La rivista «Missioni Consolata» è magnifica più che mai.
Bella l’idea della storia in fumetti. E la cosa che più di tutto Vi rende
rispetto è l’imparzialità religiosa. È evidente che lo Spirito che ci guida è
grande.
Marcello
D’Acquarica
03/05/2015
Il sale non ha perso
sapore
Caro padre Gigi,
domani, 17 maggio, padre Paolo Dall’Oglio compie sessant’anni e mezzo e
desidero rivolgergli gli auguri con le parole dei suoi familiari pubblicate il
17 agosto 2014: «Caro Paolo ti vogliamo bene e continuiamo con insistenza e
speranza ad aspettarti». Non ci sono notizie certe sulla sua sorte dal 29
luglio 2013 ma il suo impegno per costruire legami, tenace e non privo di
rischi, continua attraverso tutti coloro che lo condividono. «Il sale non ha
perso sapore» come affermi nell’editoriale di maggio. I massacri perpetrati
contro i cristiani sono innumerevoli, e non solo nei territori che sappiamo, ma
anche nel nostro mondo, nella nostra nazione, nella nostra città, nei nostri
luoghi di lavoro, pur in forme diverse. La testimonianza della libertà di fede
e di pensiero richiede una scelta che è quotidiana ed è contrastata da tanti
ostacoli, spesso occulti ma non meno micidiali di quelli visibili. Quella
violenza che invoca la «crisi sacrificale», indicata da R. Girard come ipotesi
esplicativa riguardo all’origine della cultura e dell’ordine sociale, continua
ad essere vitale, a rigenerarsi e ad assumere le forme più varie, cercando
vittime espiatorie per placarsi. Decidere di essere cristiani costituisce
quindi un progetto da rinnovare costantemente, da monitorare e da purificare
per mantenerlo cristallino e capace di avere le caratteristiche di lievito e
sale, nonostante le avversità, previste ed impreviste.
Ancora una volta ti ringrazio per le vitali provocazioni
e ti invio moltissimi saluti!
Milva
Capoia
16/05/2015
«Ancora
un sacerdote rapito in Siria. Padre Jacques Murad, della comunità di Mar Musa, è
stato rapito a Qaryatayn, dove è priore del monastero di Mar Elian (affiliato a
Mar Musa) e da dodici anni guida la locale parrocchia siro-cattolica». Così ha
scritto Avvenire il 23 maggio 2015. Un altro sacerdote nelle mani dei
jihadisti, a condividere le sofferenze di centinaia di cristiani anonimi
perseguitati, umiliati e uccisi in quelle terre senza pace, anche a causa delle
politiche miopi e frammentate dei nostri grandi governi democratici.
Buongiorno a voi,
è appena uscito il mio libro sul volontariato internazionale, pubblicato dalla
Emi. È inserito nella collana Antropolis, diretta da Marco Aime, e Alex
Zanotelli ne ha scritto la prefazione. In esso racconto la mia esperienza del
2003, anno che ho trascorso cornordinando un progetto di sicurezza alimentare nel
Sud dell’Etiopia. Espongo severe critiche alle modalità odiee di fare
cooperazione, con le Ong ridotte ad anonime agenzie concentrate sul fund
raising e su un’acritica attività di esecutrici degli interventi più
facilmente graditi (e quindi finanziati) dai donatori. Cerco però sempre di
attenermi a uno stile propositivo. Sono infatti convinto che il volontariato
internazionale non vada abbandonato, ma rilanciato in un’ottica di scambio.
Mentre gli africani possono beneficiare di alcuni nostri interventi, allo
stesso tempo noi abbiamo bisogno di imparare da loro, così da recuperare la
capacità di tenere duro, di vivere in spinta, di accogliere la vita con
ottimismo anche nelle situazioni più difficili, al fine di ridare ossigeno alle
nostre società sempre più grigie e disincantate, ben diverse da certi contesti
di fervente attivismo osservabili a Sud del Sahara.
«Ripartire da ieri» non è solo il titolo del libro, ma
un’idea, un progetto che pian piano mi si è abbozzato nella mente. Incontro
infatti un numero crescente di persone che denunciano, nei loro settori, lo
stesso appiattimento da me constatato nell’ambito della cooperazione. Oltre a
molti volontari inteazionali, quindi, c’è tutta una schiera di persone
(impegnate in politica, nella scuola, nella Chiesa, nell’assistenza, ecc.) che
vorrebbero fermarsi un attimo per recuperare le motivazioni e gli ideali
lasciati da parte in quanto affrettatamente considerati obsoleti e
inconcludenti. «Ripartire da ieri» non è né un’idea anacronistica né un moto
nostalgico, ma una necessità di riappropriarci del patrimonio valoriale che ci
serve per andare avanti in maniera più sensata e più determinata, senza
accontentarci di ruoli stereotipati da «timbratori del cartellino».
Visto il taglio della vostra rivista, alla quale sono
abbonato da diversi anni, penso che condividerete quanto da me sostenuto nel
libro. Ritengo che esso possa servire a rivitalizzare il dibattito sul
volontariato internazionale che ultimamente sembra purtroppo passato in secondo
piano.
Ringraziandovi per l’attenzione, vi invio i miei migliori
auguri per tutte le vostre attività!
Alberto
Zorloni
09/05/2015
Del
libro di Zorloni, certamente parleremo in un prossimo numero di MC.
Egregio signor Daniele Romeo, mi permetto di disturbarla
per complimentarmi con lei per il suo articolo su Cuba, pubblicato sulla
rivista MC 5/2015, che qualche giorno fa mi è capitato tra le mani a casa dei
miei suoceri, abbonati. È solo la prima parte e non vedo l’ora di potee
leggere la continuazione. Mi è sembrato di essere un suo compagno di viaggio e
di scoprire il paese come solo un viaggiatore (forse anche un po’ viandante) può
osservare. Grazie, è riuscito ad interessarmi e ad incuriosirmi! Complimenti
Antonio
Testa
16/05/2015
Il mondo è bello perché è vario. Io per esempio riguardo
al bollettino dedicato al fondatore dell’ordine, la penso molto diversamente da
chi lo definisce «inutile» e «troppo acriticamente agiografico» (cfr. MC n.
5/2015 p.5). A costo di apparire retorico, dico che gli allegati sull’Allamano
sono come tanti piccoli giornielli e il giorno in cui la loro pubblicazione verrà
sospesa sarà un giorno molto triste. Gli articoli del bollettino mi hanno
insegnato sempre tante cose, a cominciare dall’umiltà e dalla passione per
l’evangelizzazione, aprire il bollettino è come immergersi in un tempo diverso,
in una Torino diversa, in un’Italia diversa, in un mondo diverso.
Ed è un’immersione tutt’altro che banale; direi invece
che ha un benefico effetto «ridimensionante» e ristoratore.
Domenico
Di Roberto
19/05/2015
Visto che il giudice Caselli ha citato la Nota
Pastorale Cei del 04/10/91 (cfr. MC n. 4/2015 p.32), vorrei citarla
anch’io:
«Se si pensa infine» – dicono i vescovi italiani alla
fine del paragrafo 9, significativamente intitolato Meno leggi più legge
– «alla stretta connessione che intercorre tra moralità e legalità, non si può
non attribuire anche ad alcune leggi civili, come ad esempio quelle sul
divorzio e sull’aborto, la responsabilità di alimentare una cultura
individualistica e libertaria; anzi, queste stesse leggi permettono la
trasgressione morale, abbassano e deformano il senso della legalità. In realtà è
del tutto impossibile togliere la valenza educativa, o positiva o negativa,
della legge…».
È solo per dire al giudice Caselli che la lotta contro la corruzione va
condotta non solo con il sostegno ai tutori della legge, ma anche attraverso
l’impegno per l’abolizione di alcune leggi «criminogene» (questo aggettivo non
l’ho inventato io; il giudice Caselli sa che anche tra i suoi colleghi c’è chi
sta conducendo una battaglia molto decisa contro la criminalità
legalizzata…).
Chiaramente i giudici che, invece di contestare le leggi
criminogene, le applicano come se fossero buone leggi, diventano alleati
del crimine. Anche i tribunali possono essere covi di malfattori: come definire
diversamente il tribunale di Savannakhet, in Laos, che ha assimilato la
preghiera per i malati ad «abuso della professione medica» (cfr. MC n. 4/2015
p.9)? Come definire diversamente i tribunali pakistani, che condannano a pene
pazzesche i cristiani in base alla legge contro la blasfemia e assolvono i
responsabili delle aggressioni e delle lesioni con l’acido, che ogni anno
costano la vista e molto altro a centinaia di donne colpevoli solo di aver
detto no a corteggiatori prepotenti e violenti?
Come definire legale e morale il comportamento della
grande Germania, che il problema della prostituzione ha creduto di risolverlo
legalizzando le case chiuse e lucrando a colpi di tasse sulla depravazione
sessuale?
Come definire legale la linea di quei nostri politici, di
destra e di sinistra che, accampando vari pretesti (non ultimo quello del
risanamento dei conti pubblici), vorrebbero imitare proprio la Germania?
Giovanni
De Tigris
01/04/2015
sono don Osvaldo Bonello, cappellano del carcere di
Cuneo.
Conosco la vostra rivista, ricca e varia nelle tematiche
affrontate, attenta al nostro mondo «globale» e sempre più piccolo. In carcere,
si sa, sono molti i ragazzi africani o comunque extra europei, anche parecchi
di fede cristiana. Il livello culturale nello spazio carcerario è basso e le
occasioni di crescita pochissime. Sarebbe un grande dono poter avere
mensilmente 1/2 copie di MC. Forse entra già in qualche carcere. Faccio
affidamento sulle vostre possibilità oggettive poiché non mi è possibile fare
abbonamenti. Mi rendo ben conto delle fatiche economiche che certamente dovete
affrontare. In ogni caso vi ringrazio dell’attenzione.
Confidando nell’intercessione del beato Allamano, vi
auguro un fecondo lavoro al servizio del Regno.
Don
Osvaldo
20/04/2015
Per
noi è davvero un piacere inviare la rivista a don Osvaldo. E più di una copia.
Se qualcuno dei nostri amici condivide l’idea, una mano è sempre benvenuta. Se
altri cappellani hanno la stessa esigenza, si facciano vivi. «Là c’è la
Provvidenza». Occorre crederci.
Liturgia, Vangeli e
Storia
Al sig. Giuseppe Corti che scrive su «Franchezza sulla
Chiesa» (MC n. 5/2015 pp. 5-6) con accorati accenti e criticità, vorrei dare
una mia sensazione più che una risposta (N.b.: sottotitoli redazionali, ndr).
La questione della Liturgia è antica quanto la stessa
comunità cristiana ed è sempre stata in «movimento» perché tocca
inevitabilmente l’antropologia e la psicologia umana che, come tutti possono
constatare, si rimodulano in modo diverso in tempi diversi. In altre parole,
nella Liturgia «la persona umana» è coinvolta con atteggiamenti, parole e
gesti, e di conseguenza ciò comporta un innesto nei tempi della storia, nella
cultura dei diversi paesi, nella psicologia delle singole persone. Tutto ciò
nella storia ha prodotto progressi logici, ma anche conflitti terribili e
guerre di religione a non finire.
È vero che nel Vangelo non si trovano disposizioni
liturgiche e rituali preconfezionati e che anche per l’Eucaristia si trovano
ben tre formule diverse delle parole di Gesù sul pane e sul vino. Non bisogna
scandalizzarsi, ma nemmeno tirare conclusioni indebite, perché il Vangelo non è
un ricettario o un dizionario alfabetico dove si trova «tutto».
Il Vangelo è «il Principio» che fa sprigionare
l’orizzonte, che, nella dinamica di un nuovo modo di relazionarsi tra gli umani,
basato sulla frateità (Regno di Dio/dei cieli), non espone regole o norme o
galateo e tanto meno un rituale. Sarebbe ben triste se così fosse, perché come
dice Gesù nella sinagoga di Cafaao in Lc 4: «Oggi si è adempiuta nei vostri
orecchi questa Parola». Oggi, vuol dire in ogni tempo e per tutti i tempi. Non è
solo l’oggi di quel giorno, di quel sabato, ma l’«oggi» dell’uomo che ascolta e
che cerca il volto di Dio come la cerva del salmo 42.
La Liturgia è strettamente connessa alla religione che
si esprime attraverso due categorie storiche: il tempo e lo spazio. Poiché
l’uomo ha paura di tutto, della vita, della morte e della natura, sente
l’esigenza, il bisogno di ricorrere alla protezione della potenza di Dio con
cui stipula un contratto: tu, Dio, mi proteggi e io ti riservo un tempo sacro
(domenica) e uno spazio sacro (tempio/chiesa). Questi due contatti sono
collocati fuori della disponibilità umana perché sono gestiti «separatamente»
dai custodi del sacro, cioè la casta sacerdotale che assume su di sé il
privilegio (o la presunzione?) di parlare in nome di Dio. Da qui al rito
solenne, il passo è breve perché più la liturgia è solenne più si dà importanza
al tempo e allo spazio sacri, ma nello stesso più si espone Dio all’obbligo
della protezione.
Detto più semplicemente: in un regime di religione, che è
un bisogno umano come antidoto alla paura esistenziale, la Liturgia esige
teatralità per esprimere la partecipazione anche del corpo attraverso gesti, ritmi
e cantilene, che gli danno la sensazione di entrare nel mondo del divino da cui
è escluso per definizione: Dio non l’uomo.
Diverso è il regime della fede che è un incontro con una
persona reale e sperimentabile. Per me è la persona di Gesù di Nazareth che io
ho incontrato attraverso l’esperienza degli apostoli e che ha segnato la mia
vita come quelle di moltissimi altri e altre. Mentre la religione si esaurisce
nel fatto materiale (andare a Messa, confessarsi, andare in processione, accendere
una candela, ecc.) e non esige adesione etica o sentimentale, la fede esprime
un rapporto affettivo che si consuma nell’innamoramento. Per cui la Liturgia è
tipica degli innamorati. Le persone innamorate vivono di desiderio, di fisicità,
di contatto, di scambio d’idee, di condivisione di sentimenti, emozioni, ansia,
tremore, paura, e tutto questo si traduce in «Liturgia» d’amore: il regalo
confezionato, il bacio inviato via sms, il linguaggio riservato ad esclusivo
uso degli innamorati, il modo di vestirsi o di scegliere il vestito in vista
dell’incontro con l’amante, la gestualità che è insita e istintiva tra
innamorati.
Se non si capisce questa distinzione, non è possibile
accedere alla Liturgia cristiana che, storicamente, si è sviluppata come
dimensione solo «religiosa», cioè esteriore, per controllare le masse, per
catechizzarle creando un modello di uniformità che è più facile gestire. Solo
alcuni piccoli gruppi e spesso solo singole persone hanno vissuto la Liturgia
come «teo-antropo-drammatica», che si nutre di dubbi più che di certezze, di
desiderio più che di ritualità, di silenzio più che di parola. Alcuni
monasteri, comunità di base, famiglie, piccoli gruppi parrocchiali o missionari
hanno, anche in mezzo alle persecuzioni ecclesiali, tentato e vissuto la
Liturgia come momento di coscienza, anzi, come «sacramento» (segno portatore)
dell’intima unione con Dio e con gli uomini e le donne del loro mondo.
La Liturgia fino al 1967 è stata prevalentemente un
rituale, dominato dalle «rubriche». Dopo, con la riforma di Paolo VI, in
ottemperanza al dettato del concilio Vaticano II, è venuta fuori una Liturgia
in lingua «volgare» (non si osava nemmeno dire «lingua popolare») che è stato
solo un timidissimo inizio, abortito immediatamente perché tutto si è arenato
per la paura di perdere il controllo della gente. Quindi si è subito inoculato
il virus del rimpianto e del ritorno indietro, perfettamente riuscito. Se si
prendono le preghiere eucaristiche in italiano, comprese le due anafore per le
celebrazioni con i bambini, è evidente che la forma è in lingua italiana, ma il
contenuto e la «mens» sono latini. Il liturgo si è preoccupato più
dell’integrità delle formule che non della partecipazione dell’Assemblea,
esautorando la stessa liturgia che è «lèiton èrgon – azione popolare»,
cioè collettiva.
Nella Liturgia latina, il popolo è assente: può solo e
sempre dire «Amen». Addirittura si è arrivati al ludibrio di confezionare
preventivamente la «Preghiera universale», cioè la preghiera dei fedeli che
dovrebbero potere intervenire liberamente, come sono ispirati sul momento o
come si sono preparati preventivamente. Invece in ogni Messa che si rispetti,
dopo il Credo, si tira fuori il libro che contiene tutte le preghiere dei
fedeli per ogni circostanza e si dicono cose senza senso a cui il popolo
risponde meccanicamente «Ascoltaci, Signore». Questo è ammazzare la Liturgia.
Il gesuita Matteo Ricci nel sec. XVII cercò di farsi
cinese con i cinesi, mandarino con i mandarini e per questo fu accolto con
rispetto e dialogo. Egli non impose la Liturgia romana, ma cercò di capire
l’anima cinese per esprimere il cuore di quel grande popolo anche nella
preghiera. Da Roma gl’imposero di mettersi la pianeta, il manipolo e di
osservare scrupolosamente il rituale latino romano. La Chiesa perse la Cina.
Non esiste una Liturgia unica per tutti, ma esistono
tanti modi per dire il rapporto con il Dio incarnato in Gesù Cristo quanti sono
i popoli e le culture nel mondo. La vera Liturgia esige la diversità come
condizione di unità, mai l’uniformità.
Il sig. Giuseppe Corti ci invita a riflettere, questo sì,
e gli siamo grati, a non addormentarci sul già visto, a purificare ogni tempo e
ogni epoca di ogni scoria e sovrastruttura per ritornare alla genuinità del
Vangelo per imparare a leggerlo e a viverlo con lo spirito e l’anima del nostro
tempo. Se Dio è in mezzo a noi, occorre che i cristiani lo testimonino anche
esteriormente, ma senza alterigia, affinché il volto del Padre possa essere
sperimentato nel volto di chi crede, perché risplende in esso «immagine del Dio
invisibile». Per fare ed essere questo, è necessario camminare coi tempi, se
vogliamo arrivare in tempo.
Paolo
Farinella, prete
09/05/2015
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