Dalla Sardegna all’Africa

Storia di un giovane missionario


Fabio Malesa, nato e cresciuto a Olbia, scopre in Messico la
sua vocazione. Preso il suo destino in mano, dopo un lungo percorso, eccolo
missionario della Consolata in Mozambico. A raccogliere le sfide del nostro
tempo e di una Chiesa che cambia rapidamente. Anche in Africa.

C’è sempre una prima volta, dicono. La prima volta
di padre Fabio Malesa in Mozambico risale all’anno 2000. Era ancora un giovane
studente di teologia quando giunse, tra l’emozionato e il preoccupato, a
Cuamba, regione del Niassa. E lì, nel primo impatto con l’Africa non più
libresca, padre Fabio (classe 1972, figlio unico e perciò anche un tantino
viziatello) imparò, gioco forza, a fare un po’ di tutto. Fu carpentiere,
infermiere, animatore, professore, cuoco. Diceva di sé, scherzando, nei
periodici rientri in Italia, che sarebbe stato preferibile che lui non avesse
frequentato il liceo classico ma semmai un istituto d’arti e mestieri.

Fabio
studiava medicina a Sassari. Fece un viaggio in Irlanda per migliorare il suo
inglese. Lì conobbe una congregazione religiosa di origine messicana e al suo
rientro in Italia comunicò ai genitori di aver deciso di diventare missionario.
Il momento non fu facile, ma Fabio lo superò arrivando al noviziato in Messico.
Qualche anno dopo, guardando con maggiore realismo il tutto, considerò che
sarebbe stata preferibile una congregazione italiana e presente anche a Olbia,
così decise per i missionari della Consolata. La figura di padre Silvio
Lorenzini, trentino, con la sua testimonianza di fede certamente influì molto
nella formazione e nella decisione di Fabio.

Il grande passo

Di
Fabio Malesa abbiamo scritto per la prima volta nel 2007 di quando, in un tardo
pomeriggio d’ottobre, nella basilica romanico-pisana di San Simplicio, a Olbia
(Nord Est della Sardegna), la sua città natale, ricevette dal vescovo, alla
presenza di genitori, parenti e amici, l’ordinazione sacerdotale.

La
sua destinazione come missionario, allora, era nota: Vilankulo accogliente
località, poco distante dal mare, nel Sud del Mozambico, per altro anche meta
turistica, e dal nome piuttosto buffo per noi italiani.

Vilankulo
era per padre Fabio anche un ritorno in quanto, prima dei quattro anni di pausa
in Italia per il completamento della formazione, vi era già stato diacono e vi
aveva fatto come altrove i mestieri più disparati.

In
missione, inoltre, quasi sempre non esistono i comfort del proprio contesto di
provenienza. E l’essere umano si adatta.

Maputo

Oggi,
a Maputo, la capitale del Mozambico, città cosmopolita, Fabio ricopre
l’incarico di vice superiore regionale dei missionari della Consolata nel
paese. Dei sei anni di Vilankulo conserva il bellissimo ricordo delle
esperienze fatte, specie quelle con i giovani. La sua relazione con la gioventù
non meraviglia nessuno, conoscendone le doti umane, spirituali e professionali.
Sì, perché un missionario, oggi come oggi, deve essere di fatto anche un
professionista della missione. In giro, infatti, sotto qualunque cielo, la
gente è più esigente. In Africa, come altrove. Per accoglierti e seguirti essa
attende risposte serie e testimonianze coerenti.

A
Maputo padre Fabio regge, coadiuvato da animatori laici, due parrocchie
frequentate complessivamente da almeno tremila persone. L’area è quella di
Matola, una periferia urbana in espansione, dove convivono autoctoni,
mozambicani giunti da altre città del paese e persino portoghesi che, per la
crisi economica di cui è vittima il Portogallo, hanno scelto di andare a vivere
e a lavorare nell’ex colonia.

Matola
è un contesto variegato, un quartiere abitato da ricchi e poveri. Non
ricchissimi certamente e neanche poverissimi.

Tuttavia
il consumismo vi è giunto con prepotenza, facilitato proprio dall’ambiente
metropolitano. Il contesto spinge la gente a una continua competizione per
procurarsi ciò che desidera e che non ha e che sa di non poter avere a breve. E
possono così accadere anche fatti spiacevoli. Padre Fabio, ad esempio, ne ha
vissuto uno di persona, proprio nella casa dei missionari di Matola. Un fatto
davvero terribile se si considera che c’è stato persino un morto: un
confratello (l’autrice si riferisce a padre Valentim Camale, ucciso il 3/5/2012,
ndr),  che si
era rifiutato di consegnare il denaro richiesto da un teppistello e dai suoi
complici, penetrati nell’abitazione con l’intento di consumare una rapina, a
loro parere, facile.

A
Vilankulo – sottolinea Fabio – il contesto era molto più aperto e accogliente.
Era fatto di gente semplice, allegra quanto basta (i mozambicani non sono
musoni) e soprattutto generosa anche nel poco. Certamente – chiosa – anche in
quel contesto non mancano problemi seri come strade dissestate, agricoltura
appena di sussistenza (il terreno è sabbioso, rende poco e costa fatica
coltivarlo), malattie endemiche, Aids, limitata scolarizzazione.

Una grande partecipazione

Maputo,
la grande città, per quanto più confortevole per chi la vive, tende a
spersonalizzare i rapporti umani. Per fortuna non mancano cordialità e
collaborazione da parte degli animatori o dei catechisti, di quelli che sono
responsabili dei differenti settori della pastorale nelle parrocchie, e dei
loro familiari. E di tutti coloro che, magari anche per caso, imparano a
conoscere da vicino e a stimare il lavoro dei missionari della Consolata.

Questo
spirito di fratellanza costruttiva mitiga la solitudine e aiuta parecchio, in
quanto il missionario è persona come noi e l’affettività, vissuta correttamente,
è importante per affrontare con serenità i pesi della quotidianità.

La
politica nella capitale, e nel Mozambico in genere, è molto presente nella
quotidianità della gente comune. In particolare con l’onnipotente e
onnipresente Frelimo, il partito politico, a suo tempo di marcata connotazione
marxista, che è al potere da parecchi anni ed è uscito vincitore da una lunga e
devastante guerra civile (la guerra civile in Mozambico, iniziata nel 1975 si è
conclusa con gli accordi di pace del 1992, ndr). Un partito – precisa
padre Fabio – che, senza timore di smentita, fa il buono e il cattivo tempo in
tutto.

In
poche parole, senza la tessera del Frelimo in Mozambico non si lavora nello
stato. Il partito antagonista, la Renamo, il partito nazionalista che, nient’affatto
arresosi per la sconfitta subìta, in vista delle prossime elezioni cerca di
dare filo da torcere, come può, all’avversario politico.

La
corruzione, in certi ambienti e per certi sostanziosi contratti, è di casa tra
i politici.

Pastorale di responsabilità

La
Chiesa missionaria (i missionari della Consolata sono in tutto il Mozambico
circa una quarantina con due vescovi di recente ordinazione) si adopera per una
crescita umana e spirituale della gente puntando a una pastorale il più
possibile decentrata (distribuzione dei compiti e formazione dei responsabili).
Ed è anche quello che sta tentando di fare padre Fabio nelle due parrocchie di
cui è responsabile a Matola. E cioè in quella più centrale di Santa Teresina
del Bambino Gesù, a Liqueleva, e in quella di Santissima Maria Assunta, a
Liberdade.

Compito
per niente facile in quanto non mancano le resistenze. Anche da parte di alcuni
missionari che, per età anagrafica o per consuetudine, stentano ad accettare
gli indispensabili cambiamenti.

Chi
reagisce positivamente è invece la gioventù del luogo, che si sente fortemente
motivata proprio in quest’assunzione di responsabilità. Ragazzi e ragazze di
formazione cattolica, molti dei quali provengono da ambienti modestissimi, con
grande desiderio di imparare e di fare. E questo li distingue dai nostri
giovani in Europa e in Italia.

Il
sacrificio personale resta un’ottima scuola.

Chiesa internazionale

La
Chiesa africana, quindi anche quella mozambicana, è in crescita, e
l’inteazionalità non fa problema. Fabio Malesa l’ha vissuta in seminario
prima, da studente, e poi da prete oggi. È infatti una consuetudine, anche tra
i missionari della Consolata, essere di tante nazioni diverse.

Padre
Fabio lavora a Matola con un viceparroco congolese, con il quale c’è un’ottima
intesa.

Nel
concludere chiediamo a padre Fabio se, oggi come oggi, alla luce della sua
esperienza, rifarebbe la stessa scelta, di essere un missionario, e cosa
direbbe a un giovane che mostrasse interesse per la missione ad
gentes. Lui, senza esitazione, ci fa capire che l’essere accanto alla gente
bisognosa, saperla ascoltare, confortare, prospettarle una speranza fondata
sugli insegnamenti della Parola, è una ricchezza impagabile per chi sceglie di
farlo.

A
sera, pure se stanco come un asino gravato da enormi e spesso insopportabili
pesi – aggiunge – ti addormenti sereno perché sai di avere fatto gratuitamente
la tua parte di «bene» proprio come voleva per i suoi figli l’Allamano e anche,
e soprattutto, come esige la tua coscienza di uomo.

Marianna Micheluzzi

 

Tags: Malesa, missionario, evangelizzazione, vocazione, missionari, IMC

Marianna Micheluzzi

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