20 gennaio

Da León
in venti minuti raggiungiamo Poneloya, una località sul Pacifico che pare in
stato di abbandono, con casette diroccate, molte in vendita, affacciate su una
lunga spiaggia di sabbia nera. Dopo il primo sconcerto capisco di aver trovato
il posto giusto per me nell’albergo consigliatomi da Dona Blanca, una semplice
struttura con il pergolato di foglie di palme sulla spiaggia.

Al
tramonto la luce color bronzo delle nuvole si riflette sulla sabbia umida, ma
al calar del sole il cielo si accende di rosso. Allora chiude la cucina, che ha
servito sin dal mattino le famiglie di León in gita, con nonni e nipotini.
Dobbiamo trasferirci alla Barca de Oro, un simpatico locale alternativo
gestito da una signora francese, con vista sull’estuario del fiume. Lungo la
strada buia si affacciano le pulperie, botteghe che offrono in vendita
cose essenziali, e semplici locali con amache e musica. La notte il mare sale e
rumoreggia. Numerosi cani circolano tranquilli. La mattina li vedo giocare coi
gabbiani, sulla spiaggia. Mi avvio verso l’estuario dove si radunano aironi,
garze, stee e pellicani e, volendo, si può passare il fiume e raggiungere il
centro di protezione delle tartarughe. Le uova raccolte dai pescatori nei nidi
vengono acquistate, custodite per 45 giorni e, una volta schiuse, le piccole
tartarughe saranno protette dai predatori.

Verso
le 7 del mattino ritornano i pescatori, ma i pesci sono pochi, nonostante
abbiano trascorso tutta la notte in mare.

Lo
spettacolo continuo è dato dal volo di grandi stormi di pellicani che nel cielo
creano disegni mobili e precisi. Qui non si tuffano per pescare, non dondolano
sulle onde come negli altri mari tropicali. Piccole formazioni compatte passano
a pelo d’acqua, pattugliano il mare senza fermarsi.

Volontari e Dentisti


23 gennaio

Alcuni
amici mi fanno incontrare Mertxe, energica signora arrivata trent’anni fa con
le brigate di solidarietà dei Paesi Baschi, che allora avevano appoggiato la
rivoluzione sandinista. Robusta, non più giovane ma piena di energia, Mertxe ha
creato negli anni un’opera importante per promuovere la donna attraverso i
consultori, l’educazione, il lavoro, il fotovoltaico e il microcredito. Ha
scelto un nome indio, Xotchil, ed è riuscita a coinvolgere oltre 500 donne in
un distretto agricolo di 9000kmq. I finanziamenti arrivano dalla Municipalità
Basca, da sempre attenta ai bisogni dei paesi poveri.

25 gennaio

Victoria
è arrivata da Toronto e fa parte di un gruppo di 50 volontari che hanno base
nel nostro albergo. Sono dentisti e tecnici canadesi, soci della Ong Kindness
in Action
, che lavoreranno per qualche giorno in un piccolo ospedale della
regione. Prendiamo il caffè insieme e scopro persone positive, felici di fare
questa esperienza. Ciascuno di loro ha una storia da raccontare.

Victoria
è stata in molti paesi ed è alla sua quarta esperienza in Nicaragua. Ricorda
con dolore la miseria estrema trovata nei villaggi montani del Guatemala,
mentre in Cambogia vide una popolazione sfruttata in modo cinico, senza diritti
e possibilità di riscatto. Victoria capisce l’italiano, perché da bambina ha
vissuto un anno a Ostia. Era il 1974 e Golda Meyer si era accordata con Nikita
Kruscev per concedere un esodo degli ebrei russi che erano pesantemente
discriminati. Allora Victoria frequentava la prima elementare a Kiev (Ucraina),
ma la famiglia era originaria di Harkov, al confine con la Polonia. Per
emigrare occorreva pagare al fine di ottenere un invito. Israele offriva subito
cittadinanza, sanità e lavoro, ma c’era la guerra. Arrivati a Vienna, il padre,
decise di andare in Italia, dove la famiglia venne sistemata a Ostia, in attesa
di partire per l’America.

Chiedo
a Victoria il significato del suo cognome, Sugarman. «Ho mantenuto il nome del
mio primo marito. Suo padre era arrivato a Ellis Island (New York) dalla
Polonia. Aveva un nome difficile; decisero così di dargli il nome del suo
mestiere, pasticcere, obbligandolo ad abbandonare il nome di famiglia
originale. Victoria conosce Shakespeare, sorride e cita una bella frase da
Romeo e Giulietta: «A rose by any other name would smell as sweet» (una rosa
avrebbe lo stesso profumo anche se si chiamasse in un altro modo).

A
tavola conosco altri volontari. André è un giovane ingegnere, nato a Minsk
(Bielorussia) da famiglia agiata, che appena è stato possibile ha chiesto di
emigrare in Canada. Ci sono riusciti nel 2005, pagando una bella cifra. Il
padre fu minacciato, pistola alla tempia, e costretto a lasciare tutti i suoi
affari in patria.

Victor


1 febbraio

Victor
il tassista è venuto a prenderci per portarci a Leòn, domani proseguiremo per
la laguna di Apoyo. Nei venti minuti di tragitto racconta la storia della sua
famiglia, originaria di Las Penitas. Il padre era un povero pescatore con una
famiglia numerosa, che si rendeva conto delle ingiustizie subite dal popolo.
Parlava ai compagni, li spronava a ribellarsi. La situazione era drammatica,
mancavano le scuole e i centri di salute che ora, con l’amministrazione Ortega,
sono sorti ovunque. Nei primi anni dopo la rivoluzione, gli studenti delle città
furono inviati nelle campagne per insegnare ai figli di contadini a leggere e
scrivere. Un tempo i proprietari terrieri non si curavano dei loro dipendenti,
volevano tenerli nell’ignoranza per meglio controllarli. Pare che l’unica
attenzione fosse data agli uomini la domenica, con l’arrivo delle prostitute e
la distribuzione di rum. La condizione delle donne era di completa
sottomissione.

Un
giorno, dopo disordini da lui fomentati, fu mandato in prigione, con i suoi
figli. Uscito, decise di trasferirsi a León, cercare un lavoro, mentre la mamma
si mise a vendere cibo e i figli furono mandati a scuola. Victor aveva 14 anni
quando fu prelevato a scuola e arruolato nell’esercito, come era la regola,
allora. Dopo alcuni anni passò nelle file dei sandinisti. «In quegli anni
imparai a leggere e a scrivere e mi misi a studiare». Victor mi affascina, ha
doti di sintesi e chiarezza nel raccontare le vicende della sua vita e la
storia del suo paese. Spero di sentire altre storie, domani, in viaggio.

San Juan del Sur


3 febbraio

Anita
è una signora triestina che vive a San Juan del Sur da molti anni e nella sua
bellissima casa ha due stanze per gli ospiti. Costruita in legno pregiato è
aperta su un giardino di piante grasse, bouganville e manghi. I vicini di casa
appartengono alla famiglia
Chamorro, signori di Granada e proprietari de La Prensa, il quotidiano
che riesce ancora a fare opposizione al governo Ortega.

Tutto
è di gusto raffinato, non ci sono vetri, solo gelosie di legno, tiranti di
ferro e veri alberi coi rami che sostengono il tetto.

La
sera cerchiamo la gelateria italiana e incontriamo Stefano Cardonato, giovane
ingegnere ambientale torinese che sta trascorrendo le sue vacanze
viaggiando. è ospitato sulla strada del caffè nella casa di una famiglia
di contadini nell’ambito del programma «Turismo Rurale». Il padre di famiglia,
racconta, esce presto la mattina per andare a lavorare nei campi e si porta i
piccoli dietro. Non c’è bisogno di asilo, loro sono contenti e giocano. A
mezzogiorno ritorna nella casetta, e si gode la famiglia.

Ometepe, l’isola


7 febbraio

Su
consiglio di Stefano parto per Ometepe. Lasciamo le grandi spiagge di San Juan
del Sur e ci fermiamo al mercato di Rivas, snodo importante sulla Panamericana,
dove ci sono gli zuccherifici, l’università e l’ospedale. Il traffico in centro
è rallentato dai numerosi ricshò che trasportano cose e persone.

A San
Jorge ci imbarchiamo sul ferry per Ometepe. Siede accanto a me una coppia di
contadini. Sono stanchi, si addormentano subito riversi sul sedile e paiono
morti. Hanno piedi che non hanno mai visto scarpe, mani da lavoro, visi
rinsecchiti, scavati dalla miseria. Impressionante.

Un pick
up
ci porta a Merida su una strada che è un torrente in secca con pietre e
buche che quando piove diventa impraticabile. Gli isolani usano la bici, che
spingono sulle ripide salite. I cavalli si usano per trasportare i platani (o plantani),
i migliori d’America, che esportano nei paesi vicini. Si friggono due volte e
sono ottimi come contorno.

Forse
il prossimo anno asfalteranno i primi 2 chilometri di questa strada, mentre una
pista per piccoli aerei è già stata costruita, ma mai usata.


9 febbraio

Ometepe
è un’isola fantastica, formata da due vulcani spuntati in mezzo al lago più
grande dell’America centrale. Abitata molti secoli prima della scoperta
dell’America, conserva petroglifi e ceramiche che le famiglie raccolgono ed
espongono nelle case.

In
riva al lago un catalano con l’orecchino si è associato con Louis, nativo
dell’isola, e insieme hanno costruito due casette di mattoni, una cucina con
due fornelli a legna, una pergola e un riparo per i kayak, il Caballito
del mar
. Ci sistemiamo qui anche se ci sono lodge più belli, che
attirano i viaggiatori alla ricerca della natura incontaminata. La sera però
arrivano da noi per gustare i piatti semplici e gustosi di Maria Teresa, la
nostra cuoca. La vedo arrivare all’alba per spazzare, pulire, accendere il
fuoco e cucinare. Pesce del lago appena pescato, pollo al miele e le repochetas,
tortillas fatte a mano e fritte, coperte di crema di fagioli, formaggio
e cavolo. Oggi Louis è andato a comprare un pollo dai contadini, me lo ha
portato in un sacco, poi si è messo a spiumarlo in cucina, mentre Maria Teresa
preparava le verdure per la zuppa. Parte della bestia è stata poi cucinata con
rum, cipolle e miele. Viviamo questi giorni accanto agli abitanti e la notte
siamo svegliate dal canto del gallo, dall’abbaiare di cani, dai versi e dai
richiami di uccelli e altri animali.

Maria

Sono
le sei del mattino e la chioccia è arrivata coi pulcini a becchettare davanti
alla nostra capanna. Maria ha già lavato parte del secchio di panni sulle
pietre poste in riva al lago. Con i piedi in acqua, passa sapone e spazzola sui
vestiti sporchi di famiglia. Maria ha solo tredici anni, quattro fratelli e due
sorelle e ha sempre lavorato aiutando in casa. La sua famiglia abita qui,
sull’isola, dove alcuni stranieri hanno già pensato di installarsi. La terra
sull’isola costa sempre più cara, perché molti arrivano qui dal Costarica alla
ricerca di un paese genuino e meno caro.

Oggi
risaliremo il fiume Istan, che taglia l’istmo che separa i due vulcani.
Entriamo con il kayak in un paradiso di alberi maestosi, alcuni in piena
fioritura, dove possiamo vedere una grande varietà di uccelli, scimmie,
alligatori. L’acqua è tranquilla, ricoperta da piante acquatiche, l’atmosfera
serena. Sullo sfondo i due vulcani, con un cappello di nuvole sulla cima.

10 febbraio

Siamo
arrivate a Moyogalpa a mezzogiorno, dopo esserci fermati a Ojo de Agua, una
piscina quasi naturale di acqua sorgiva e, pare, benefica. Ci siamo fermati poi
a Charco Verde, un complesso turistico presso una laguna, oasi naturalistica
protetta. Un posto per turisti esigenti, molto bello e molto diverso dal Caballito
del mar
. Ci sono alberi maestosi, il prato e la spiaggia attrezzata. Niente
galline, né maiali o bambini in giro.

Proseguiamo
per Moyogalpa, cittadina deliziosa, vivace e trafficata fino alle 17, quando
parte l’ultimo traghetto per Sao Jorge. La via principale ha casette colorate
dove si aprono botteghe, caffè, comedor e ristoranti. La sera si
accendono le luci e si scorgono gli interni con le decorazioni vivaci, le
poltrone a dondolo di legno scolpito, le tendine di pizzo. Le famiglie allora
si siedono sul marciapiede a chiacchierare, mentre i bambini giocano per
strada.

La
via sale e termina con il parque central, piccola piazza ombrosa con
panchine, e la chiesa cattolica. Entriamo e vediamo una chiesa povera, anche se
piuttosto grande. Le colonne sono di legno e hanno lunghe cortine di pizzo con
mantovana. Il pavimento ha bisogno di restauro, mancano alcune mattonelle.
Fuori si accende il tramonto sul lago.

Gli
altri, le sette evangeliche che arrivano dagli Usa, sono molto agguerriti,
salgono persino sui bus e parlano per ore di Gesù in mezzo alla gente. Poi
chiedono soldi e la gente sgancia.

Dona Nora

«Sono
nata 64 anni fa e la mia era una povera famiglia contadina. A vent’anni avevo
già due bimbe e la vita dei campi era troppo dura». Dona Nora siede su un
dondolo di legno intagliato, nel patio del suo albergo e mi racconta la sua
vita. «Arrivai a Moyogalpa e mi misi accanto al molo dei ferries, sotto
una capanna col tetto di foglie di banano. Vendevo gallo pinto, birra e
bibite».

Dona
Nora si è messa il rossetto, il corpo adagiato nella sedia a dondolo è
disfatto, ma gli occhi brillano, mentre continua il racconto della sua vita. «Comprai
il terreno e negli anni successivi comprai quello accanto, dove ho fatto
costruire questo albergo». Le piante e i fiori nel giardino sono stupendi, ci
sono anche due carambole (star fruit) cariche di frutti. Le pareti
dell’albergo sono dipinte a colori vivaci, con i vulcani e le mappe dell’isola.
Altri tre figli arrivarono negli anni, ma pare che gli uomini non abbiano mai
collaborato.

Granada


12 febbraio

L’ultima
sosta la dedico a Granada, antica capitale che ha scoperto una vocazione
turistica.

Il
vulcano Mombacho domina il paesaggio e condiziona lo sviluppo delle città.

Le
case coloniali del centro storico sono state restaurate, alcune sono ora di
proprietà straniera altre sono strutture turistiche, ma la vita degli abitanti
nei quartieri periferici non pare cambiata.

Mi
fermerò qui solo una notte in una posada, una casa privata, dove i due
anziani proprietari passano la giornata in dondolo, ricambiando gli sguardi dei
passanti, mentre umili donne lavorano.

Claudia Caramanti


Claudia Caramanti