Da Brescia a Torino, per l’Africa
Padre ANGELO BELLANI,
a cinquant’anni dalla morte
I missionari della Consolata
sono oggi sparsi in quattro continenti e appartengono a venti nazionalità diverse,
ma all’inizio si trattava di un piccolo gruppo di giovani tutti piemontesi che l’Allamano,
nel nome della Consolata, inviò in Africa. Il primo sacerdote non piemontese a
entrare nell’Istituto fu un giovane prete bergamasco-bresciano, Angelo Bellani (1875-1964).
Nato nel 1875 a Palosco, in provincia di Bergamo, ma nella diocesi
di Brescia, entrò in seminario nel 1891 e venne ordinato sacerdote nel 1900.
Interruppe lo studio della teologia per il servizio militare che compì alla
rocca di Anfo da febbraio 1896 a maggio 1897, dove ebbe la possibilità di
collaborare col parroco don Andrea Pelizzari a iniziare l’oratorio parrocchiale
e la banca rurale.
Negli anni di seminario maturò il desiderio
di andare missionario in Africa e durante gli esercizi spirituali in preparazione
all’ordinazione sacerdotale scrisse al suo vescovo una lettera per chiedergli
il permesso di realizzarlo. Il vescovo mons. Giacomo Coa Pellegrini gli
rispose: «Caro don Bellani, so del tuo grande desiderio di farti missionario.
S. Carlo Borromeo ai novelli sacerdoti che desideravano diventare religiosi
diceva: “Pagate alla diocesi che vi ha ordinato quattro anni di servizio
sacerdotale”. Poi sarai libero». Mandato vice parroco a Tuscolano conobbe don
Piero Grana, amico di Daniele Comboni, il grande missionario della Nigrizia. La
frequentazione di don Grana intensificò in Bellani il desiderio di partire per
l’Africa come Comboniano.
Ecco come padre Angelo si racconta: «Iniziai
le pratiche e fui accettato dall’allora superiore generale (dei Comboniani),
padre Colombaroli. Ormai al termine della mia ferma in diocesi e quando già
avevo fatto i preparativi per raggiungere l’Istituto che consideravo “mio” fui
pregato dal superiore di rimanere ancora in aiuto del mio vescovo finché non
avesse avuto un sacerdote con cui sostituirmi. Un vero colpo per me: questo fu
il motivo per cui venni nella determinazione di non entrare più fra i
Comboniani, ma di cercare altrove la mia sistemazione. Provvidenzialmente il
mio parroco mi offerse alcuni numeri del bollettino delle Missioni Italiane edito
a Firenze dicendomi: “Prendi e leggi, ti piaceranno giacché vuoi proprio
andartene”. Nel numero 3-6 luglio-dicembre 1902 trovai descritta la fondazione
dell’Istituto della Consolata. Fu per me una rivelazione. Ebbi uno scambio di
lettere con il canonico Giuseppe Allamano».
Un padre gesuita che predicava gli esercizi
spirituali ai preti di Brescia gli disse: «Vada a Torino, il canonico Allamano è
un santo prete». L’incontro di Bellani con il fondatore fu cordialissimo e si
concluse con la sua accettazione, primo sacerdote missionario della Consolata
non piemontese. Era l’inizio dell’inteazionalità del nostro Istituto.
Prima della sua partenza per Torino, fece
una visita ad Anfo, dove il parroco stimava molto l’Allamano. Là, condividendo
la sua scelta con i giovani dell’oratorio, ne contagiò in modo speciale due,
che erano ancora bambini quando lui era militare: il quattordicenne Bortolo Liberini (1890 – 1960, sepolto in
Mozambico) che sarebbe diventato un esemplare fratello missionario della
Consolata e la tredicenne Mercede Stefani (1891 – 1930, sepolta in Kenya) che
sarebbe divenuta suora missionaria della Consolata col nome di Suor Irene e che
abbiamo visto beatificata il 23 maggio scorso.
Angelo Bellani entrò a Torino il 16 agosto
1904 e iniziò con grande impegno la sua preparazione alla vita missionaria
studiando linguistica, inglese, medicina, infermieristica, agricoltura,
falegnameria, ma anche spiritualità missionaria e scienze, secondo il metodo
pratico e concreto dell’Allamano.
Il 24 gennaio 1905 emise il giuramento per
cinque anni (i primi missionari si legavano all’Istituto non con una
professione religiosa a vita, ma con un contratto giurato, ndr) e il 29
gennaio partì per il Kenya, due anni e mezzo dopo i primi quattro missionari
della Consolata e là fu accolto dal superiore padre Filippo Perlo.
La sua attività missionaria si esplicitò nei
settori più diversi: fondazione di missioni, attività agricola, formazione dei
catechisti. Fu superiore alla fattoria del Mathari-Nyeri (1905-1909); fondatore
e superiore della missione di Gaturi (1910-1911); superiore della missione di
Karema (1912-1915); addetto al collegio catechisti a Mogoiri (1915-1918);
missionario nel Meru nella missione di Egoji dal 1919 al 1929.
Riferì un suo amico bresciano: «Mi disse
varie volte che egli si era prefisso un triplice ordine di lavori, mostrando
idee modeissime in materia di apostolato missionario: la fondazione di
cristianità; la formazione di catechisti e del clero indigeno che avviava ai
centri di educazione; e l’organizzazione di una autonomia economica al servizio
della missione». In tutti questi tre settori padre Bellani lasciò un segno
della sua genialità e della sua costanza.
Nel 1908 per un incidente e per un’operazione
male eseguita ebbe una gamba rovinata e irrigidita che lo costrinse a zoppicare
molto visibilmente e a cercare nel bastone un appoggio. Questo non ridusse il
suo slancio missionario. Dopo 15 anni tra i Kikuyu (1905-1919), finita la
guerra e rientrati i missionari dagli ospedali dei carriers, fu inviato
tra i Meru, nella missione di Egoji, ove spese una decina d’anni imparando la
loro lingua e scrivendone la prima grammatica, un libro di preghiere – il Ketabu
kea Akristo – e un catechismo della dottrina cattolica, oltre a lasciare
appunti sulla cultura e le usanze di quel popolo.
Erano gli anni iniziali della presenza
cattolica tra quella popolazione e furono particolarmente duri. Al suo arrivo
nel Meru nel 1919 erano già sorte quattro missioni: Imenti ed Egoji nel 1911;
Tigania ed Eghembe nel 1913. I missionari le chiamavano «trappe», e la loro era
veramente una vita da trappisti con tanta preghiera, duro lavoro e scarsi
risultati visibili.
Quando padre Bellani giunse a Egoji, i cristiani erano 36, quando
dieci anni dopo lasciò quella missione, i cristiani erano appena 195,
nonostante il grande lavoro compiuto. Ma quei pionieri, con la grazia di Dio,
misero le fondamenta di una cristianità che sarebbe «esplosa» alcune decine di
anni più tardi, negli anni Cinquanta. Infatti è interessante ricordare che nel
1953 sarà creata la diocesi di Meru che oggi conta 846.000 cattolici (il 31,1%
della popolazione), 60 parrocchie, 168 sacerdoti e 398 religiose, dalla quale
verranno poi staccate la Diocesi di Embu (1986) con 320.000 cattolici (il 60,5%
della popolazione), 16 parrocchie, 55 sacerdoti e 92 religiose e (1995) il
vicariato apostolico di Isiolo con 35.000 cattolici.
Nel 1929 padre Angelo dovette lasciare
l’Africa e il suo Istituto e rientrare in diocesi, su ordine di mons. E.
Pasetto, il visitatore apostolico che in quegli anni difficili fu mandato da
Roma a controllare, ridimensionare e riqualificare l’Istituto, accusato di
essere troppo lassista nella formazione dei suoi missionari, «arruolati» in
quantità pur di avere personale a sufficienza per il numero crescente di
missioni.
Padre Bellani che tanto aveva lottato per
essere missionario, per obbedienza aveva dovuto abbandonare quel campo dove
aveva tanto lavorato e dove avrebbe voluto terminare la sua vita.
Non potendo più essere missionario al
fronte, volle continuare ad esserlo nelle retrovie. Egli chiese di lavorare
ancora per le missioni e fu nominato Direttore diocesano delle Pontificie Opere
Missionarie. In questo ufficio, come scrisse mons. Luigi Fossati «con un lavoro
tutto suo ed originale padre Bellani fece fiorire le iniziative missionarie.
Nessun missionario passava dal suo ufficio senza partire carico di aiuti per le
missioni. Il museo missionario, il laboratorio missionario, le conferenze e i circoli di studio e la raccolta di
offerte ricevettero un grande impulso. Svolse nel seminario Santo Cristo di
Brescia una assidua assistenza spirituale e coltivò le vocazioni per le
missioni. Raccolse una vasta biblioteca specializzata in etnologia,
missiologia, storia delle religioni. Curò pubblicazioni scientifiche come la
comunicazione su una delle sorgenti del Nilo, quella di Bar el Ghazal, che fece
modificare la carta geografica del ministero delle colonie; tenne conferenze
all’ateneo di Brescia e in vari convegni di studio».
Il dolore per non poter più tornare in Africa
non sminuì il suo impegno missionario ma lo trasformò in creativo dinamismo per
rendere missionaria la diocesi. Nelle parrocchie promosse innumerevoli
iniziative, curò la creazione di gruppi di collaboratori/trici che formava
spiritualmente alla missione. Il servizio di direttore spirituale in seminario
fu un’altra posizione strategica per «contagiare» il clero e promuovere le
vocazioni missionarie.
Non dimenticò mai l’Istituto della Consolata
a cui si sentiva sempre legato. Ne chiamò i membri per frequenti giornate
missionarie, inviava arredi per le chiese in Africa. Non fu estraneo alla
donazione della villa di Bedizzole che la Contessina Anna Maria Calini Carini
fece all’Istituto per erigere un noviziato internazionale, e godette nel
vederlo realizzato prima della sua morte. Il fatto che la diocesi di Brescia
conti ben 160 tra sacerdoti, fratelli e suore missionarie della Consolata è
anche frutto della missionarietà di padre Angelo.
Gioia grande per padre Bellani fu, nel
giugno 1963, essere ufficialmente riammesso nell’Istituto che aveva tanto
amato. Scrisse al superiore generale padre Domenico Fiorina: «Il povero
sottoscritto Le serberà perpetua riconoscenza per avergli ottenuto la grazia di
tornare in pieno come missionario della Consolata». E padre Fiorina gli
rispose: «Il suo ritorno ufficiale nell’Istituto viene a premiare un amore
costante e generoso alla nostra famiglia religiosa ed alle nostre missioni».
Ecco come descrive il suo ultimo Natale,
1963: «Il Natale di quest’anno è per me tutto simile a quello indimenticabile
del 1904: lo celebrai con la sacra divisa dei missionari della Consolata, benedetta
dal Veneratissimo Fondatore; quest’anno lo passo in famiglia, professo perpetuo
dell’Istituto della Consolata. Deo Gratias».
Padre Bellani si addormentò nel Signore
nella sua abitazione di Palosco, il 16 luglio 1964, vigilia del suo 90°
compleanno. Il funerale fu imponente per la partecipazione dell’intero paese,
di numerosi confratelli e dei novizi della casa di Bedizzole con il superiore
generale, di molti sacerdoti diocesani e del vescovo Giuseppe Almici, ausiliare
di Brescia. La sua salma riposa nel
cimitero di Palosco.
Dopo la sua morte, la rivista Missioni
Consolata del settembre 1964 ne sintetizzava così il profilo: «Padre Bellani
per noi Missionari della Consolata sarà sempre una stella di prima grandezza,
un apostolo-pioniere da annoverarsi tra quei prodi dei primi tempi, che hanno
dato l’avvio al nostro movimento missionario; uno di quei pionieri di Cristo,
molto spesso ignorati o dimenticati, sul cui sacrificio sono fiorite oggi le
fiorenti cristianità dell’Africa nuova».
Mario Barbero
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Mario Barbero