1. Iran: L’ayatollah e il presidente

L’enigma Iran (dopo le elezioni di giugno). La teocrazia sciita: una lettura
alternativa.


di Angela Lano, orientalista

I «cattivi» hanno un nuovo leader

«Sono
felice che finalmente il sole della razionalità e della moderazione
torni a brillare in Iran», così ha esordito, sorridendo, il neopresidente della
Repubblica islamica dell’Iran, esprimendo il desiderio che l’Occidente assuma
verso il suo paese un atteggiamento diverso dal recente passato, «basato sul
reciproco rispetto e sull’equità».

Dal 15 giugno lo «Stato canaglia» (secondo la
definizione Usa) ha dunque il suo nuovo 
presidente, il settimo (l’11° se contiamo i tre ad interim): è il
clerico sciita Hassan Rohani, colto, poliglotta, conservatore moderato ma
aperto a nuove relazioni con l’Occidente. È stato eletto al primo mandato,
diversamente da come molti si aspettavano, con la maggioranza assoluta dei
voti, raccolti sia tra i sostenitori della linea riformista sia tra i
conservatori.

L’esclusione, da parte della Guida suprema ’Ali
Khamenei, della candidatura, tra le altre, dell’ex presidente Ali Akbar Hashemi
Rafsanjani, una figura carismatica (ancorché controversa) che avrebbe
probabilmente attratto molte preferenze, ha favorito l’unico rappresentante dei
moderati.

Lo slogan di Rohani è stato: «Moderazione, razionalità e
acume» ed evidentemente è risultato vincente rispetto a quello di altri
candidati, conservatori e piuttosto popolari, come il sindaco di Teheran,
Mohammad Baqer Qalibaf, o l’ex ministro degli Esteri, Ali Akbar Velayati.

L’embargo, e i suoi drammatici effetti sulla vita
economica e sociale del paese, e il boicottaggio internazionale, le sanzioni,
la propaganda occidentale, che descrive l’Iran come una nazione di folli,
saranno tra le questioni principali che il nuovo leader dovrà affrontare, in
quanto centrali per gran parte della popolazione. Nel frattempo, egli ha già
incassato i commenti positivi della Casa Bianca, e soprattutto dichiarazioni di
disponibilità a «impegnarsi con il nuovo governo iraniano per trovare una
soluzione diplomatica sul fronte del nucleare». Anche dall’Europa non sono
mancati commenti favorevoli e di apertura.

Una
società vivace e dinamica

La vittoria di Rohani è stata salutata con entusiasmo
dai sostenitori delle linee riformista e moderata, che vedevano in Khatami,
Karrubi, Rafsanjani, Mussavi dei leader che avrebbero potuto garantire al paese
un’apertura verso la comunità internazionale e un allentamento del controllo
esercitato dal clero, che – per una parte della società iraniana – rappresenta
un motivo di tensione sociale e malcontento.

Gli iraniani non sono, infatti, una massa monolitica e
uniforme, orientata in modo unidirezionale. Si possono trovare tante idee
diverse, sentimenti, bisogni, storie e speranze. Le giovani generazioni, colte,
poliglotte, vogliono poter viaggiare per il mondo, lavorare e fare carriera, e
anche divertirsi. Diversi di loro contestano le rigidità morali e religiose del
regime e vorrebbero più concessioni e più aperture, soprattutto in tema di
relazioni interpersonali, tempo libero, e di comunicazione virtuale  – internet e i social network, che –
dopo la rivolta del 2009 (scatenatasi dopo la rielezione del presidente
Ahmadinejad) – hanno subito un giro di vite, con censure, filtri e controlli.

«In Iran – ci spiega Ali Reza, ricercatore
italo-iraniano di studi geopolitici -, le università sono il luogo prediletto
della militanza, e il clima, al contrario di quello che si pensa, è molto
dinamico. Proprio qualche tempo fa ho potuto constatare come negli atenei vi è
una vivacità politica dei giovani, simile a quella che c’era in Italia negli
anni ‘60 e ‘80. Nelle università iraniane e negli ambienti della militanza
giovanile c’è veramente di tutto. Senza ombra di dubbio l’ambiente più libero
per il dibattito politico in Iran è l’università. Ricordo, addirittura, che
qualche anno fa fu organizzato un concerto di un gruppo heavy-metal nell’auditorium
dell’Università di Teheran. Il tutto ovviamente era illegale, ma si fece
ugualmente. Mi faceva sorridere molto l’immagine dell’imam Khomeini e della
Guida attuale, ayatollah Khamenei, che sovrastava l’ingresso
all’auditorium, con i metallari che lepassavano sotto. Anche questo è l’Iran,
un paese strano. Per ciò che riguarda la libertà religiosa devo dire che in
Iran, in base alla Costituzione, oltre all’Islam (anche sunnita), sono
ufficialmente riconosciute le comunità cristiane, ebraiche e zoroastriane. A
Teheran vi sono diverse chiese. Questo paese, senza ombra di dubbio, non è
retto da un sistema liberaldemocratico, ma il fatto che lo stato sia islamico
non vuol dire per forza che viga un regime talebano».

«Perché vi facciamo paura?»

Quella iraniana è una società accogliente e cordiale,
con un alto livello scolastico, orgogliosa della propria antica civiltà.
L’immagine che si ha viaggiando per il paese, fermandosi a chiacchierare con la
gente, visitando le sue vestigia storiche, e scoprendo la sua millenaria
cultura, è ben diversa da quella dipinta da molti media italiani e occidentali
in generale, e dal film premio Oscar Argo, una produzione politica
hollywoodiana di mera propaganda, che ritrae gli iraniani come dei pazzoidi
barbuti, violenti e pericolosi.

Le domande più frequenti che essi rivolgono a turisti,
amici e giornalisti stranieri sono: «Perché vi facciamo paura?», «Perché ci
odiate?», «Perché ci avete messi sotto embargo?», «Perché pensate che abbiamo
intenzioni belliche nei vostri confronti?».

Vogliono capire, nel modo curioso e simpatico che li
contraddistingue, le ragioni di tanto livore e sfiducia nei loro confronti.
Ragioni a cui non è affatto estranea la controversa «questione nucleare», molto
enfatizzata negli Usa e in Israele e seguita a ruota dall’Europa, e che il
nuovo presidente dovrà affrontare.

Il nucleare, Israele e il mondo 

Spiega bene le cause dei timori occidentali Giorgio
Frankel, storico ebreo torinese (morto l’anno scorso), nel suo interessante
libro L’Iran e la bomba: «Il profilo comportamentale di un futuro Iran
nucleare proposto dai media afferma che l’Iran è irrazionale e fanatico, votato
alla distruzione di Israele e alla conquista del mondo, immune da quella
fondamentale logica della deterrenza che anche durante la Guerra fredda ha
assicurato uno stabile equilibrio nucleare a livello globale, e quindi disposto
a subire devastanti contrattacchi nucleari pur di poter lanciare le sue
(future) armi atomiche contro i suoi avversari. (…) Alcune delle
caratteristiche che quel profilo attribuisce all’Iran, come per esempio
l’irrazionalità, la politica estera dominata dal fanatismo ideologico e
l’espansionismo potrebbero essere semplicemente non vere. L’esperienza storica
suggerisce, infatti, che il regime iraniano si muova razionalmente, conduca una
politica estera cauta e pragmatica e non persegua mire espansionistiche».

L’Iran ha deciso di arricchire l’uranio al 20 per cento
per fini civili, per far funzionare, ad esempio, il Tehran Research Reactor
che produce sostanze mediche per i malati. Sia gli Usa e Israele sia l’Europa
hanno spesso accusato il Paese di perseguire la ricerca nucleare per fini
bellici, nonostante le ripetute smentite di Teheran, che ha ricordato che, in
quanto firmatario del Trattato di non proliferazione (Tnp) e membro dell’Inteational
Atomic Energy Agency
(Iaea), è nel diritto di sviluppare tecnologia
nucleare per scopi pacifici.

Il braccio di ferro tra le richieste occidentali,
pilotate dagli Stati Uniti e Israele, e le rivendicazioni del governo iraniano
hanno portato più volte crisi tali da far intravedere alle porte una svolta
militare, con navi da guerra posizionate nel Golfo Persico, sia da parte
americana sia da parte iraniana.

Dal canto loro, sia il regime di Tel Aviv sia i falchi
del Congresso Usa continuano a spingere verso il conflitto, ma senza convincere
per il momento del tutto né Washington né la comunità internazionale.

La guerra intraislamica e la Siria

L’attuale guerra civile in Siria, oltre a voler
abbattere l’ormai difficilmente difendibile (dal punto di vista etico-morale)
regime di Bashar el-Assad, si inserisce nel contesto dei conflitti regionali
volti a indebolire l’Iran e il movimento sciita libanese Hezbollah, alleati di
Damasco, e a destabilizzare i grandi interessi russi e cinesi in Medio Oriente.

Il caos creato dalla guerra civile intra-islamica (fitna,
disaccordo, disputa, fino alla guerra) tra sunniti e sciiti, avversari storici
dai tempi della lotta per la successione (khilafa) del profeta Muhammad
(dal 632 d.C. in poi), risulta funzionale alla nuova spartizione
statunitense-europea del Mediterraneo e Medio Oriente.

Il conflitto interno al mondo islamico sta prendendo
sempre più forza e radicalità, grazie ai continui appelli al jihad
(sforzo interiore sulla via del Bene, e anche, come in questo caso, lotta
militare) contro gli alawiti (setta sciita) al potere in Siria, definiti
kuffar (miscredenti) e rafidi (rinnegati), da parte di
telepredicatori salafiti piuttosto popolari tra le comunità islamiche nei paesi
arabi e anche in Europa.

Leggendo qua e là nei siti arabi o su Fb i tanti appelli
e commenti che istigano al conflitto settario si comprende bene la dimensione
della tragedia in corso e la morte di ogni forma di ragione: giovani e adulti
musulmani sunniti, di origini o convertiti, nel XXI secolo hanno ripreso le
armi (anche solo verbali) per la nuova guerra contro gli «eretici», e a nulla
valgono i discorsi dei loro fratelli più informati o semplicemente più
razionali, che tentano di far capire loro la trappola politica in cui sono
cascati.

Un conflitto di natura geo-politica si è dunque
trasformato in guerra di religione, grazie al ruolo e al sostegno economico e
mediatico-dottrinale di Qatar e Arabia Saudita, stretti alleati di Stati Uniti,
Israele ed Europa.

«Il crollo dell’Urss – aggiunge Ali Reza – non ha
modificato l’obiettivo vero degli Usa nel continente eurasiatico, ovvero
l’accerchiamento geopolitico della Russia (e della Cina). In un contesto del
genere l’Iran ha un ruolo importante, in quanto se la Repubblica islamica si
alleasse con la Russia, gli Usa non riuscirebbero a completare l’accerchiamento
di Mosca da sud, in Medio Oriente, dopo che il crollo del blocco sovietico ha
proiettato la Nato a ovest dei confini russi. Le sanzioni all’Iran promosse
dall’Occidente, quindi, non sono nate, come ufficialmente viene detto, per
evitare che il paese mediorientale arrivi alla bomba atomica (esse infatti
vigevano anche prima che si sapesse del programma nucleare), ma solanto per
creare problemi all’economia iraniana, fomentando il caos sociale nella
speranza di una sommossa popolare».

In questo momento storico, dunque, il progetto americano
di destabilizzazione del Vicino e Medio Oriente è appoggiato, in vario modo e
con consapevolezze diverse, da quel mondo sunnita fondamentalista per cui un «nemico»
esterno è meglio di un «eretico» interno.

Con l’uso della ragione

Tra sunniti e sciiti ci sono basi comuni che poggiano su
Corano e hadith (i detti e fatti del profeta Muhammad) e sviluppi
teologici e giuridici diversi, alcuni quasi contrapposti: oltre alla
fondamentale divergenza sull’imamato (vedi box), esiste anche un
differente peso dato all’esercizio della ragione e dell’intelletto. Gli sciiti,
infatti, usano lo ‘aql o ijtihad, «raziocinio individuale» al posto del qiyas
(una delle fonti del diritto musulmano, usul al-fiqh) che si basa sul
principio di analogia per induzione (cioè l’analisi di casi simili nella
produzione di  leggi), utilizzato dai
sunniti. Dal secolo X, sono prevalentemente gli sciiti a far riferimento allo ijtihad,
mentre i sunniti praticano il taqlid, o accettazione, imitazione, e
principio dell’emulazione.

Se per gli sciiti l’uso del ragionamento individuale, e
la ricerca continua che ne deriva, è causa-effetto di maggiore apertura mentale
e vivacità culturale rispetto ai sunniti (e ai fondamentalisti in particolare),
il vilayat-e faqih  (la tutela dei
giuristi), cioè l’autorità di dirigere e governare nella prosecuzione della «vilayat
degli infallibili Imam» (a sua volta continuazione di quella del profeta Muhammad),
va a istituire le linee costitutive della teocrazia.

Per lo sciismo, infatti, a guidare e governare la società
deve essere un conoscitore dell’Islam, che sarà un Infallibile. Se costui non
dovesse essere presente, saranno gli scienziati, giuristi, islamici a svolgere
tale ruolo. Dovere fondamentale del governo è quello di farsi veicolo e tutore
degli ideali e delle leggi divine.

La teocrazia iraniana

La forma di governo iraniana è oggetto di incomprensioni
e speculazioni, e paragoni con i sistemi politici occidentali. Tuttavia, va
sottolineato che i parallelismi non funzionano, in quanto bisogna tenere conto
di una peculiarità: l’Iran è una teocrazia basata su un sistema elettorale
universale democratico. La religione e il clero detengono il vero potere. Nella
Repubblica islamica lo stato e i suoi funzionari sono sottoposti al potere
religioso: la Costituzione, infatti, prevede un sistema misto di democrazia e
teocrazia. Quest’ultima si basa su un concetto giuridico sciita duodecimano (la
forma di sciismo al potere in Iran), il sopracitato vilayat-e faqih,
ripreso da Ruhollah Khomeini dopo la Rivoluzione islamica del 1979 che scacciò
il regime dello shah Reza Palhavi.

Secondo questo concetto, i giuristi sono gli unici
governanti giusti, in quanto «Dio ha ordinato un governo islamico». Solo gli
esperti in studi religiosi e nella giurisprudenza islamica «possono garantire e
preservare l’ordine islamico e prevenire di deviare dal giusto sentirnero
dell’islam» («Islam and Revolution, Writigns and Declarations of Imam
Khomeini
»).

In base a tali criteri, dunque, anche il presidente
della Repubblica è subordinato all’ordine religioso e alla linea politica
intea ed estera dettata dai Guardiani della rivoluzione, gli ayatollah.

Di per sé, il «piano religioso» non preclude né lo
sviluppo economico né quello scientifico e culturale, e la storia degli antichi
Imperi islamici (ommayyadi, abbassidi, i regni fatimidi, la dinastia Ottomana,
tanto per fare un esempio) lo ha dimostrato, attraverso l’importante e vasto
bagaglio scientifico-filosofico-tecnologico-urbanistico passato all’Europa
Medioevale dal mondo arabo-musulmano.

Nonostante l’embargo

Secondo il Fondo Monetario Internazionale, l’Iran è la
17ª potenza economica del mondo, e, in base al piano strategico di Tehran
denominato «Iran 2035», nel prossimo ventennio dovrebbe far parte delle prime
sette potenze economiche del mondo. Ci spiega ancora Ali Reza: «Nonostante il
pesante embargo economico e le difficoltà, le statistiche dimostrano che
nell’ultimo ventennio la giustizia sociale è aumentata, così come il benessere
generale. Negli anni ‘80 in Iran c’era un’automobile ogni 27 persone, oggi
invece un’automobile ogni 7. Sull’isolamento politico e diplomatico dell’Iran
bisogna dire che, in primo luogo, la Repubblica islamica è a capo del Movimento
dei paese non allineati, ovvero un gruppo di 120 nazioni. È un paese membro
osservatore del Trattato di Shanghai per la Cooperazione, alleanza eurasiatica
che riunisce Russia, Cina, India e altri paesi di questo agglomerato imponente
di nazioni che vanno dalla Bielorussia all’Estremo Oriente. Entro il 2050
questi paesi, nel loro complesso, produrranno circa la metà del Pil (prodotto
interno lordo), reale e nominale, del mondo intero».

Per lo «Stato canaglia» si profila dunque un presente e
un futuro pieni di sfide che la sua popolazione sembra voler affrontare, e
vincere.•

 
       Hassan Rohani, il presidente                                                                   

Chi è il settimo presidente della Repubblica islamica
dell’Iran? Certamente un ortodosso, ma moderatamente progressista.

A seguito delle elezioni del 14 giugno 2013 Hassan Rohani,
64 anni, è diventato il 7° (11° se si contano gli interim) presidente della
Repubblica islamica dell’Iran. Rohani ha conquistato già al primo tuo il 50,7 per cento
dei voti (18,6 milioni), precedendo il sindaco di Teheran Mohammad Baqer
Qalibaf. Rohani è nato a Sorkheh, nella provincia di Semnan, il 13 novembre del
1948, da una famiglia religiosa. Nel 1972 si è laureato in Legge all’Università
di Teheran, e successivamente ha ottenuto un Master e un PhD alla Glasgow
Caledonian University. Rappresenta il leader della Rivoluzione islamica,
l’ayatollah  Seyyed Ali Khamenei (si veda
box) al Consiglio supremo della sicurezza nazionale. In gioventù aveva preso
parte alle lotte politiche contro lo Shah. Dopo la Rivoluzione islamica del
1979, Rohani fu eletto al Parlamento per cinque mandati consecutivi, fino al
2000, e ricoprì cariche importanti: vice-presidente del Majlis (Consiglio) e
capo dei Comitati di difesa e politica estera. Durante la guerra con l’Iraq
(1980-1988) fu comandante dell’aviazione militare iraniana. Rohani parla
fluentemente inglese, arabo e persiano. Ha scritto oltre un centinaio di libri
e articoli. È stato negoziatore nucleare iraniano negli anni 2003-2005. Nella
campagna elettorale Rohani ha rappresentato riformisti e i moderati; l’altro
candidato riformista, Mohammed Reza Aref, si era ritirato su invito dell’ex
presidente Mohammad Khatami. Rohani ha attratto i voti non solo di quella parte
del paese schierata con riformisti e moderati, ma anche dei cittadini stanchi
degli effetti dell’embargo e dell’isolamento diplomatico del paese. Dei sei
candidati, Rohani era considerato l’unico moderatamente progressista, intenzionato
a liberare i prigionieri politici e a riallacciare i legami con l’Occidente. •

 
       Ayatollah Khamenei, la Guida suprema                                                   

Sopra il presidente della Repubblica c’è il leader
della Rivoluzione islamica. Perché sopra la politica c’è la religione. Questa è
la teocrazia iraniana.

Il leader della Rivoluzione dell’Iran (vali-e faghih-e iran o anche rahbar-e enghelab) è la maggiore autorità
politica e religiosa del paese. Il ruolo fu istituito dalla Costituzione
iraniana in accordo con la Guida dei giuristi islamici, a seguito della
Rivoluzione del 1979, e dal giugno del 1989 è ricoperto dall’ayatollah ‘Ali
Khamenei, che succedette a Ruhollah Khomeini. Il leader supremo è più potente
del presidente della Repubblica. Egli nomina i dirigenti di diversi importanti
incarichi nazionali – militari, governativi, della magistratura, dei mezzi
pubblici di informazione -, orienta la politica estera della nazione e decide
della pace e della guerra. Decide la lista dei nomi dei candidati per le
elezioni del potere esecutivo e legislativo sia a livello nazionale sia locale,
così come nomina 6 dei 12 membri del «Consiglio dei guardiani», una sorta di
Corte suprema, che giudica la costituzionalità delle leggi approvate dal
Parlamento. Il suo potere non può essere messo in discussione, in base al
principio del velayat-e-faqih che
stabilisce la supremazia della religione sulla politica, dell’ambito spirituale
rispetto alle questioni materiali. La Costituzione richiede che il Leader della
Rivoluzione conosca la giurisprudenza islamica, sia giusto e compassionevole,
goda della stima della popolazione. Nella sua storia, la Repubblica islamica
d’Iran ha avuto due Guide supreme: Ruhollah Khomeini e Sayyed Ali Khamenei.

Ayatollah (āyat
Allāh
, segno di Allah). È un titolo onorifico dato agli esponenti di grado
elevato del clero sciita. Si tratta di esperti in giurisprudenza, scienza e
filosofia islamiche. Essi insegnano in hawza,
scuole o seminari islamici. Sotto gli ayatollah ci sono gli hujjat al-Islām (in persiano, hojjatol-eslam, prova o autorità
dell’Islam). Khatami, Rafsanjani e l’attuale presidente Rohani, tra i più noti,
sono hojjatol-eslam.

Gran ayatollah o ayatollah uzma.  È un titolo
garantito a pochi ayatollah, particolarmente seguiti dai fedeli e i cui scritti
sono presi come guida. Un Gran ayatollah è infatti un marja’al-taqlīd, cioè un giurista-teologo dello sciismo duodecimano
che gode di grande autorevolezza nell’esegesi dei testi sacri e che i fedeli
devono imitare.

Le ayatollah. L’Islam sciita contempla
l’esistenza di donne ayatollah, e – anche se in numero ridotto – sono
considerate al pari dei loro colleghi maschi. Sono le mujtahideh. •

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Angela Lano