Cirillo
e Metodio, fratelli greci, nativi di Tessalonica, fin dall’inizio della loro
vocazione, entrarono in stretti rapporti culturali e spirituali con la Chiesa
di Costantinopoli. Entrambi scelsero la vita religiosa al servizio della
missione. Su richiesta del principe di Moravia, Roscislaw, all’Imperatore e al
Patriarca di Costantinopoli, furono inviati a evangelizzare i popoli slavi che
abitavano la penisola balcanica e le terre percorse dal Danubio. Per rispondere
al loro impegno missionario tra gli slavi inventarono un nuovo alfabeto e
tradussero nella lingua locale brani del Vangelo e libri a scopo liturgico e
catechetico, gettando così le basi di tutta la letteratura nelle lingue di quei
popoli. Giovanni Paolo II, nel 1980, con la lettera apostolica Egregiae virtutis, li ha proclamati
compatroni d’Europa associandoli così a san Benedetto da Norcia, per la loro
gigantesca opera culturale ed evangelizzatrice, svolta in condizioni molto
difficili in un secolo piuttosto oscuro. Essi sono considerati patroni di tutti
i popoli slavi.
Di fronte a due giganti della
missione come voi, uno si sente piccolo piccolo; anzi, di fronte al vostro
impegno missionario, qualunque cosa pensiamo di aver fatto sembra veramente
poca cosa.
Cirillo
e Metodio: Siamo noi a sentirci imbarazzati, perché
sembra che chissà quali grandi opere abbiamo compiuto. In realtà, tutto ciò che
abbiamo fatto è opera della Spirito Santo che, attraverso di noi e dei nostri
discepoli, ha operato meraviglie in quei popoli che vivevano alla periferia
dell’impero bizantino.
Voi siete di origine e cultura
greca, parlateci un po’ della vostra famiglia.
Cirillo
e Metodio: Siamo nati e cresciuti a Tessalonica
(l’attuale Salonicco) in una famiglia della nobiltà bizantina. Nostro padre era
comandante di una squadra navale della flotta dell’impero bizantino. Nella
nostra numerosa famiglia (eravamo 11 tra fratelli e sorelle) si è sempre
vissuto un forte anelito culturale, unito alla solida spiritualità che i nostri
genitori ci hanno trasmesso.
Come tutti i fratelli, immagino
che i vostri caratteri non fossero proprio uguali, o sbaglio?
Metodio:
Io presi il carattere di mio padre e anche le sue doti. Come figlio di un
ammiraglio dell’impero bizantino, anch’io ero piuttosto avveduto nelle scelte
che si dovevano fare e avevo una ferrea volontà nel portare avanti i compiti
che mi venivano assegnati. Per queste mie caratteristiche mi venne affidato per
un periodo di tempo il governo di una colonia slava in Macedonia.
Cirillo:
Alla inconcludente vita politica di Costantinopoli (non per nulla i
ragionamenti arzigogolati si chiamano «bizantinismi») preferivo la quiete dello
studio e le tranquille giornate a corte, dove fui per qualche tempo anche
paggio dell’imperatore. Ultimati gli studi alla scuola di Fozio, detto «il
Grande», intrapresi la carriera d’insegnante.
Uno amministratore, l’altro
professore di scuola, in realtà la vostra carriera non si è sviluppata secondo
le linee che tutti si aspettavano da voi in famiglia.
Cirillo
e Metodio: Infatti ambedue, avvertendo dentro di noi
la chiamata al sacerdozio, ci mettemmo a disposizione per l’attività
missionaria.
Si può dire che la vostra
vocazione sia legata alla vostra città di origine e all’ambiente in cui siete
vissuti?
Metodio:
Certamente. Il fatto di crescere in un ambiente profondamente segnato dalla
fede in Cristo in una città come Tessalonica, dove erano presenti diverse
comunità con lingue e culture differenti, ci portava a pensare di annunciare il
Vangelo a gente che non apparteneva alla cultura greca e che parlava una lingua
diversa.
Cirillo:
In realtà fui battezzato col nome di Costantino e quando mi trasferii,
nell’842, a Costantinopoli per perfezionarmi negli studi di teologia e
filosofia, nella mia sete di cultura approfondii studi di astronomia,
geometria, retorica e musica. Per un certo periodo feci un’esperienza di vita
monacale, dove mi cambiarono il nome, imponendomi quello di Cirillo (che vuol
dire «consacrato al Signore») con cui sono conosciuto nella Chiesa e da cui
prende nome addirittura l’alfabeto che ho inventato, il Cirillico.
In un contesto linguistico così articolato
e variegato, penso che per voi non sia stato difficile imparare nuove lingue.
Metodio:
Certamente vivendo in una città multiculturale, oltre al greco e al latino, si
imparavano frasi delle diverse lingue delle comunità che vivevano a Tessalonica.
Ognuno sapeva più o meno qualcosa della lingua dell’altro.
Cirillo:
Oltre al greco e al latino, parlavo correttamente siriaco, arabo, ebraico e
alcuni dialetti slavi che risuonavano nella nostra città. Questo ci aiutò molto
quando iniziammo la nostra missione con gente che parlava lingue diverse.
Così completati gli studi e
ordinati preti, eravate pronti per iniziare la vostra meravigliosa avventura
missionaria tra i nuovi popoli.
Cirillo
e Metodio: La prima missione evangelizzatrice fu in
Pannonia (l’attuale Ungheria, con la sua magnifica puszta [steppa], ai
nostri tempi molto più estesa di quanto potete immaginare). Mentre, nell’anno
862, il re Roscislaw della Grande Moravia chiese all’imperatore di Bisanzio
l’invio di missionari per rafforzare l’autonomia del proprio stato,
sottraendolo così alla dipendenza dal clero germanico, che corrispondeva di
fatto a una dipendenza politica e culturale dallo stato Franco. Fu in questa
occasione che si dispiegò completamente la nostra missione fra i popoli slavi.
Quale fu la più grande difficoltà
incontrata?
Cirillo
e Metodio: Sicuramente la lingua, pur parlando diversi
idiomi non riuscivamo a intenderci con i nativi, perché quei popoli, avendo una
coltura prevalentemente orale non conoscevano la scrittura. Ovviamente c’erano
alcuni che sapevano leggere il greco e il latino, ma mai la lingua locale era
stata fissata nella scrittura.
Perché inventaste un alfabeto del
tutto nuovo?
Cirillo
e Metodio: Per andare incontro alla sensibilità delle
popolazioni che si aprivano al Vangelo. Creammo una scrittura basata sul
dialetto slavo meridionale parlato nei dintorni di Salonicco. Questo alfabeto
(gli studiosi lo classificano come glagolitico antico) venne usato per la prima
volta in Moravia verso la fine del IX secolo, e vedendo che esso attecchiva con
sorprendente rapidità – perché evitava i caratteri latini, sottraendo questi
popoli all’influenza dei Franchi, popoli del Nord Europa che erano già venuti a
contatto con la grande cultura dell’impero romano, e lasciava da parte
l’alfabeto greco, egemonico nell’impero bizantino – decidemmo di applicarlo in
altre zone toccate dalla nostra azione missionaria.
Voi eravate stati inviati a
evangelizzare come esponenti della Chiesa di Costantinopoli, ma a Roma come si
seguiva il vostro lavoro?
Cirillo
e Metodio: Noi svolgemmo il nostro impegno missionario
in unione sia con la Chiesa di Costantinopoli, dalla quale eravamo stati
mandati, sia con la Sede Romana di Pietro, dalla quale fummo confermati nella
originalità della nostra azione, in questo modo si manifestava visibilmente
l’unità della Chiesa, che durante il periodo della nostra vita e della nostra
attività, non era ancora stata colpita dalla sciagura della divisione tra
l’Oriente e l’Occidente.
Se non sbaglio veniste anche in
Italia?
Cirillo
e Metodio: A Roma fummo accolti con onore dal papa
Adriano II e dalla Chiesa romana; ci diedero l’approvazione e l’appoggio per
tutta la nostra opera apostolica e anche il permesso di celebrare la liturgia
nella lingua slava, cosa non ben vista in certi ambienti «tradizionalisti». C’è
sempre qualcuno che pensa solo a criticare! La storia dell’umanità come della
Chiesa è piena di «ottusi», ai nostri tempi come ai vostri!
Pensate che oggi ci sia bisogno di
missionari, non dico capaci di inventare alfabeti nuovi, ma che sappiano
inculturarsi sempre di più tra i diversi popoli, come avete saputo fare voi con
i popoli slavi?
Cirillo
e Metodio: Certamente. La missione evangelizzatrice
della Chiesa ha bisogno di gente decisa, che non arretri di fronte a nessuna
difficoltà, pronta a scegliere strade sempre più innovative per conquistare i
popoli a Cristo. In fondo la Missio ad gentes sarà sempre un compito
specifico dei discepoli di Cristo; guai a voi se vi limitate a chiudervi in
recinti più o meno sacri.
Cirillo
concluse a Roma la sua vita il 14 febbraio 869 e fu sepolto nella Chiesa di san
Clemente, mentre Metodio fu consacrato arcivescovo dell’antica sede di Sirmio e
fu rimandato dal Papa in Moravia per continuarvi la sua provvidenziale opera
apostolica, proseguita con zelo e coraggio insieme ai suoi discepoli e in mezzo
al suo popolo sino al termine della sua vita (6 aprile 885). Dopo la loro morte
i loro discepoli vennero osteggiati con ogni mezzo da più parti, specialmente
in ambito ecclesiale, per la tenacia con cui portavano avanti la loro opera di
evangelizzazione e la loro azione liturgica e culturale con l’uso del loro
alfabeto, da tutti ormai chiamato «cirillico» in onore di chi lo aveva ideato.
Mario Bandera