Cari Missionari
Se è vero che ciò che accade nella Chiesa particolare
riguarda la Chiesa universale, dopo aver letto (M.C. n.10/2013, p.8) che
è stata la Chiesa filippina a convocare la Conferenza asiatica per la Nuova
Evangelizzazione, mi piacerebbe domandare al Primate S. E. Mons. Luis Antonio
Tagle, arcivescovo di Manila nonché cardinale elettore nel Conclave che ha
scelto Papa Francesco, se le scelte compiute dal nuovo pontefice per quanto
riguarda addobbi, decorazioni, suppellettili sono destinate a restare, in Asia,
lettera morta, oppure stimoleranno anche i cattolici dell’Estremo
Oriente, a cominciare da quelli delle Filippine, a
intraprendere un cammino di rinnovamento all’insegna della sobrietà, della
frugalità, della ragionevolezza.
Sono rimasto molto male, leggendo un non certo tenero ma
documentatissimo dossier del National Geographic (cfr. N. Geographic Italia Ottobre 2012), che «in
Asia la domanda di avorio è cresciuta», che «l’avorio sequestrato è ben poca
cosa rispetto a quello che arriva a destinazione», che nella cattolicissima
Manila «i principali clienti sono i preti», che «i principali fornitori sono
filippini musulmani che hanno legami con l’Africa o musulmani malesi», che «nell’isola
di Cebu il legame tra avorio e religione è così stretto che la parola garing
= avorio, significa anche statua sacra…», che «il Vaticano non ha mai firmato
la Cites – Convenzione internazionale
sulle specie in pericolo – dunque non è tenuto a rispettare il
bando del commercio dell’avorio», che persino i cattolici filippini
appartenenti ai ceti meno abbienti considerano il possesso di santi bambini
d’avorio, madonne d’avorio, crocifissi con Cristo d’avorio fondamentali per la
fede, per la preghiera, per la vita cristiana. Vorrei chiedere ancora a Mons.
Tagle: di quanti garing hanno ancora bisogno le chiese e le case
filippine? Se l’avorio è così importante per la liturgia e il culto, che
succederà alla cristianità delle Filippine quando di elefanti asiatici con le
zanne non ne sarà rimasto neppure uno e gli unici elefanti africani
sopravvissuti saranno quelli degli zoo e dei circhi?
Come fanno i vescovi, i preti e i laici filippini a non
sentire alcun senso di colpa quando apprendono di massacri di elefanti […]?
Come si fa a non capire che bisogna rivedere anche il rapporto con gli oggetti
di culto – e, segnatamente, quelli in avorio – se si vogliono salvaguardare i
diritti delle future generazioni. Invece di ambire al possesso di altri garing,
non sarebbe meglio accontentarsi di quelli che già si posseggono? Non sarebbe
più ragionevole e più cristiano riconoscere che sono già tanti?
Grazie
per l’attenzione.
Francesco Rondina
Fano, 19/10/2013
Caro Francesco,
poiché lo spazio è tiranno, ho dovuto tagliare parte della lettera, mantenendo
le questioni essenziali. Concordo con buona parte delle sue osservazioni e mi
auguro che lo stile di papa Francesco abbia un influsso positivo sul problema
da lei posto. Mi permetto però di sottolineare alcuni punti.1. La relazione tra il fatto che il Vaticano non abbia firmato il
Cites e il «consumo» d’avorio dei filippini non è logica. La firma della
convenzione da parte dello stato del Vaticano avrebbe un peso esclusivamente
morale e non legale sui filippini. Più rilevante per loro è la firma della
convenzione da parte delle Filippine. Tocca infatti alle Filippine
regolamentare il commercio dell’avorio nel proprio territorio, non al Vaticano.
L’associazione del Vaticano (stato) con la Chiesa Cattolica, è un abbinamento
che va molto a orecchio, che può suonare bene per la stampa popolare, ma non
regge all’analisi obiettiva dei fatti.2. Anche stabilire un rapporto di necessità
tra statue d’avorio e liturgia cattolica è arbitrario. Non è la religione
cattolica che ha creato il bisogno dei garing, anche se essa ha
accettato una tradizione culturale comune a quasi tutte le culture orientali
che da millenni fanno uso dell’avorio nella produzione di oggetti religiosi,
forse proprio per la qualità intrinseca del materiale stesso: raro, prezioso e «puro».
Che oggi si possa e si debba invitare i cattolici delle Filippine a un uso più
cosciente e ragionato di tali oggetti, è indubbio. Che ci sia un nesso tra la
forte richiesta di questi oggetti e lo sterminio degli elefanti, è un fatto che
non contesto. Ma le statue d’avorio non sono proprie né necessarie al culto
cattolico. Sono frutto di una religiosità popolare che si radica in una cultura
che esisteva ben prima dell’evangelizzazione di quelle isole nel XIV secolo.
Leggendo il pregevole articolo di Paolo Bertezzolo (M.C.
n.11/2013, p.68-71) sulla nuova moneta da 2€ dedicata ai Santi Cirillo e
Metodio, ho pensato che quello scoppiato tra Francia e Slovacchia non è solo un
contrasto tra due modi diversi di intendere il rapporto tra politica e
religione.
Nel
IX secolo Cirillo e Metodio furono dei formidabili evangelizzatori, mediatori e
unificatori che cercarono, riuscendoci, di prendere il meglio di ogni tradizione,
lingua e cultura. Lavorarono sodo per amalgamare germanici e latini, cristiani
d’Oriente e d’Occidente, genti slave del Nord e del Sud, popoli delle grandi
selve e popoli a vocazione marinara. Diedero un alfabeto e una scrittura agli
Slavi traducendo in una lingua nuova Bibbia e Liturgia Cattolica, difesero il
loro metodo di evangelizzazione dalle velleità egemoniche del clero tedesco
che, a un certo punto, si rivolse addirittura alla Santa Sede per togliere di
mezzo i due fratelli greci. Il Papa Adriano II però non solo frustrò le
aspettative di quei tedeschi superficiali e invidiosi, ma assicurò tutto il suo
sostegno all’opera di Cirillo e Metodio.
Agli
amici della Slovacchia, uno dei pochi paesi di Eurolandia a non avere sbocchi
sul mare, e a tutti coloro che hanno voce in capitolo quando si tratta di
ideare, approvare ed emettere nuovi conii, vorrei dare un suggerimento: in una
delle prossime monete da 2€ fate effigiare una tartaruga, un tonno, un pesce
luna, un delfino, uno squalo elefante…
Tale scelta potrebbe essere il segno di una rinnovata
volontà di tutti i popoli europei a procedere sulla strada della protezione
ambientale, rompendo con la linea seguita fin qui da Bruxelles per quel che
riguarda tutto ciò che ha a che fare con il mare, dalla pesca al turismo, dalla
balneazione alla pirateria, dal contrabbando al soccorso dei naufraghi, dalla
perforazione petrolifera al trasporto di sostanze tossiche.
È una
linea che non si concilia in alcun modo con le istanze di giustizia e di pace
ma neanche con quelle della serietà, dell’efficienza, del buon senso, del
rigore e del risanamento dei conti pubblici.
[…]
Vi ringrazio per l’attenzione e Vi saluto cordialmente.
Maria Weistroffer
Bordeaux, 24/11/2013
Carissimi,
forse lo avrete già dimenticato, ma il «Cristo de los Desterrados» (M.C.
n.1-2/2012, p.5) continua a farsi strada e già si è incamminato e vuole
benedire, proteggere e farsi promotore di questo brandello di foresta dove «los
niños ecológicos en acción», contro vento e marea, vogliono dimostrare che una
spiaggia più pulita è un’alternativa al solito menefreghismo di molti e
scetticismo dei più, ed è la strada giusta per crescere senza perdere la
propria identità culturale indietreggiando come un gambero, e per continuare a
scavare come «armadillos».
Intanto 780.000 (settecentoottantamila) bottiglie sono già state
infilzate e circondano i 3000 m2 del
piccolo parco giochi dove la storia di Pinocchio con balena a dimensione
naturale (fatta di bottiglie) con Geppetto nel suo pancione saranno
l’attrazione principale. Intanto il parco sfoggia già il suo stupendo arco
d’ingresso. Direte: dove avete preso quelle 780.000 mila bottiglie? Sulla
spiaggia dell’Oceano Pacifico, naturalmente! E ce ne sono ancora di più. La
raccolta è stata fatta dai bambini e ragazzi, premiati con un centesimo di euro
a bottiglia, soldini che son loro serviti per comprarsi libri e quadei di
scuola oltre che i deliziosi dolci di noce di cocco per completare la loro
povera colazione. La cosa più bella è stata l’esclamazione spontanea di uno dei
ragazzi: «Questo me lo sono guadagnato io!». Che ve ne pare? Pinocchio comincia
a farsi uomo e a capire che in questo mondo «il sudore della fronte» aiuta a
crescere e che è vero ciò che afferma San Paolo quando dice ai suoi
Tessalonicesi fannulloni e molto indaffarati in chiacchiere «che chi non vuol
lavorare, neppure mangi».
Intanto
il piccolo parco ha già pure la sua minuscola cappella da dove un altro pezzo
di legno, lavorato da Ariel, il modesto artigiano tutto fare, sfoggia il Cristo
benedicente, portatore di pace e armonia.
P. Vincenzo Pellegrino
Cali, Colombia
Lampedusa:
ho visto qualche lettera sulla Rivista. Ma il dato essenziale non viene
evidenziato né lì né altrove. L’Africa contava circa 30 milioni di umani a metà
dell’Ottocento, ora ne ha un miliardo! E con un tempo di raddoppio di 30 anni.
Qui sta il vero problema a monte. Nel frattempo è stato distrutto il 90% degli
altri esseri senzienti (altri animali, piante, ecosistemi) e il processo
continua senza sosta. Se non cessa il mostruoso aumento della popolazione
umana, in quasi tutto il mondo, è evidente che tutti i problemi sono insolubili
e si aggravano sempre più. Non basta dare la colpa «alle multinazionali», al
colonialismo e simili, queste sono solo concause, aggravamenti di una
situazione e di un andamento assolutamente insostenibili. Vi allego un
interessante articolo pubblicato 20 anni fa (che non riportiamo per ragioni di
spazio, ma si può trovare sul sito de La Repubblica, 11/6/1994: Orazio della
Rocca, Guerra delle culle in Vaticano. In esso si sosteneva che anche
l’Accademia Pontificia raccomandava un rilassamento nell’opposizione totale al
problema del controllo delle nascite, ndr). In questo lasso di tempo la
popolazione umana nel mondo è aumentata di due miliardi di umani! Ma come
pensate che si possa andare avanti così? Inoltre, togliere lo spazio vitale
agli altri esseri senzienti è moralmente condannabile, è un delitto. Qui si sta
distruggendo la Terra. Distinti saluti.
Albino Fedeli
Brescia, 7/10/2013
Caro Albino,
su queste pagine abbiamo dibattuto più e più volte sul problema della (sovra)
popolazione (Vedi: M.C. n.1-2/2013, p.7; 3/2013, p.7). Qui mi permetto
di sottolineare alcuni punti circa la Chiesa, implicati dal riferimento
all’articolo de La Repubblica.La Chiesa,
ritiene sì che i figli sono un dono e che ogni vita va rispettata fin dal
concepimento, ma non sostiene il principio che bisogna fare figli a tutti i
costi. Da anni (almeno 50), nella sua dottrina sociale, insiste su pateità e
mateità responsabile, promuovendo metodi e stili rispettosi della vita e
attenti all’ambiente. È vero che Essa si è sempre opposta all’aborto, alla
sterilizzazione, all’uso di pillole abortive e di altri strumenti che
favoriscano il sesso indiscriminato e irresponsabile fino dall’adolescenza
(ampiamente sostenuti invece da potenti e danarose lobby anche intee all’UE,
vedi ad esempio il documento «Standards for Sexuality Education in Europe»
promosso dalla sezione europea dell’OMS). Ma ritenere la Chiesa responsabile
della crescita demografica perché opposta ai preservativi, è fuori posto.
Sarebbe attribuire a Essa un’influenza che di fatto non ha (e non ha mai
avuto). I fatti sono semplici: la crescita demografica più accentuata è
avvenuta in Cina e in India, dove l’influenza della Chiesa è minimale. In
Europa e America del Nord, dove in teoria il suo influsso era più forte, si è
invece assistito al fenomeno contrario, addirittura alla decrescita della
popolazione. E noi italiani siamo proprio tra i primi al mondo nella decrescita
demografica!Ben altre sono
le ragioni della crescita della popolazione mondiale, in primis il
grande e positivo sviluppo della medicina, che ha drasticamente ridotto la mortalità
infantile e allungato (anzi, quasi raddoppiato in molti paesi) la vita media. È
un male questo? Non credo proprio. È un fatto che ci chiama a maggior
responsabilità verso questo nostro fragile mondo. E questa responsabilità
comincia con la giustizia nell’uso delle risorse e dell’ambiente. Dio ha un
progetto di armonia per il creato: armonia tra «esseri umani», «esseri
senzienti» e natura. E Lui è il garante di questa armonia.
Fare
del «volontariato» in un ospedale missionario a Ikonda in Tanzania durante il
proprio periodo di «ferie». È quello che hanno fatto due giovani gambettolesi
dal 26 agosto al 19 settembre scorso, Nicolò Pistoni, ventottenne laureato in
Ingegneria Biomedica, e Sofia Pedrelli, ventenne laureanda in Educatore
Professionale. […] Conosciamoli attraverso il racconto dell’esperienza
vissuta nel continente africano.
Come e per quali ragioni avete deciso di fare un’esperienza
missionaria? Perché in Africa e in questo particolare ospedale?
«Da
tempo collaboro con i Missionari della Consolata che a Gambettola hanno un
centro missionario (ex seminario) con annesso Santuario – precisa Pistoni – per
organizzare raccolte fondi destinate al sostentamento dei diversi centri che
questo Istituto ha realizzato in tutto il mondo: dalle missioni in Colombia,
Venezuela e Mozambico gestite da Missionari miei compaesani all’Allamano
Special School di Wamagana (Kenya) in cui trovano ricovero decine di bambini
portatori di handicap mentali e fisici. L’input di
partire per questa destinazione è venuto da padre Sandro Faedi, allora
vicesuperiore in Italia e ora in Mozambico. Dopo avergli raccontato della mia
carriera universitaria, mi ha proposto di dare una mano concretamente in uno
dei tanti ospedali sparsi nel mondo nei quali, ogni giorno, si dà conforto e si
presta soccorso alle popolazioni più povere. Fra le tante possibili
destinazioni la scelta è ricaduta sul Consolata Hospital di Ikonda in Tanzania,
paese nel quale è stato per molti anni anche l’attuale superiore della casa di
Gambettola, padre Daniele Armanni. Quell’ospedale è ora una delle strutture più
grandi e attrezzate realizzate in Africa dall’Istituto Missioni Consolata. A
Ikonda ho prestato servizio come tecnico nel reparto di radiologia e ho messo a
disposizione le mie conoscenze a chi fa questo stesso lavoro e non ha avuto una
preparazione specifica e strutturata come la mia grazie al tirocinio prima e al
volontariato poi, fatti in gran parte nell’ospedale Bufalini di Cesena in tutti
i reparti di radiologia, a Rimini in Radioterapia e a Forlì in Medicina
Nucleare». «Contattata, ho deciso di condividere questa nuova esperienza di
volontariato – afferma Pedrelli -, che l’anno scorso ho svolto a Skutari
(Albania) in una casa famiglia dell’associazione Papa Giovanni XXIII. Ho
prestato aiuto nella farmacia intea e in alcune giornate ho fatto
l’animatrice presso l’asilo. Rimarrà indelebile il ricordo dello stupore dei
bambini quando ho fatto imprimere le impronte delle loro mani su un foglio di
carta dopo averle colorate».
Cosa vi ha lasciato questa esperienza?
«C’è un antico proverbio cinese che riesce a descrivere al
meglio questa missione umanitaria: “Dai a un uomo un pesce e lo avrai sfamato
per un giorno. Insegna a un uomo a pescare e lo avrai sfamato per tutta la vita”.
È quanto abbiamo fatto quotidianamente per affrontare il contatto con una realtà
tanto diversa – confermano all’unisono -, sia dal punto di vista culturale (lo
swahili è un ostacolo arduo da superare, segnando in un quaderno le parole
essenziali per svolgere il lavoro), sia dal punto di vista ambientale (a oltre
2000 metri di altezza in una delle aree più povere della Tanzania). Ostacoli
che sono stati superati donando per tre settimane tutto di noi, con il sorriso
negli occhi e nel cuore, tutti i giorni, condividendoli con tutti. Quanto
sperimentato ci aiuterà senzaltro a vivere meglio le realtà in cui siamo
inseriti».
Piero Spinosi
Gambettola (CE)
Risponde il Direttore