EXPO 2015: la Carta di
Milano
Con l’avvio di Expo 2015 è stata resa pubblica la Carta
di Milano. È chiesto alla società civile di aderire. A questo proposito
avanziamo 5 considerazioni:
1 – La Carta di Milano
presenta una lunga lista di suggerimenti. Si tratta di elementi ampiamente
condivisibili sulla necessità di migliorare il modello di produzione e di
consumo, di ridurre radicalmente lo spreco, con impegni da parte di tutti,
società civile e imprese, ma sorge una serie di preoccupazioni soprattutto
rispetto a quello che viene omesso.
2 – In questa lunga lista
di suggerimenti non vengono poste le priorità. I messaggi essenziali non
emergono. Ad esempio la questione della giustizia sociale per un’equa
distribuzione del cibo, enunciata con forza da papa Francesco, non viene mai
avanzata come priorità essenziale e ineludibile (solo con riferimento alla
distribuzione di cibo che altrimenti verrebbe sprecato). Allo stesso modo non
emerge con forza la necessità del cambiamento del modello di sviluppo, delle «strutture
di peccato», che causano da un lato fame e dall’altro sovrabbondanza. Gli
impegni delle imprese vanno nel senso di migliorare la produzione e la
distribuzione ma niente viene detto sul controllo dei mercati, sulla questione
della proprietà intellettuale, sulle sementi, sulle catene del valore.
3 – Non viene
colta la necessità di sostenere la piccola agricoltura familiare quale misura
indispensabile per lottare contro la fame nel sud del mondo. L’impostazione
della Carta risente di un forte approccio occidentale. Manca di una visione
veramente internazionale e di attenzione verso i paesi e i gruppi sociali più
poveri.
4 – Nonostante la lunga lista, non viene dedicata alcuna
attenzione alla questione della speculazione finanziaria e alla necessità di
adottare una tassa sulle transazioni finanziarie così come una regolazione più
stringente sui mercati finanziari. Così come non viene dedicata alcuna
attenzione alla questione delle guerre e dei conflitti, che invece sono le
prime cause di fame nei paesi fragili. Speculazione finanziaria e conflitti
sono peraltro enunciate con forza nella campagna «Cibo per tutti» promossa da
Focsiv, Caritas ed altri 25 soggetti cattolici in Italia.
5 – La rilevanza politica
della Carta è minima, in considerazione del fatto che nel 2015 le vere partite
negoziali si giocano ad Addis Abeba con riferimento alla finanza per lo
sviluppo, a New York con riferimento ai nuovi obiettivi dello sviluppo
sostenibile post 2015, ed a Parigi rispetto al cambiamento climatico. A questo
proposito la Carta di Milano manca di prendere posizione rispetto a questi
eventi.
Per queste considerazioni proponiamo di portare
all’attenzione e proporre questi emendamenti alla Carta, altrimenti non saremo
in grado di potervi aderire.
Assemblea
Focsiv
(www.focsiv.it)
Roma, 23-24/05/2015
Spettabile redazione, mi ha dato molta tristezza la
lettura dell’articolo di Luca Bressan sul numero di giugno […].
Mi sembra un’omelia fatta di belle parole. Sinceramente,
dalla vostra rivista che conosco da tanti anni e apprezzo mi sarei aspettato un
articolo «differente». Tanti saluti e buon lavoro.
Daniele
Engaddi
23/06/2015
Il
testo, scritto prima dell’inizio dell’Expo, presenta con ottimismo le ragioni e
le speranze della presenza della Chiesa. Per quanto possibile cercheremo di
offrire un bilancio approfondito e critico a Expo conclusa.
Difficoltà a firmare
il 5×1000
Buongiorno, sono un lettore della rivista e vorrei
segnalarvi un problema nella scelta per le donazioni sul modello 730 di
quest’anno (redditi 2014).
Mi avvalgo da anni dell’assistenza del Caf ma, a
differenza degli anni precedenti, nell’ultima dichiarazione presentata non mi è
stato possibile validare la scelta del 5 e quella dell’8×1000.
Io ho sempre compilato le apposite caselle e firmato
negli spazi dedicati, sulla dichiarazione cartacea da me pre-compilata. Mio
figlio poi (io ho 80 anni e da 10 sono sulla sedia a rotelle causa ictus),
consegnava il tutto e ri-firmava al mio posto sul modello che veniva stampato
al momento al Caf, dopo le necessarie verifiche a cura dell’impiegata, delle
detrazioni/deduzioni per le spese mediche.
Secondo le nuove disposizioni dell’Agenzia delle Entrate
(così mi hanno riferito al Caf), per le scelte in oggetto, avrei dovuto recarmi
a firmare personalmente, altrimenti la mia volontà sarebbe stata disattesa,
come in effetti è avvenuto. Aggiungo che, stante il peggioramento delle mie
condizioni di salute, sono costretto a chiamare l’ambulanza per i miei
spostamenti.
Lo stato, in tal modo, è riuscito scorrettamente a
risparmiare un po’ di soldi, almeno nei casi simili al mio (che non devono
essere pochi). Oppure cosa più semplice, onesta e corretta, oltre alla
scansione di tutti gli scontrini e fatture delle spese mediche, avrebbe potuto
prevedere la scansione del foglio della denuncia dei redditi con le varie
scelte e firme da me effettuate a domicilio relativamente a 5 e 8×1000.
Spero che la mia segnalazione possa consentire alle
organizzazioni Onlus meritorie come la vostra di risolvere il problema, almeno
per il prossimo anno. Vi saluto cordialmente.
Luciano
Zacchero Gambro
Seregno (MB), 09/06/2015
Grazie
della segnalazione. Saremo felici di ospitare altre opinioni o esperienze di
lettori, mentre chiediamo a chi ha competenza in materia un parere su come il
sig. Luciano (e chi come lui) possa risolvere il problema.
Cioccolato, Ferrero e
Olio di Palma
«La coltura dell’olio di palma rispetta ambiente e
popolazione». Questa risposta che la Ferrero ha dato a Ségolène Royal dopo il
suo invito a non mangiare Nutella, non depone a favore della azienda
dolciaria italiana. Non si risponde con le bugie a chi, sia pure in modo goffo
e non troppo simpatico (né la Ferrero né tantomeno la Nutella possono diventare
il capro espiatorio di un problema come quello della deforestazione…), cerca
di invitare l’opinione pubblica a mettere in pratica il titolo di Expo 2015 e
quindi dare anche qualche scossa per stimolare un consumo alimentare più
responsabile, che tenga conto delle esigenze di tutti gli abitanti del pianeta.
I prodotti, alimentari e non, che richiedono
l’impiego di olio di palma sono tanti, e domandarsi se sono davvero così
necessari, entrare nell’ordine di idee di diminuire questa enorme produzione e
questa dipendenza, è fondamentale per la sopravvivenza di tante specie,
compresa quella umana.
La caduta di stile della Ferrero è molto più grave
di quella della Royal: come si fa a sorvolare sul fatto che le piantagioni di
palma da olio, in paesi come l’Indonesia e la Malaysia, hanno sì creato tanti
posti di lavoro, ma tanti ne hanno fatti sparire?
Che intende la Ferrero quando dice «popolazione»? Intende
i dipendenti delle piantagioni di palma da olio (come anche di caffè, di ananas,
di banane, di cacao e del mai abbastanza vituperato tabacco), o anche i popoli
indigeni, le minoranze etniche, linguistiche e religiose, le persone che non
hanno accettato lo stile di vita che i proprietari delle multinazionali
pretendono di imporre a tutti?
Cosa intende la Ferrero quando dice «ambiente»? Intende i
padiglioni dell’Expo, intende gli zoo, intende i giardini in cui sono
immerse le ville e i palazzi dei nababbi d’Oriente e d’Occidente, o intende
anche i parchi nazionali, intende gli oceani, intende gli habitat d’acqua
dolce, intende quel poco di foreste naturali che è riuscito a sopravvivere alle
guerre, ai saccheggi, al cinismo e all’indifferenza?
Chi si è tanto scandalizzato per la presa di posizione
della Royal, provi a confrontare lo status attuale della tigre, del
rinoceronte, dell’orango, della nasica, del gibbone, dell’elefante asiatico,
con quello di cent’anni fa, di cinquant’anni fa o di trent’anni fa, e poi
chieda lui (o lei) scusa per le cose che ha detto e scritto, ma anche
per ciò che ha prodotto e per come lo ha prodotto.
Non discuto la squisitezza della Nutella, del Ferrero
Rocher, del Moncherì e delle uova di cioccolata: è evidente però che chi
racconta certe frottole, assolvendo con formula piena il business della
palma da olio, ovvero contraddicendo una realtà che da decine di anni è sotto
gli occhi di tutti, non fa buona pubblicità ai suoi prodotti.
L’industria della cioccolata non può crescere
all’infinito, i primi a preoccuparsi del futuro dell’albero del Theobroma (minacciato
da parassiti antichi e modei, minacciato dalla drastica riduzione della
diversità biologica) e della qualità, oltre della quantità, dei semi contenuti
all’interno delle spettacolari capsule, sono proprio gli operatori del settore,
sono le grandi firme della gastronomia e dell’arte culinaria, sono gli
industriali, sono i buongustai. Una maggiore attenzione verso le foreste
naturali, a cominciare da quelle dei parchi indonesiani e malesi assediati
dalle piantagioni di palma da olio, procurerà dei vantaggi anche alle industrie
dolciarie italiane. Meglio qualche cioccolata in meno sugli scaffali dei
supermercati e qualche tribù autoctona in più in quei paesi tropicali a
cui dobbiamo tanto.
Colgo l’occasione per augurare una serena e proficua
estate.
Francesco
Rondina
19/06/2015
Non
è mia intenzione fare il difensore d’ufficio della Ferrero, della Nutella e
neppure dell’olio di palma. Le preoccupazioni sollevate dal sig. Francesco sono
condivise da questa rivista.Ma
come diversi quotidiani hanno riportato dal 19 giugno: «La dottoressa Eva
Alessi, responsabile sostenibilità del Wwf, promuove la Ferrero, che dal 1°
gennaio di quest’anno utilizza esclusivamente olio di palma certificato al 100%
come sostenibile dalla “Tavola Rotonda sull’Olio di Palma Sostenibile” (Roundtable
on Sustainable Palm Oil – Rspo). “È l’unica certificazione esistente che
assicura che le palme vengano coltivate solo in certe aree, per esempio campi
già destinati all’agricoltura, senza intaccare le foreste, e che l’irrigazione
venga fatta in modo sostenibile e consapevole, senza un utilizzo sconsiderato
di pesticidi. L’Rspo tutela non solo l’habitat naturale e le specie
animali ma anche le comunità locali che spesso vengono sfruttate dalle
multinazionali per la produzione”» (vedi box).Scritto
questo, il problema resta. Lo denuncia con forza anche papa Francesco nella sua
recentissima «Laudato si’», soprattutto nei paragrafi 32-42, che cominciano così:
«Anche le risorse della terra vengono depredate a causa di modi di intendere
l’economia e l’attività commerciale e produttiva troppo legati al risultato
immediato». Per questo tutti devono cambiare rotta e mentalità: «Prima di tutto
è l’umanità che ha bisogno di cambiare» (n. 202). Tutti.
Gentile redazione,
scrivo a proposito del mio articolo sulla Turchia pubblicato sul numero di
luglio. Non sono d’accordo a chiamare l’Akp partito «islamico». Nel testo non
lo definisco mai così. Al limite può andare bene chiamarlo «islamico moderato»
o «di ispirazione islamica». La parola «islamico» non compare né nello statuto
del partito, e nemmeno nel suo nome. Dato che ci sono già un’infinità di
pregiudizi sulla Turchia, temo che utilizzare questa etichetta non faccia altro
che creare una barriera che ostacola la comprensione delle dinamiche complesse
del paese. Spero si possa farlo sapere ai vostri lettori.
Fazila
Mat
Istanbul, 24/06/2015
Grazie
a Fazila Mat per le sue precisazioni. Pubblicando il suo articolo non era certo
nostra intenzione aumentare i pregiudizi verso il popolo turco, piuttosto
offrire elementi per una comprensione più rispettosa e oggettiva di un grande
paese che da sempre ha giocato un ruolo importante nella storia.
Gentile direzione, mi permetto di farvi notare che nel
numero ultimo di MC di luglio, a pagina 42, manca il Sud Sudan, nuovo stato
ufficiale africano nato dopo una guerra di oltre 25 anni contro il governo
islamista di Khartoum. Sembra strana questa mancanza quando nella stessa
cartina mettete (giustamente) la nazione del Sahara Occidentale non ancora
(ahimè) riconosciuta ufficialmente dall’Onu. Voglio pensare ad una svista, non
so. Tanti saluti e sempre complimenti del vostro prezioso lavoro.
Alfio
Tassinari
Cervia, 27/06/2015
Vero,
verissimo. Ed è stata proprio una bella svista. Il problema è semplice: nei
repertori di cartine geografiche disponibili per i programmi di grafica, è
presente sì il Sahara Occidentale, registrato dal 1963 nella lista Onu dei
Territori non autonomi, ma non ancora il Sud Sudan la cui indipendenza risale
solo al 2011. Dovremmo saperlo bene, visto che nella mappa pubblicata a centro
rivista a gennaio 2015, ci siamo preoccupati di inserirlo. Spero che i
cittadini del Sud Sudan ci perdonino.Per
concludere sulle sviste – questo mese ne abbiamo collezionate diverse – anche
uno dei miei confratelli mi ha detto scherzoso: «Sai che ho trovato un errore
in MC?». «Uno solo?», ho risposto. «Mons. Lerma non è portoghese, ma spagnolo!»
(Mc 7/2015, p. 35; in effetti è nato a Murcia, nel Sud della Spagna).Speriamo
proprio che monsignore abbia fatto una bella risata, come abbiamo fatto noi.
Carissimo padre Gigi,
nel leggere il tuo bellissimo articolo di fondo del luglio 2015 mi si è aperto
il cuore e non posso che congratularmi per la chiarezza dell’esposizione che
hai voluto donarci, una sintesi perfetta come portatore di fede e poi anche
come cittadino attento e sensibile alle situazioni sociali del nostro
incasinatissimo paese dove 67 milioni di italiani hanno tutti la ricetta magica
per occupare cattedre universitarie sullo scibile umano.
Bisogna però dire che anche la Chiesa deve ammettere le
sue colpe. Hanno purtroppo ragione tanti sociologi nel dire che la Chiesa
denuncia solo ciò che è già risaputo e nel tempo rimane solo un monito.
Senza essere considerato retrogrado, ricordo
sommariamente le severe prese di posizione della Chiesa, avute per molto meno,
nei lontani tempi dove chi professava il credo marxista era considerato eretico
e scomunicato; mia moglie spesso mi ricorda che suo nonno iscritto al Psiup non
aveva neanche la benedizione natalizia con grande dolore della nonna matea.
L’annuncio evangelico attualmente mi sconcerta quando
sento e vedo che anche qualche vescovo e tantissimi preti avallano con il loro
comportamento i mal di pancia sostenendo candidature che nella sostanza
portano in sé valori da far tremare il pensiero della madre Chiesa. Leghisti
che di fatto frequentano consigli pastorali e sagrestie di potere.
Ora padre mi chiedo, come si può essere cristiani e
fedelissimi del credo padano, sciupatori di inginocchiatorni e nello stesso tempo
assertori di crudeltà verso i fratelli meno fortunati?
Dobbiamo rassegnarci o pagare a caro prezzo questa nuova morale a fisarmonica?
La morale cristiana, a che livello (di interpretazione) personale vogliamo
spingerla? «Pace e bene fratelli, vogliamoci bene perché la chiesa è matea,
ma la coscienza è nostra e ce la gestiamo noi». Una bella porcata oppure no?
Sarebbe bene che la Chiesa adotti, pur rispettando la
libertà di ogni credente, una soglia o delle regole per un cattolico che vuol
essere tale a costo di rendere il gregge meno numeroso ma più fedele agli
insegnamenti evangelici.
Padre Gigi, questo è il mio mal di pancia che è continuo
e non mi lascia tregua in questi tragici momenti dove l’egoismo impera e
travalica la più bieca impudicizia.
Grazie per aver potuto leggere anche l’amico e fratello
in Cristo Paolo Farinella, prete.
Giovanni
Besana
01/07/2015
Grazie
della condivisione. Un breve commento. Non credo sia necessario che la Chiesa
detti delle «soglie minime di cristianità»: per chiunque voglia essere un po’
serio con la sua fede, c’è materiale più che abbondante a disposizione: dal Vangelo al «Catechismo della Chiesa
Cattolica» del 1997, dal Concilio Vaticano II alle tante encicliche, non ultima
la «Laudato si’». Bisogna però sperare che questi testi non rimangano nella
libreria di casa (sempre che ci sia), e che non si preferiscano a essi il
gossip televisivo e il vento altalenante dei social.
Risponde il Direttore