Troppi
obiettori, anzi, troppo pochi!
L’8 marzo 2014, per dare il suo contributo alla
celebrazione della Festa della Donna, il Consiglio d’Europa non ha trovato
niente di meglio da fare che redarguire l’Italia per l’eccesso di
tolleranza verso i medici antiabortisti: «A causa dell’elevato e crescente
numero di medici obbiettori di coscienza, l’Italia viola i diritti delle donne
che alle condizioni prescritte dalla legge 194 del 1978 intendono interrompere
la gravidanza…».
Esattamente un mese dopo, nella vostra Torino, città che
anche io amo molto – come si può non amare la città della Consolata, la città
della Sindone, la città di San Giovanni Bosco, la prima capitale dell’Italia
unita? – è accaduta una cosa molto grave: all’Ospedale Martini si sono
registrate le prime due vittime italiane dell’aborto chimico, Anna Maria e la
creatura che portava in grembo sono morte dopo il trattamento con la odiosa
mistura prostaglandina + RU 486 (dove RU sta per Russel Uclaf, industria del
gruppo Hoecht, la grande multinazionale che negli anni della II Guerra Mondiale
produceva i gas nervini per la Germania nazista, gas che vennero
usati nei campi di concentramento per uccidere milioni di innocenti).
Ebbene, se per il Consiglio d’Europa i medici e i
farmacisti italiani obbiettori sono troppi, per me sono troppo pochi: se ce ne
fosse stato qualcuno in più, quasi certamente una giovane mamma sarebbe
ancora viva e all’ombra della Mole ci sarebbero un bambino in più e un orfano in meno.
Voglio esprimere un auspicio: i membri del nuovo
Parlamento Europeo e della nuova Commissione Europea rivedano da cima a fondo la scala dei valori alla quale si sono
ispirati i loro predecessori e facciano sentire la loro voce nel Consiglio
d’Europa. La vita umana deve tornare a occupare un posto molto alto in questa
scala; quanto alle libertà individuali, quella da mettere sotto accusa non è la
libertà di obiezione di coscienza, ma quella che eleva l’interruzione di
gravidanza al rango di diritti, e un pesticida antiumano – così lo definiva
anche il grande medico e genetista Jerome Lejeune – al rango di farmaco.
Cordiali saluti
Luciano Montenigri
Fano, 20/05/2014
Trovo molto interessanti, in questa rubrica, gli scambi
tra i lettori assolutamente digiuni di teologia e la redazione, come, sul
numero di Aprile, circa la simbologia del crocefisso. Provo anche io a die
una: come mai la nostra preghiera per i defunti parla di eterno riposo,
che dà l’idea di una noia pazzesca, e non di eterna gioia del paradiso? O forse
per i normali defunti è previsto il riposo fino alla resurrezione dei morti,
mentre intanto la gioia del paradiso è riservata solo ai santi?
Non è che non parli dell’eterna gioia perché nel periodo
dell’affermazione del cristianesimo, tra crisi dell’impero romano e alto
medioevo, la popolazione era scarsissima, i contadini facevano una vita
impossibile, e bisognava scoraggiare la tendenza al suicidio con le più feroci
maledizioni perché senza contadini non mangiavano i cavalieri e neanche preti e
frati?
Claudio Bellavita
21/05/2014
Purtroppo
la parola riposo è inflazionata e ha perso la potenza del suo
significato originale. Il termine riposo della famosa preghiera non è
scelto a caso. Ha le sue radici nella Bibbia e non è certo un’invenzione
medioevale, come lei suggerisce, anche se nel Medioevo l’obbligo del riposo
domenicale e delle feste liturgiche è stato, di fatto, uno strumento di difesa
dei poveri contro le vessazioni dei signori. Quanto ai monaci, essendo in
molti, erano bene in grado di provvedere a se stessi, anche fin troppo bene,
visto che alcuni monasteri e conventi divennero così ricchi da causare la
propria rovina.Nella Bibbia il primo significato della parola che indica riposo è sedersi per
riposare, come il cammello che si accovaccia. Ben presto però la parola
assume anche un significato religioso per indicare il posarsi dello spirito
di Dio sull’uomo e sulle cose. Poi si arriva a un significato più profondo:
concedere il riposo, che è il dono di Dio al suo popolo attraverso il
possesso della Terra Promessa e la vittoria sui nemici. Il vero riposo, allora,
è il risultato della realizzazione della promessa di Dio a Israele e si
attua nel paese nel quale abiterà in pace, senza paure e affanni, «ognuno sotto
la propria vite e sotto il proprio fico» (1 Re 5,4s).Il riposo è
collegato in modo particolare al settimo giorno, il sabato
(etimologicamente «cessazione dal lavoro»), e nell’Antico Testamento assume tre significati:Gen 2, 2 e Es 20, 8-11:
è il ricordo del completamento
della creazione; il riposo di Dio, a conclusione della creazione del mondo,
è il paradigma del riposo dell’uomo. È il giornioso compiacimento nel contemplare
un lavoro ben fatto che dà soddisfazione e pace. È un atto col quale si
riconosce che il mondo, la creazione appartiene a Dio.Dt 5,12-15:
è risultato della liberazione dalla schiavitù che Dio ha donato al suo
popolo. È frutto della salvezza operata da Dio. Riposare è un’azione da uomini
liberi, è una prerogativa di libertà. Israele, non più schiavo in Egitto, è un
popolo libero nella terra della promessa dove gode il riposo che è felicità,
libertà, pace e sicurezza. Riposare è allora un atto di riconoscenza per
l’azione liberatrice di Dio.
Es 31,12-17:
è il frutto e la celebrazione dell’Alleanza, quel rapporto privilegiato che
c’è tra Dio e il suo popolo. Riposare diventa atto di comunione con Dio e
partecipazione alla sua vita, di consacrazione e di appartenenza a Lui solo.Nel Nuovo Testamento
il tema del riposo è presentato con forza nei capitoli 3 e 4 della lettera agli
Ebrei, dove si dice che solo per fede si entra nel riposo di Dio. Lì il
riposo vero è la partecipazione alla vita stessa di Dio di cui la Terra
Promessa era solo un’anticipazione provvisoria e incompleta. Ma il riposo si
capisce appieno solo con Mt 11, 28ss in cui Gesù dice che solo andando da lui
troveremo il «riposo della nostra vita». Il vero riposo è Gesù stesso, è
lo stare con lui, dove lui è. Questo è un riposo ben diverso da quello del
ricco della parabola di Lc 12, 16-21 che invece di trovare la felicità
nell’amore per Dio e per gli altri è diventato prigioniero delle sue cose.Questi sono pochi spunti che ci dicono come
quando usiamo la parola «riposo» non intendiamo certo la noia, vuota e triste,
di chi non ha niente da fare e neppure la terapia per chi è malato o stressato.
È invece lo stato di totale felicità e gioia di chi ha raggiunto la piena
libertà e realizzato la propria dignità di figlio e figlia di Dio nella «casa
del Padre» che Gesù ha spalancato per noi.
Coscienza e
salvezza
Caro Padre,
questo è quanto mi ha scritto mia nipote
Debora dopo aver letto la tua riposta sulla rivista di
aprile (MC 4/2014, pag. 6).
«Grazie di aver inoltrato le mie domande alla rivista, è
stato molto interessante leggere la risposta degli esperti in materia. Mi sono
proprio piaciute perché è la stessa identica cosa che ho sempre pensato io, cioè,
riassumendo in due parole, che chi nasce non cristiano non può essere
condannato solo per questo, ma sarà valutato da come si è comportato secondo la
sua cultura, e che nessuno ci assicura che la Bibbia sia un testo al 100% vero,
ci si può soltanto «fidare».
[…] Ho però qualche riserva sul fatto che “ognuno è
chiamato a vivere una vita retta in base alla sua cultura e alla sua coscienza,
su questo sarà valutato e non su quello che non conosce”. Frase vera, ma
pericolosa! Per due motivi: il primo è che la coscienza è influenzata sin dalla
nascita dall’ambiente che ci circonda. […] La coscienza è creata,
passami il termine, dall’ambiente socio-culturale in cui viviamo. Il secondo
motivo è che ci sono tante culture a questo mondo e molto diverse tra loro,
alcune indubbiamente ancora piuttosto barbare, perlomeno ai nostri occhi
occidentali. Non parlo di indigeni isolati nella foresta, ma, cosa assai
peggiore, di culture che pongono a livello inferiore un essere umano rispetto a
un altro in base a non si sa bene quali principi. [Uno che si comporta così]
al momento della morte quindi risulterà
retto e onesto visto che si è sempre comportato seguendo alla perfezione quello
che gli hanno insegnato e che è ciò che conosce.
Cito ancora: “La condanna è per chi non vive secondo gli
standard migliori della sua cultura”. Da ciò ne deriva che noi siamo tutti
spacciati perché lo standard del nostro Dio è talmente alto che possiamo
soltanto pregare di avvicinarcisi. [Invece il Nostro che tratta le donne
come oggetti, batte la moglie, uccide gli infedeli, impicca chi sceglie
un’altra religione] è salvo: non è colpa sua perché lui non lo sa. Lui
pensa di far bene, di combattere per il suo Dio. Non può quindi essere
condannato per ciò che lui è convinto sia giusto. E per noi vale la stessa
cosa. Noi cristiani siamo convinti che lassù ci sia Dio e cerchiamo in tutti i
modi di convincere gli altri. Magari quando moriremo e andremo lassù troviamo
[Dio] che ci dirà: “Siete stati dei fessacchiotti, ma non posso condannarvi
perché non lo sapevate”. Alla fine della fiera ne deriva che non saremo
giudicati con dei valori standard per tutti, ma con dei valori tipici
della cultura di ogni luogo. E la cultura la fanno gli uomini, quindi ancora
una volta saremo praticamente giudicati da valori creati dagli uomini.
E poi, un’ultima questione: c’è ancora qualcuno sulla
terra che non sappia che ci sono cristiani, musulmani, ebrei, induisti,
buddhisti e compagnia? Chi può dire “non lo sapevo”? I musulmani sanno bene che
ci sono i cristiani, ma li rifiutano perché sono nati musulmani e pensano che
sia giusto così. Noi sappiamo che ci sono le altre religioni, ma mai ci
sogneremmo di lasciare la nostra per la loro perché siamo nati con questa e
pensiamo che sia giusta. Qua non si tratta di “sapere”, ma di forte influenza
culturale. Sei quel che sei in base a dove nasci.
Concludo con una massima: Grazie Signore per non avermi
fatto nascere in [un paese] dove sarei battuta dalla mattina alla sera». Grazie a voi.
Manuela
22/04/2014
Grazie
dell’esperti in materia. Come missionari e preti dovremmo esserlo, ma
non per dire «così è e non si discute». Dovremmo essere degli esperti nel
testimoniare nei fatti e nella parola l’infinito amore di Dio. Chiedo scusa a
Debora se per ragioni di spazio ho più che dimezzato il suo lungo scritto e
tolto ogni riferimento a una specifica religione.Bibbia: «testo al 100% vero». Non è libro di storia o scienza: condivide gli errori e
le ignoranze del suo tempo. Racconta invece con verità l’esperienza religiosa
della conoscenza sempre più approfondita di un Dio che si rivela
progressivamente, fino alla pienezza di Gesù Cristo. Certo, senza fede (=
relazione di amore) in Dio, la Bibbia rimane un libro tra tanti.Ci sono culture intrinsecamente cattive? San Paolo dice che tutti gli uomini sono «discendenza di
Dio» (At 17,29) e hanno in sé una capacità naturale di cercare Dio, «se mai
giungano a trovarlo, come a tastoni, benché egli non sia lontano da ciascuno di
noi» (At17,27). Per questo possiamo dire che in tutte le culture ci sono dei
valori fondamentalmente positivi su cui tutti gli uomini possono ritrovarsi. Il
problema nasce quando degli uomini prendono il posto di Dio.«Saremo giudicati da valori creati dagli
uomini»? Gesù insegna che «saremo
giudicati sull’amore». Amore è compassione, misericordia, solidarietà, aiuto ai
poveri e più deboli della società, giustizia, azione di pace… Questo mi pare
possa valere per tutti gli uomini. Se qualcuno poi usa della (sua) religione
per giustificare violenza, discriminazione, guerra, ingiustizia e avidità, se
la vedrà lui con il Padreterno.«Chi può dire non sapevo»? C’è differenza tra essere informati e sapere/conoscere.
Si possono avere tutte le nozioni e informazioni del mondo, ma – in fatto di
fede – conoscere è entrare in relazione, è amare. La religione, nelle sue forme
esteriori, nei suoi rituali e nell’organizzazione, è frutto ed espressione di
una cultura, ma la fede no. Per noi cristiani la fede nasce dall’incontro
personale con il Dio rivelato da Gesù Cristo, che con la sua incarnazione,
passione, morte e risurrezione ci ha resi partecipi della famiglia di Dio, qui
sulla terra anticipata nella comunità dei credenti, la Chiesa.
Tags: salvezza, morte, riposo, bioetica, obiezione di coscienza, aborto, coscienza
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