Un milione e settecentomila

Le vittime dei Khmer rossi


Sul numero delle
vittime del regime khmer in tanti hanno giocato per proprie finalità. Nel
tentativo di avvicinare la verità storica, proviamo a fare qualche
considerazione e qualche calcolo. 

 

Sin
dalla caduta del regime di Kampuchea Democratica a Phnom Penh, sono state
emesse un’infinità di cifre sulle vittime causate dai tre anni e otto mesi di
potere Khmer Rosso. I numeri venivano arbitrariamente gonfiati o ridotti a
seconda della convenienza di chi foiva le cifre, privando di ogni coerenza i
supposti calcoli utilizzati per trarre il numero definitivo. Ad esempio, i
primi a fornire un numero ufficiale dei morti furono i vietnamiti. Ansiosi di
ottenere l’appoggio internazionale per la loro azione di invasione militare,
gonfiarono artificialmente le cifre, che ben presto raggiunsero i quattro
milioni (su una popolazione che, nel 1975, non raggiungeva gli otto milioni di
abitanti). Viceversa, stime più contenute indicavano i cambogiani periti tra le
ottocentomila e il milione di unità. A complicare ulteriormente i conteggi,
c’era il fatto che l’ultimo censimento ufficiale fatto in Cambogia risaliva al
1962.

Un primo calcolo «scientificamente» attendibile in
questo senso fu fatto da un gruppo di analisti solo alla metà degli anni
Novanta, acquisendo i pochi dati ufficiali redatti prima, durante e dopo
l’avvento di Pol Pot al governo ed elaborandoli con formule matematiche.

La base comune, accettata da quasi tutti i demografi,
per risalire alle perdite umane del periodo Khmer Rosso, fu la stima fatta nel
1970 da Jacques Mingozzi, secondo cui la popolazione cambogiana al tempo
ammontava a 7.363.000 unità1. La recrudescenza della guerra e i bombardamenti
statunitensi rallentarono il tasso di crescita, normalmente alto, nei
successivi cinque anni, tanto che alla metà del 1974, stime dell’Onu,
suffragate da calcoli di Ong straniere operanti nel territorio, contavano
7.890.000 cambogiani. Una cifra non irreale, tenuto conto che, nel marzo 1976,
la stessa Kampuchea Democratica fece ufficialmente sapere tramite Radio Phnom
Penh, che la popolazione che viveva sotto il suo controllo era di 7.735.279
persone2. Da quel momento non si ebbero più notizie attendibili
sulla popolazione del paese fino alla caduta del regime.

Nel gennaio 1979 si cercò di fare una prima stima della
popolazione cambogiana conteggiando le derrate alimentari distribuite, i capi
di vestiario, le case e i villaggi. Si arrivò così a formare un raggio di un
minimo di 6 milioni e massimo di 6,7 milioni di persone3,
con una prevalenza di stime verso il basso (6.130.000 abitanti, secondo l’Fbi)4.

Ben Kiean, nel suo libro The Pol Pot Regime, è
forse l’unico ad aver tentato di dare una stima scientifica sulle perdite
cambogiane durante Kampuchea Democratica, dividendo le vittime secondo i
criteri di classificazione del nuovo regime: «Popolo Nuovo» e «Popolo Base».
Alla prima classe sociale appartenevano 3.050.000 cambogiani, di cui, al 17
aprile 1975, solo 610.000 erano dislocati nelle campagne. A parte i vietnamiti
(10.000, tutti urbanizzati), il gruppo che subì maggiori perdite fu quello
cinese: 215.000 su un totale di 430.000 (50%) morirono prima della caduta del
regime. Dei due milioni di khmer residenti nelle città (principalmente Phnom
Penh) alla vigilia della liberazione, 500.000 (pari al 25%) perirono, a cui se
ne devono aggiungere altri 150.000 (su un totale di 600.000) residenti nelle
campagne. Il totale delle vittime del Popolo Nuovo fu di 879.000 (29%).

Una percentuale inferiore colpì il Popolo Base: su
4.840.000 componenti, 792.000 soccombettero alle privazioni del regime (16%).
Anche in questo caso i gruppi etnici non-khmer ebbero le perdite maggiori:
tralasciando i vietnamiti, furono i Thai e i Khmer Krom a subire i lutti più
numerosi, mentre i Cham musulmani ebbero il maggior numero di morti in assoluto
dopo i Khmer (90.000 vittime su una popolazione pre 1975 di 250.000 unità).
Solo i tribali, considerati da Pol Pot gruppo a lui fedele tanto da scegliere
le proprie guardie del corpo tra le loro file, ebbero una percentuale di morti
pari a quella che colpì i Khmer: 15%.

In totale, durante il regime di Pol Pot, su 7.890.000
cambogiani in vita il 17 aprile 1975, 1.671.000 morirono (21%). C’è però da
notare che non tutti furono vittime dirette delle violenze dei Khmer Rossi: la
maggioranza morì per affaticamento da superlavoro, stress psicofisico,
malattie, malnutrizione e denutrizione, mentre solo una parte (si stima circa 3-400.000)
caddero vittime delle epurazioni.

 

Rimpallo di
responsabilità

Anche il governo di Kampuchea Democratica è intervenuto
diverse volte sulla questione delle vittime perite durante il periodo di
potere. La prima menzione fu fatta da Pol Pot stesso nel dicembre 1979, quando
quattro giornalisti giapponesi ebbero la possibilità di intervistarlo in un
campo di addestramento nella giungla cambogiana. Il leader khmer affermò che «solo
diverse migliaia di kampucheani possono essere stati uccisi a causa di qualche
errore nel mettere in pratica la nostra politica di provvedere una vita decente
al nostro popolo». Le accuse di milioni di morti, rivolte al suo governo da
parte dei vietnamiti, vennero liquidate come montature5.
Subito dopo, l’11 e 12 dicembre 1979, a una televisione statunitense, l’Abc (American
Broadcasting Corporation
), ancora Pol Pot paragonava i vietnamiti a Hitler
denunciando la «guerra di genocidio» che stavano conducendo contro il popolo
cambogiano: «Hitler uccise gli ebrei e quelli che si opponevano a lui. Il
Vietnam uccide coloro che si oppongono al suo volere e la gente innocente che
non si unisce alla sua guerra contro la Cambogia».

In una terza serie di interviste, questa volta concesse
a dei giornalisti svedesi, Pol Pot minimizzò ulteriormente il numero dei
cambogiani uccisi durante il suo governo: «Il numero di persone morte a causa
dei nostri errori fu soltanto di poche centinaia».

Nel 1987 il portavoce dei Khmer Rossi, Khieu Samphan,
fece notare che meno di 3.000 persone morirono in Kampuchea Democratica come
risultato degli «errori» del regime. Khieu Samphan, però non negava che durante
la sua presidenza in Cambogia vi furono decine di migliaia di vittime, ma le
imputava al Vietnam: secondo lui furono ben 30.000 i cambogiani uccisi da «agenti
vietnamiti». 11.000 di questi infiltrati vennero poi scoperti e giustiziati. A
chi gli chiedeva giustificazione delle fosse comuni contenenti i resti di
centinaia di migliaia di cambogiani, Samphan rispondeva che nel 1980 «circa 1,5
milioni di persone morirono vittime degli aggressori vietnamiti»6.

Per anni i Khmer Rossi negarono ogni responsabilità di
uccisioni di massa, respingendo anche le accuse di aver gestito la prigione
S-21 di Phnom Penh. Solo all’inizio degli anni Novanta, con le prime defezioni,
alcuni leaders, come Ieng Sary, ammisero che sotto il regime di
Kampuchea Democratica si era creata una situazione di fobia verso chiunque
ostentasse un atteggiamento non in linea con le direttive del «Centro». Tutte
le colpe, però, venivano fatte ricadere su un solo uomo: Pol Pot. La definitiva
scomparsa del movimento Khmer Rosso, avvenuta alla fine degli anni Novanta,
scatenò una serie di scuse da parte dei maggiori dirigenti: Khieu Samphan e
Nuon Chea giusero a Phnom Penh e, in una conferenza stampa, si dissero
dispiaciuti per le enormi sofferenze causate «agli uomini e agli animali»
durante il loro governo. Successivamente anche Ta Mok, responsabile di migliaia
di esecuzioni, affermò che Kampuchea Democratica aveva dato origine a una serie
di violenze e uccisioni impressionante, facendo però ricadere la colpa sul solo
Pol Pot, Son Sen (già defunti) e al loro entourage.•

 
Note

(1)
Jacques Mingozzi, Cambodge: Faits et problèmes de population,
Parigi, Cnrs, 1973, pp. 226, 212.

(2)
The Party’s Four-Year Plan to Build Socialism in All Fields,
1977-1980
, Documento del Centro Cpk datato Luglio-Agosto 1976, in Chanthou
Boua, David P. Chandler e Ben Kiean, Pol Pot Plans the Future:
Confidential Leadership Documents from Democratic Kampuchea, 1976-77
, New
Haven, Yale University Southeast Asia Studies Coucil Monograph N°33, 1988, pp.
45-119, p. 52, tabella 1.

(3)
Afp Reports Figures on Kampuchea Population, Agence
France-Presse, Hong Kong, 22 Gennaio 1980.

(4)
Fbis, Asia Pacific, 24 Gennaio 1980, p.H4.

(5)
Sho Ishikawa, I Want to Join with Sihanouk, Lon Nol, Bangkok
Post, 11 dicembre 1979.

(6)
Ufficio del vicepresidente di Kampuchea Democratica in carica degli Affari Esteri – Khieu Samphan – , What
Are the Truth and Justice about the Accusations against Democratic Kampuchea of
Massa Killings from 1975 to 1978?
, luglio 1987.

Piergiorgio Pescali