Cari Missionari

Beati e santi

Ho letto con attenzione sugli ultimi numeri della rivista tutto quello che ha riguardato suor Irene Stefani e la sua beatificazione. (Va detto che leggo sempre da cima a fondo la vostra bella rivista). Da persona poco addentro nelle cose ecclesiastiche mi chiedo che cosa abbia determinato la sua beatificazione e che cosa abbia invece determinato la santificazione della dott.ssa Gianna Beretta Molla. Oltre 20 anni fa ho avuto modo di conoscere il marito di Gianna Beretta in Molla. Anche lui persona colta e retta. La scelta drammatica fatta nel 1962 da sua moglie è sicuramente più che rispettabile; ma è da santità? E allora perché non santificare anche la vostra consorella, a cui va la riconoscenza di tantissime persone e forse anche la «responsabilità» di una guarigione miracolosa ? Cordiali saluti, e complimenti.

Carlo May – 23/08/2015

Nella Chiesa c’è una procedura abbastanza precisa per quel che riguarda la «santificazione» di qualcuno. Proviamo intanto a mettere chiarezza nei termini. «Santificazione» non è certo la parola appropriata: vorrebbe dire che la Chiesa rende santo qualcuno. Mentre invece, la Chiesa, semplicemente riconosce come esemplare la santità di un cristiano tornato alla casa del Padre. La santità quindi c’è già. Il problema è riconoscere ufficialmente che quella persona è stata veramente santa e che quindi è un modello di vita cristiana per tutti.

Per questo c’è un lungo processo, che può richiedere anni. Il processo può iniziare solo cinque anni dopo la morte della persona e prima che siano trascorsi trenta anni dalla stessa (di modo che ci siano ancora testimoni viventi).

Il primo passo è compiuto a livello della diocesi. Il vescovo stabilisce un apposito tribunale per indagare sulla vita e sulle opere del «candidato»: testimonianze, documenti, scritti, ecc. Durante questo periodo la persona viene onorata col titolo di «servo/a di Dio».

Tutti i documenti e le conclusioni del processo diocesano vengono passati a Roma, alla «Congregazione per le cause dei Santi», che, tramite i suoi incaricati, verifica a fondo il materiale raccolto. Se passa l’esame c’è l’approvazione finale delle «virtù eroiche» durante un incontro dei Cardinali della Congregazione dei Santi, al termine della quale il papa appone la sua firma. Da quel momento la persona viene definita «venerabile». E qui si conclude la prima tappa.

Per la seconda (arrivare alla «beatificazione»), è necessario il concorso di due forze: la fede e la preghiera di chi ricorre al «venerabile», e il conseguente miracolo. Senza miracolo non si può procedere. Spesso passano anni prima che ci sia un vero miracolo, altre volte pochi mesi. Una volta ottenuto il miracolo, questo è verificato a fondo per togliere tutti i dubbi, e solo allora, superato il vaglio della commissione d’inchiesta diocesana, si può sottoporre a Roma la richiesta di approvazione, ottenuta la quale il «venerabile» può essere dichiarato «beato». È stato il caso di Giuseppe Allamano, proclamato beato il 7 ottobre 1990 e quello di Suor Irene, beatificata lo scorso 23 maggio.

La terza tappa è la «canonizzazione»: essere cioè iscritti nella lista ufficiale – canone – dei santi e presentati quindi come modelli di vita santa alla Chiesa universale. Per giungere a questo occorre un secondo miracolo, che superi gli stessi test di serietà del primo. Una volta approvato e riconosciuto ufficialmente il secondo miracolo, c’è la dichiarazione ufficiale della santità e il nostro beato o beata può essere chiamato santo/a. È il caso di santa Giovanna Molla.

Concludo dicendo che questo lungo processo aiuta a decantare emozioni, fanatismi e infatuazioni, a favore di un riconoscimento approfondito con serietà e fede. In realtà, davanti a Dio, tutto questo non aggiunge né toglie niente alla santità della persona. La serva di Dio Leonella Sgorbati e la beata Irene Stefani non sono salite di qualche gradino in più in paradiso, e il nostro beato Fondatore, che ci fa aspettare il secondo miracolo ormai da 25 anni, non è certo «meno santo» perché non ancora canonizzato.

5×1000 e Caf

In merito alla «difficoltà a firmare 5xmille», lettera del sig. Luciano Zacchero sulla rivista MC di Agosto/Settembre 2015, indico la mia esperienza: ho consegnato a un Caf i 730 di figlio, nuora, figlia e genero (il mio è stato inviato personalmente via e-mail), e mi è stato concesso di firmare regolarmente 5-8-2xmille in loro vece. Mi meraviglia quanto successo al sig. Luciano. Le consiglio di cambiare Caf. Probabilmente il funzionario di quel Caf non gradiva le sue scelte. Cordialmente saluto,

Carlo Colombo – Sesto S. Giovanni (MI) – 04/09/2015

Padre Pietro Lavini

Credo sia giusto rivolgere un pensiero a padre Pietro Lavini, francescano cappuccino che, lo scorso 9 agosto, all’età di 88 anni, ha lasciato la scena di questo mondo.

Anche se gli ultimi 45 anni li ha passati in un solo posto, impegnato com’era a far risorgere, mattone dopo mattone, l’Eremo di San Leonardo – praticamente ridotto a un rudere dopo secoli di disinteresse e incuria da parte di tutti – nella Gola dell’Infeaccio, sui Monti Sibillini, nelle Marche, io credo che questo mite, umile ma valorosissimo, seguace di Cristo e di San Francesco, sia stato un grande missionario perché ha incontrato decine di migliaia di persone – gente del posto ma soprattutto turisti, escursionisti, curiosi che arrivavano da ogni parte del mondo per immergersi nella natura dei Sibillini, ma anche perché attratti da questa figura così speciale di uomo e di frate – e perché, oltre a ridare dignità a un insediamento benedettino, è stato capace di ricostruire tante anime.

Io ho avuto la fortuna di conoscere padre Pietro attraverso […] il suo libro «Lassù sui monti», un vero giorniello, introvabile (anche nelle librerie cattoliche), edito dalla Tipografia Truentum di Ascoli Piceno. Un libro che non ha proprio nulla da invidiare a tanti altri libri che trovano con una certa facilità editori disposti a pubblicarli, critici e osservatori disposti a scrivere recensioni, librai disposti a venderli […].

Grazie per l’attenzione

Luciano Montenigri – 18/09/2015

Dialoghi di Pace

Arrivata al «decennale», l’iniziativa «Dialoghi di Pace», che per l’edizione 2016 s’intitola Vinci l’indifferenza e conquista la pace, rinnova il suo invito: copiateci! È una efficace proposta per diffondere il messaggio del papa per la Giornata mondiale della pace.

I Dialoghi di Pace sono, molto semplicemente, una lettura con musica del testo del messaggio, suddiviso in brevi e veloci battute affidate a tre voci che si rincorrono e si intrecciano come in un vero e proprio dialogo.

Per creare un contesto favorevole all’interiorizzazione dei suoi contenuti da parte di chi li ascolta, lo introducono e lo intercalano brani musicali di ogni genere (classica, jazz, blues, popolare, contemporanea…) affidati alle più diverse formazioni vocali e strumentali (dai solisti, ai trii fino a cori e piccole orchestre).

Prendendo forma artistica, il messaggio viene reso più gradevole e accessibile. Da documento del magistero che pochi leggono interamente – quando va bene, accontentandosi delle sue sintesi giornalistiche, non sempre in buona fede -, a occasione di preghiera per chi è cristiano cattolico, e momento di meditazione per chi ha spiritualità diverse, non necessariamente di ordine religioso. […]

Il risultato è che fra artisti, collaboratori e pubblico si crea un’atmosfera impossibile da spiegare a chi non la vive, un’esperienza unica e impagabile.

Il fatto che il progetto sia espressamente studiato per essere leggero e modulare, quindi senza particolari necessità logistiche ed economiche, lo rende facilissimo da riproporre autonomamente da parte di chiunque lo desideri e vorrà avvalersi del materiale e delle dettagliate indicazioni a questo scopo pubblicate sul sito (indicato qui accanto, ndr.). Tutto utilizzabile liberamente anche riadattandolo a piacimento alle diverse esigenze e disponibilità.

Per ogni necessità di chiarimento e supporto, chi ha ideato l’iniziativa ben volentieri risponderà a chi inoltrerà le sue richieste all’indirizzo sanpioxc@gmail.com. Coltivo un sogno: offrire i Dialoghi di Pace a chi in chiesa non entra, portandoli per le strade attorno al Duomo, nel centro di Milano, dove si dice: «Se la va, la g’ha i gamb»!

Giovanni Guzzi
11/09/2015

«Siamo i ragazzi della Consolata»

Suona il citofono della porta d’ingresso di casa nostra (dei missionari della Consolata a Martina Franca, ndr). Si chiede: «Chi è?». Tra tante risposte si sente anche il grido: «Siamo i ragazzi della Consolata». A volte negli incontri vicariali di Martina Franca, tra i giovani delle dodici parrocchie, si presenta un gruppo che dice, «siamo i ragazzi della Consolata». Andiamo a Taranto alla festa dei ragazzi missionari o alla festa dei popoli e risuona la voce «siamo i ragazzi della Consolata». Penso che anche in tante altre comunità missionarie Imc in Italia, si sente la voce: «Siamo i ragazzi della Consolata». Mi meraviglio nel sentire questi ragazzi che hanno preso il nome Consolata come parte della loro identità di vita. Si sentono  parte della nostra famiglia.

Mi sono permesso di guardare da vicino il Beato Giuseppe Allamano, fondatore di una famiglia missionaria di tre figli: i missionari, le missionarie e i laici della Consolata. I laici sono di tre categorie: primo i genitori dei missionari che diventano missionari a volte senza saperlo, poi i benefattori e quindi gli amici. Secondo quello che ci insegna l’Allamano non tutti possono andare in missione ma tutti possono partecipare con la preghiera o con l’aiuto materiale. Poi ci sono coloro che sentono l’esigenza di partire e a volte partecipano alla missione. Questi si sentono parte della nostra famiglia e si consumano per l’amore all’evangelizzazione, per la condivisione e l’elevazione umana. I ragazzi della Consolata si trovano in questo gruppo di laici missionari e amici.

Il nome e il significato.

Si dice che con il nome ci si specchia; con il nome si costituisce il resto della vita; il nome fa parte di noi stessi e non possiamo mai sfuggire da esso.  Non per caso tra gli africani, per dare il nome al neonato (almeno il secondo nome) si ricorre all’anziano di famiglia, il quale dopo aver analizzato tutti gli eventi che hanno accompagnato la nuova nascita suggerisce il nome che diventa automaticamente il programma di vita del nuovo membro di famiglia. A volte assumiamo il nome di un nostro antenato. Quando uno ha capito bene il suo nome vivrà a lungo, basta che i pronipoti dicano «io sono del tale». Non c’è bisogno di ulteriori spiegazioni. Quando arrivano membri di una famiglia, quando suonano il campanello, alla domanda «chi è?», rispondono «sono io». E la porta si apre. Ecco un’altra prova di come ci si specchia con il nome.

A questo punto si può dire che «i ragazzi della Consolata» si sentono parte di noi, si sentono di casa, bussano per partecipare all’opera di evangelizzazione, e lo fanno già collaborando con noi, sono nati consolati, vogliono anche loro consolare.

La domanda può essere: per quanto tempo? Sono convinto che questo seme non muore, può mancare un po’ di nutrimento ma a sua volta riprende. Quando papa Francesco dice che «non possiamo privatizzare l’amore», secondo me, per noi significa che «non possiamo privatizzare la consolazione». Grazie! Cari ragazzi, grazie per la vostra collaborazione nella consolazione.

Consolata, è un titolo mariano che significa che Maria condivide la responsabilità con noi uomini. «Consolate, consolate il mio popolo; parlate al cuore della mia gente». Nostra Madre ha fatto questo dandoci suo Figlio, la vera consolazione; noi lo possiamo fare «portando gli uni i pesi degli altri».

Danstan B. Mushobolozi da Martina Franca – 09/07/2015

Padre Franco Cellana

Proprio mentre prepariamo queste pagine, riceviamo da Milano la notizia del ritorno alla Casa del Padre di padre Franco Cellana, missionario della Consolata nativo di Tiao di Sopra (Tn).

Nato il 01/10/1942, fece i primi voti appena ventenne il 02/10/1962. Ordinato sacerdote il 17/12/1967 a Madrid, dopo dieci anni di servizio nell’animazione missionaria in Spagna, nel 1977 fu destinato al Tanzania. Nel 1991 fu richiamato in Italia per l’animazione nel Cam di Torino, che lasciò per servire l’istituto come consigliere generale dal 1993 al 1999. Scaduto il suo mandato, nel 2000 fu destinato al Kenya dove servì prima come parroco al Consolata Shrine di Nairobi e poi di Kahawa West nella periferia di Nairobi, che lasciò presto perché eletto superiore regionale. Finito il suo mandato fu nominato parroco a Wamba nel Samburu.

Generoso, zelante, effervescente, trascinatore, attentissimo ai poveri, ha lasciato un segno nel cuore delle persone che lo hanno incontrato. Ricco di iniziative, ha fatto del servizio ai poveri lo scopo della sua vita, coinvolgendo in questo i suoi tantissimi amici. Ripetutamente provato dalla malattia, ha sempre saputo reagire con profonda serenità e abbandono al Signore. Fino a quando non lo ha preso il cancro, contro il quale ha lottato con tutte le sue forze per due lunghi anni, accompagnato dalla preghiera e affetto della sua famiglia, dei confratelli e degli amici. Combattuta la buona battaglia, ha terminato la corsa il 24/09/2015, una settimana prima di compiere 73 anni. Il funerale, al suo paese, ha visto una grandissima partecipazione.

risponde il Direttore

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