Amore contro paura

 

«Sono andato a Baragoi a supervisionare un bacino
artificiale che stiamo costruendo. Appena arrivato mi hanno
detto che giù nella
Suguta Valley c’era un ragazzo ferito da razziatori Pokot. Era là, in quelle condizioni, già da quattro giorni.
Ho deciso d’impulso di andare a prenderlo e portarlo all’ospedale di Wamba. La gamba

puzzava terribilmente, vermi bianchi uscivano dalla
ferita da arma da fuoco. Il ragazzo
non mangiava da quattro giorni, io non ho mangiato per due, ma ora è salvo».

Queste parole sono il semplice commento alla foto stomachevole di una gamba ferita simile alle tante immagini che ci stiamo abituando a vedere nei reportages dalla
guerra di Tripoli
che Evans ha messo sulla
sua pagina di facebook in agosto. Quello che un tempo era un chierichetto e appassionato giocatore di calcio nell’oratorio della missione, lavora ora come coordinatore
dei progetti di sviluppo della
diocesi di Maralal. Là, a Baragoi (Samburu County,
Kenya), ha fatto quel
che il cuore gli diceva, senza
ascoltare la paura e calcolare il rischio.

Ho
pensato a lui cominciando a scrivere questo editoriale d’ottobre, il mese missionario per eccellenza, perché mi ha ricordato una cosa importante: il bisogno di vincere le nostre paure con
un po’ di amore, gratuito e perché no? anche
un po’ incosciente.

Stiamo vivendo un tempo di grazia unico e irrepetibile che sfida a fondo la fede di chi si fregia di
un nome grande: cristiani, cioè di Cristo. È un tempo di grandi trasformazioni e problemi, con-
fusioni e potenzialità, segnali
di morte e luci di vita, grandi libertà
contrastate da emergenti
fondamentalismi e particolarismi, globalizzazione e violazioni della
privacy, ingiustizie impuni- te e violenze dilaganti insieme
al progresso inarrestabile della scienza,
comunicazione capilla- re e manipolazione dell’informazione. Di fronte a tutto questo il grande rischio
è la paura: paura
della mancanza di futuro, paura che gli altri
mi tolgano spazio vitale, lavoro e risorse, paura dei
guai, paura dei vicini,
paura degli stranieri, paura della
futilità dell’impegno
perché «tanto non
cambia mai nulla» e «chi paga sono sempre i soliti onesti e chi ingrassa sono sempre i furbi»,
una paura che immobilizza perché ci fa sentire impotenti di fronte a problemi troppo grandi.

 

 

Antidoto alla paura è l’amore. Vince contro l’inazione e la rassegnazione, perché è ottimista,
non guarda all’enormità dei problemi, sa che è importante fare qualcosa per chi è nel
bisogno, anche fosse una persona sola.
L’amore non calcola costi, rischi e guadagni
prima di incominciare; gli studi di fattibilità li fa dopo aver iniziato. Non aspetta la Tv per f
ar spettacolo. È così incosciente da assumersi responsabilità e prendere iniziative senza aspettare gli ordini,
senza curarsi della
pubblica opinione. Questo amore nella
Chiesa diventa
missione: andare verso chi ha bisogno, fino agli estremi confini,
per far scoprire il vero volto dellAmore, Gesù Cristo.

«La missione rinnova la Chiesa, rinvigorisce la fede e l’identità cristiana, nuovo entusiasmo
e nuove motivazioni.
La fede si rafforza donandola!». Sono parole di Giovanni Paolo II nell’enciclica Redemptoris Missio.
Papa Benedetto XVI le ripropone nel messaggio
per la Gioata Mis- sionaria Mondiale che celebriamo il prossimo 23 ottobre (vedi
pp. 74-75).

Attraverso questa missione-amore «il cristiano diventa costruttore della
comunione, della
pa- ce, della
solidarietà che Cristo ci ha donat senza
trascurare «la promozione
umana, la giustizia, la liberazione da ogni forma di oppresione»
e la Chiesa «si prende a cuore della vita umana a
senso pieno» in un mondo
dove ancora troppi non conoscono il Signore Gesù e dove anche quelli che lo conoscono, lo hanno
dimenticato e non si riconoscono più nella
comunità che è la Chiesa.

Forse abbiamo proprio bisogno
di riscoprire la gratuità
e l’incoscienza di questa missione-amore per vincere le nostre paure, reagire alla disperazione
e continuare ad annunciare la gioia
del Cristo Risorto dove viviamo e a tutto il mondo.

 di Gigi Anataloni

Gigi Anataloni

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