Terra d’Africa vendesi
«Prosavana»: 14,5
milioni di ettari coltivabili ceduti al Brasile. Cinque milioni di contadini
diventano «senza terra» per lasciare il posto alle monocolture. Il governo
sostiene che è un programma di sviluppo agricolo. La società civile (e la
chiesa) si oppongono e attivano una resistenza.
È il 14 agosto del 2011, quando un articolo sul
giornale brasiliano La folha de São Paulo, fa
sobbalzare gli attivisti del movimento contadino di un’altra parte del globo:
il Mozambico. Lo scritto dice con enfasi che il paese africano avrebbe concesso
alcuni milioni di ettari di terra coltivabile agli agricoltori brasiliani, per
produrre soia, cotone e mais.
È
solo dello scorso marzo la pubblicazione di un documento ufficiale, il Piano
direttore, versione «zero», che descrive in dettaglio, nelle sue 204 pagine, il
«Prosavana». Abbiamo sentito telefonicamente alcuni protagonisti di questo
episodio di land grabbing in
Mozambico.
«Si tratta di un programma di cooperazione trilaterale,
che coinvolge Mozambico, Brasile e Giappone – ci spiega Agostinho Bento,
responsabile di politiche e advocacy alla Unac, l’Unione nazionale contadina mozambicana, il
maggiore sindacato di categoria -. Quando la società civile mozambicana sentì
parlare del progetto di cui era all’oscuro, si mobilitò alla ricerca di
informazioni. Scoprì che si trattava di un vasto programma agricolo chiamato
Prosavana. Esso prevedeva che un certo numero di grandi produttori brasiliani
abbiano in concessione terra mozambicana per un periodo di 50 anni. Questa
informazione allertò il movimento contadino e la Unac in particolare. Cosa
voleva dire quell’acquisizione di terra? Cosa c’era dietro?».
Questi
programmi, sempre più frequenti in Africa, rientrano nella categoria chiamata
(in inglese) land grabbing,
ovvero accaparramento di terra. L’Africa è l’unico continente rimasto con
abbondanza di terra agricola sotto sfruttata, che sta diventando strategica per
la produzione di cibo, risorsa, insieme all’acqua, sempre più importante per il
pianeta. Per questo motivo si è innescata la corsa allo sfruttamento della
terra africana, di cui però i contadini locali vivono.
Il
Prosavana (per esteso: Programma di cooperazione trilaterale per lo sviluppo
agrario del corridoio di Nacala) è un grande piano di sviluppo agroindustriale
che coinvolge 19 distretti di tre province mozambicane, Nampula, Zambézia e
Niassa, nel cosiddetto corridoio di Nacala, che taglia il Nord del paese dal
lago Malawi alla costa, per un totale di 14,5 milioni di ettari (la superficie
di quasi mezza Italia).
«In
effetti – spiega il giornalista Jeremias Vunjanhe – i tre governi hanno
elaborato segretamente questo piano fino dal settembre 2009, diventato pubblico
solo con la divulgazione dell’articolo sul giornale brasiliano».
Secondo
il governo del Mozambico, il programma Prosavana fa parte del Piano strategico
per lo sviluppo del settore agrario (Pedsa), che «si basa sull’aumento di
produzione e produttività agraria e contribuisce alla sicurezza alimentare e
all’aumento del reddito dei produttori agricoli in maniera competitiva,
sostenibile, garantendo l’uguaglianza sociale e di genere». E, sempre secondo
il ministero dell’Agricoltura e della Sicurezza alimentare mozambicano: «Tutte
le iniziative nell’ambito di Prosavana dovranno avere come principale obiettivo
l’appoggio ai piccoli e medi agricoltori mozambicani, cercando il miglioramento
delle loro condizioni di vita e l’aumento della loro produzione e produttività,
contribuendo alla sicurezza alimentare e nutrizionale della popolazione».
Ma
allora cosa c’è che non va in questo programma?
Ce lo
spiega Agostinho Bento, da Maputo: «Il Prosavana ha come obiettivo la
produzione di monocolture come la soia, che saranno esportate su un mercato
internazionale e in particolare giapponese. Saranno coinvolte enormi estensioni
di terra. Non si vuole trasmettere tecnologia ai piccoli agricoltori, ma è un
grande programma di agrobusiness, che
punta, di fatto, a togliere terra ai contadini, la risorsa che viene ora usata
per produrre cibo, e convertirla in terra per produrre grande monocoltura,
merce da esportazione. Gli agricoltori mozambicani e le loro famiglie saranno
sfollate e dovranno essere ricollocate altrove». L’impatto diretto sarebbe su
circa cinque milioni di contadini.
Continua
Bento: «Un programma che soddisfa gli interessi di grandi imprese, di grandi
affaristi, e non i bisogni dei piccoli agricoltori. Per questo abbiamo
cominciato questa contestazione. Abbiamo iniziato un’azione di advocacy
contro il programma».
Secondo
Vunjanhe, che è anche cornordinatore nazionale dell’Azione accademica per lo
sviluppo delle comunità rurali (Adecru), dietro a Prosavana ci sono «enormi
interessi economici di grandi corporazioni e istituzioni finanziarie. Il
cosiddetto Fondo Nacala, gestito in Lussemburgo, con il coinvolgimento della
Fondazione Getúlio Vargas, è uno dei principali meccanismi di raccolta di
risorse finanziarie, il che evidenzia la privatizzazione della presunta
cooperazione tra i governi».
I precedenti
«scomodi»
Prosavana
è la copia di un programma realizzato in Brasile nella zona del Cerrado negli
anni ’60. La Unac è entrata in contatto con le organizzazioni contadine di
quell’area, racconta il sindacalista: «Ci informarono che si trattò di
programmi che esclusero totalmente i contadini e le loro organizzazioni. È lo
stesso sistema che si vuole usare oggi in Mozambico. Quando il governo
brasiliano presentò il programma per la produzione di soia e canna da zucchero
nel Cerrado, disse che voleva aiutare i contadini, trasferendo tecnologia, ma
quando cominciò a implementare il programma, delle nuove tecniche e macchine
che usarono per lavorare la terra, nessun abitante ebbe beneficio.
Allo
stesso modo Prosavana non vuole accompagnare i contadini, non vuole produrre
cibo per i mozambicani, ma piuttosto merce da esportazione con conseguente
sfollamento di abitanti a livello del corridoio di Nacala».
Per
reagire la società civile mozambicana scrisse una lettera aperta (maggio 2013)
ai governi dei tre paesi, nella quale chiedeva un dibattito aperto e
democratico sul progetto che avrebbe influenzato la vita di tanti cittadini e
allo stesso tempo metteva in guardia dai danni che Prosavana avrebbe creato:
contadini senza terra, corruzione, impoverimento delle comunità rurali,
avvelenamento di terra e acqua a causa di concimi e pesticidi, ecc. La risposta
arrivò solo dal governo mozambicano e si trattò di una sintesi del programma.
Sviluppati
i contatti con la società civile brasiliana e giapponese, gli attivisti dei tre
paesi iniziarono a cornordinarsi e a fare pressioni sui rispettivi governi.
Dopo
l’organizzazione nel 2013 della prima Conferenza triangolare dei popoli a
Maputo, nel giugno del 2014 fu lanciata la campagna «No Prosavana». Agostinho
Bento ricorda: «La conferenza mise insieme le società civili dei tre paesi.
Invitammo anche i tre attori statali. Partecipò solo il governo del Mozambico,
rappresentato dal ministro dell’Agricoltura. Fu uno spazio di condivisione per
i tre popoli per mostrare una volta di più ai loro governi perché dire no al
programma Prosavana. Le società civili esigono la sospensione immediata del
programma e la convocazione di un tavolo tra associazioni e attori governativi
per progettare un programma che possa effettivamente creare sviluppo e aiutare
i contadini in Mozambico».
In
questo incontro le tre società civili portarono alla luce alcuni documenti che
erano stati elaborati in forma nascosta dai tre governi. «Il più importante è
il Piano direttore o Master
plan, il documento di base del programma, ottenuto attraverso i nostri
colleghi del Giappone. Ma il governo mozambicano lo disconobbe. Certo non
pensavano che noi lo avessimo. Con esso dimostrammo che il programma non è
compatibile con le necessità del paese. Furono fatte altre attività, in
collegamento tra le società civili dei tre paesi. E nel 2014 fu organizzata la
seconda Conferenza triangolare che fu più ricca, più produttiva. Ancora potemmo
mettere insieme i tre popoli, e a quell’incontro parteciparono anche i
rappresentanti dei tre governi. Spiegammo nuovamente che il Prosavana deve
essere interrotto e le nostre ragioni. Nonostante questa advocacy,
assistiamo ancora a una resistenza dei governi che vogliono implementare il
programma con la forza».
Nel
marzo scorso il governo del Mozambico presenta il Master
plan ufficiale. Nel mese di aprile organizza quindi incontri di «consultazione
pubblica», in tutti i distretti, a livello dei capoluoghi di provincia e a
Maputo. Lo scopo ufficiale è condividere e «validare» il Master
plan con le comunità locali.
Così
non sembra, vista la reazione di parte della società civile, come la
Commissione arcidiocesana di Giustizia e Pace di Nampula e l’Adecru, che con un
comunicato denunciano: «[…] questo processo è stato segnato da molte gravi
irregolarità che, una volta di più, confermano i vizi insanabili del
concepimento del programma Prosavana e che devono essere pubblici e denunciati
dalle società mozambicana, brasiliana e giapponese». E continuano «[…] abbiamo
visto il pubblico presente [alle riunioni di consultazione] manifestare la sua
profonda preoccupazione e indignazione e ripudiare l’intenzionale
disorganizzazione, politicizzazione, esclusione, mancanza di trasparenza,
intimidazione […] e manipolazione delle riunioni di consultazione pubblica […]».
I firmatari del comunicato pertanto «esigono dalle autorità l’invalidazione e
la sospensione immediata» di Prosavana.
«In
tutto il Corridoio di Nacala, i governi locali hanno intensificato la propria
azione di intimidazione, persecuzione e minaccia nei confronti dei contadini, e
manipolazione, strumentalizzazione e cornoptazione delle autorità comunitarie
locali» ci dice Jemerias Vunjanhe, giornalista dell’Adecru. «A livello
nazionale, soprattutto a Maputo, il governo continua a simulare un’attitudine
dialogante e di apertura per una tavola di consultazioni di facciata».
Racconta
Vunjanhe che «durante la riunione di consultazione pubblica a livello
provinciale, realizzata a Nampula il 13 maggio, il governatore provinciale,
Victorio Borges e il cornordinatore di Prosavana, l’ex ministro dell’Agricoltura
Antonio Limbau e tutta la squadra del ministero, non seppero rispondere a
domande circa la base giuridico-legale di questo processo, creando così un
grande sconforto nella sala. Dopo questo incontro, e con grande ripercussione
di comunicazione a livello nazionale e internazionale, il governo, attraverso
il cornordinatore Limbau, ha rilasciato interviste con l’obiettivo di soffocare
il rifiuto di Prosavana da parte dei contadini della regione interessata e
chiudere un occhio sulle gravi denunce
della società civile», e continua: «Limbau indurisce l’autoritarismo del
governo mozambicano e, appoggiato dai governi di Brasile e Giappone, tira
dritto per implementare il Prosavana con l’obiettivo di vedere approvato il Master
plan entro l’anno 2015, indipendentemente dalla posizione ferma dei
contadini e delle organizzazioni della società civile».
Secondo
Vunjanhe, anche la resistenza tenderà a radicalizzarsi: «Se il governo seguiterà
in questo modo, il popolo e soprattutto i contadini, con gli alleati della
società civile nazionale e internazionale, saranno costretti a indurire la
propria resistenza contro l’occupazione e l’usurpazione delle terre da parte
dei grandi investitori di Prosavana, intensificando così gli attuali conflitti
per la terra in quella regione. Di certo il governo perderà ulteriore fiducia e
credibilità nei confronti dei suoi cittadini. Ricordiamoci che nelle ultime
elezioni presidenziali e legislative, piuttosto contestate e denunciate per
frode, l’attuale presidente Filipe Nyusi e il suo partito Frelimo (Fronte di
liberazione del Mozambico) persero in quella regione».
Del canto suo Agostinho Bento dichiara: «Continueremo
un’advocacy di resistenza, sarà una lotta tremenda, nei confronti
dei poteri locali, da parte dei contadini che respingono il Prosavana.
Organizzeremo manifestazioni, per mostrare lo scontento su questo programma ai
tre governi coinvolti e anche alla comunità internazionale». Intanto iniziano a
verificarsi tensioni tra contadini e autorità. «In questo processo, il
ministero ha manipolato le persone, le ha usate per parlare nelle comunità, nel
tentativo di legittimare il programma a loro nome. Ma in alcuni momenti, quando
alle riunioni queste persone si alzavano dicendo di essere contadini, la gente
le smascherava dicendo che non facevano parte delle loro comunità, che erano
usati dal ministero dell’Agricoltura».
Unac
sta continuando un lavoro di sensibilizzazione e rafforzamento nelle comunità: «L’obiettivo
è coscientizzare la gente, in modo che possa dire le sue ragioni di fronte al
governo e ai poteri locali. Abbiamo argomenti per replicare. Facciamo conoscere
il programma, affinché la gente possa dire no con coscienza. Attraverso la
formazione, vogliamo rinforzare gli agricoltori, in modo che possano assumere
decisioni e proporre delle alternative». Assieme a Unac, nella campagna No
Prosavana, ci sono organizzazioni ambientaliste, di difesa dei diritti umani,
ecclesiali, di donne, ecc.
Un
grande valore aggiunto di questa lotta è il cornordinamento tra le società civili
di tre paesi così distanti, non solo geograficamente: «Lavoriamo congiuntamente
in tre popoli. Noi della Unac siamo stati in Brasile e Giappone. Stiamo dunque
cornordinandoci, realizziamo le attività in partenariato e abbiamo una strategia
comune. Quando si fa un’azione di advocacy a
livello di Mozambico, si fa anche in Brasile e Giappone. Così i tre governi
sono sotto pressione. Per esempio su quello giapponese affinché non finanzi il
programma. In Brasile chiedendo informazioni e giustificazioni. È un lavoro
arduo».
Marco
Bello
Monsignor Francisco Lerma Martínez,
portoghese, è missionario della Consolata. Dal 2010 è vescovo di Gurúè, diocesi
nella provincia di Zambézia, il cui territorio rientra in pieno nel programma
Prosavana.
«Si tratta di un mega progetto (e
non è il primo in Mozambico) pensato fuori dal paese, in questo caso in
Giappone con la collaborazione diretta del Brasile. La sua finalità ultima è
favorire le ditte di questi paesi che sono quindi beneficiari finali. La
popolazione locale senz’altro avrà qualche vantaggio (forse qualche posto di
lavoro), ma nell’insieme l’operazione sarà, come negli altri casi, a favore
delle grandi multinazionali.
Il Mozambico, infatti, grazie ai
megaprogetti del carbone (Tete), del gas naturale, (Inhambane e Cabo Delgado),
dell’alluminio (Mozal a Matola) e altri ancora, nel 2014 ha avuto un Pil in
crescita del 7,4%: valore tra i più alti dell’Africa.
Ma dobbiamo chiederci: la gente
vive meglio? Abbiamo un servizio sanitario migliore? Migliori scuole? Migliori
comunicazioni? Nella mia diocesi, Gurúè, nell’Alta Zambézia, nel mese di
gennaio ci sono state grandi piogge e forti venti che hanno distrutto più di
tremila case, oltre un centinaio di scuole e 160 cappelle, diversi ponti,
causando oltre cento morti. Dopo quattro mesi stiamo ancora soffrendo le
conseguenze di questo dramma. Ma,
nonostante il Pil, il 45% della popolazione continua a vivere in situazioni di
povertà, con redditi di un euro al giorno. Allora, ci domandiamo, chi beneficerà
di questo progetto? Senz’altro chi lo ha pensato, ideato e progettato».
Nella sua diocesi, come si sta organizzando la società civile per far
sentire la propria voce? E quali sono le associazioni più contrarie? Ce ne sono
di favorevoli?
«Nell’Alta Zambézia siamo fuori
delle normali correnti di opinioni, senza strutture, senza mezzi di
comunicazione, lontani dai centri d’influenza. Noi siamo in periferia, in una
zona geografica lontana dalla capitale provinciale, ancora isolati dalle piogge
di gennaio. La nostra popolazione ha in grande maggioranza un tasso di
analfabetismo molto elevato, non ha accesso ai mezzi di comunicazione,
giornali, riviste, Tv o altri servizi. Non abbiamo delle associazioni sindacali
o di creazione di opinione pubblica come altrove».
La chiesa del Mozambico, e in particolare nella sua diocesi, sta facendo
qualcosa, o prendendo posizioni, in merito a questo progetto governativo?
«Durante l’ultima assemblea
nazionale di Caritas, con la partecipazione dei vescovi, delegati delle Caritas
diocesane, e osservatori della società civile, è stato presentato alla
riflessione dei partecipanti il Progetto. Con la Commissione di Giustizia e
Pace siamo nella fase di raccolta di dati, di riflessione e di
coscientizzazione, come, d’altronde, abbiamo fatto per i mega progetti in altre
aree (per esempio il carbone) e stiamo facendo sulla situazione socio-politica-economica
attuale».
Tags: Senza terra, land grabbing, agroindustria, società civile, ambiente
Marco Bello