Per rimpiazzare la pianta dell’odio
Diario di un giovane
da Isiro / 3
Via FB Tommaso
ci racconta altri due mesi della sua esperienza africana. Tra letture sulla
storia sanguinosa del Congo, bimbi da nutrire e con cui giocare, siccità e
pioggia, calore umano ed essenzialità, la sua vivace e profonda testimonianza
ci accompagna anche tra i Pigmei, fino alla Pasqua dei crocifissi d’Africa.
Sto
leggendo la storia, sanguinosa, del Congo: le stragi, i milioni di persone
morte, i «Kadogo» (bambini soldato), e l’Occidente che ne approfitta per
succhiare le ricchezze del paese (oro, diamanti, coltan, rame, avorio, ecc.).
L’Occidente ha le mani sporche di sangue: invece di imparare dalle atrocità che
ci hanno coinvolto in passato, come il nazismo, abbiamo accettato che
succedesse ad altri, purché lontani dai nostri occhi e purché ci tornasse
qualcosa in tasca.
Dal
centro nutrizionale Gajen sono partiti altri bimbi: Pico e Paco, Jojo. La «banda
bassotti» è così, ci saranno sempre nuovi bimbi da conquistare e amare.
È
arrivata a Gajen un’aspirante suora da una missione a 500 km da qui. Lì c’è un
centro nutrizionale ma poca esperienza e nozioni. Spetta a me farle un po’ di
formazione. In realtà non avrei le competenze ma, sapendo come funziona il
nostro centro e prendendo del materiale da internet, me la sto cavando.
Proprio
mentre scrivo inizia una bella pioggia. La prima da due mesi. Finalmente le
piante potranno bere un po’ e l’aria pulirsi dalla polvere che la invade.
31 Gennaio 2015
Grazie
per il vostro sostegno e contributo. Il famoso freezer per cui avevamo raccolto
le offerte è arrivato con tanto di pannelli solari e batterie. Finalmente potremo
acquistare carne o pesce e conservarli.
In
questi giorni Ivo è partito per Bayenga per riposarsi e riprendersi
dall’esaurimento degli ultimi mesi, così tutti i suoi lavori sono passati a me
e padre Flavio. Sono già esaurito anch’io dopo due giorni. Ho scoperto il «Noix
de cola», un frutto che usano le sentinelle per fare il tuo di notte.
Contiene qualcosa come la caffeina e, al di là del sapore amarissimo, mi tiene
sveglio per affrontare le giornate intense.
Da
lunedì al centro sarò promosso nutrizionista. Ci sono alcuni bambini piccoli
che vorremmo seguire in maniera specifica. In particolare una bimba di due mesi
che pesa solo 2,6 kg, ha perso la mamma e quindi non ha latte materno da bere,
e, considerata l’elevata diffusione di Aids, è impensabile farla allattare da
altre donne. Non avrei le competenze, ma devo intervenire lo stesso se vogliamo
salvarla, quindi, con le linee guida dell’Oms sotto mano, mi cimento in questa
sfida.
Il
bello di questa esperienza è il fatto di non avere un ruolo. L’unico impegno è
quello di essere al servizio degli altri: puoi essere animatore, panettiere,
agricoltore, insegnante, padre, nutrizionista, ecc. Non importa se non si hanno
le conoscenze, ci si mette in gioco lo stesso.
Domani
dovrebbe tornare Ivo, poi saremo io e P. Flavio a partire.
Al
centro la prima settimana da «nutrizionista» è stata piuttosto impegnativa. Al
primo sguardo i bambini che seguo sembrano nella «norma», ma quando misuro peso
e altezza e li confronto con l’età mi si gela il sangue. Alcuni bambini sono già
migliorati. Lo si nota dal volto, in particolare dagli occhi che sono più
vispi.
Si è
conclusa ieri la «Coupe d’Afrique» in cui il Congo si è classificato terzo. È
stato troppo bello: qui pochi hanno il televisore, in compenso ci sono radio in
abbondanza. Le sere delle partite si poteva sentire ovunque il commentatore
che, a tutto volume, ne faceva la cronaca: sembrava di essere dentro un mega
stereo. Per non parlare di quando c’erano i goal o, ancor più, di quando si
vinceva: un bornato di festeggiamenti che risuonava dovunque.
Oggi
ho saputo che è finito in prigione Pascal, un lavoratore di Gajen. Ha avuto una
discussione parecchio accesa col cognato che non si occupa della sorella e del
loro bambino. Così ora uno è all’ospedale, mentre Pascal con sua moglie e sua
sorella sono finiti in prigione (quando la polizia arriva prende chi trova). La
miseria rende molto più difficile risolvere malintesi e discussioni, e la
violenza fa presto ad avere la meglio quando si vive alla giornata.
La
nuova banda bassotti è fatta da elementi piuttosto impegnativi, in particolare
Bube e Dumbo (come li ho soprannominati).
Theo è
un ragazzino di circa 14 anni che viene spesso al pomeriggio per fare qualche
lavoretto e soprattutto per avere un po’ di compagnia. Quando aveva 9 anni sua
mamma si è ammalata gravemente e il padre se n’è andato abbandonandoli. Così
lui è rimasto ad assistere la mamma all’ospedale. Quando è morta, è stato lui a
chiuderle gli occhi. La forza che ha mostrato e la sua grandissima educazione, è
un esempio e motivo di riflessione per me.
Al
centro è arrivato un bimbo di tre anni che non ha mai camminato. Ha una qualche
infiammazione alle gambe che lo fa urlare dal dolore quando prova a mettersi in
piedi. I genitori hanno raccontato di aver provato di tutto per aiutarlo. Un
giorno l’hanno seppellito fino al bacino dal mattino a mezzogiorno. Ho
consultato la pediatria dell’ospedale Bufalini di Cesena, e sembra che sia
sufficiente una cura con antinfiammatori per tre settimane per farlo rimettere.
Il
prossimo aneddoto per me è molto doloroso, riguarda il babbo vedovo della bimba
Marie di cui vi ho parlato qualche settimana fa. Avevamo dimesso la figlia
perché era in condizioni buone. Un giorno si presenta domandando una lettera
per lasciare i tre figli, di cui una piccola, in orfanotrofio. Rimasto vedovo
non ha modo di lavorare e di occuparsi di loro in maniera adeguata. Pensando
alla cura e all’amore con cui seguiva la figlioletta, mi si è stretto il cuore.
Dividersi dai propri figli per permettere loro di sopravvivere è come
rinunciare a una parte di sé. Non so bene come andrà a finire, forse toerà a
prenderli quando saranno più grandi, fatto sta che un gesto d’amore come questo
non è scontato. Credo sia così dare la vita per gli altri, penso significhi
questo «morire a se stessi» per amore.
Una
mattina le infermiere del centro mi hanno chiesto: «È vero che in Europa non vi
salutate ma vi guardate soltanto senza dire niente?» (facendo l’imitazione con
una faccia da stoccafisso imbambolato). Questa cosa mi ha fatto molto
arrabbiare, mi sono sentito colpito nell’orgoglio. Eppure come dare loro torto?
Oggi,
forte della mitica ricetta della nonna Agostina ho fatto le chiacchiere (bugie,
frappe o come le chiamate). Sono state un successone, come al solito padre
Tarcisio dà le soddisfazioni più grandi: a suo dire «imparadisano la bocca».
P Tracisio Crestani, qui ritratto in una foto del gennaio 2015, è stato rimpatriato d’rgenza lo scorso maggio e il Signore lo ha chiamto al premio dei missionari il 30 maggio 2015 ad Alpignano – Torino. La sua è stata una dedizione totale alla missione con umiltà e semplicità, in una vita di nascondimento.
Bube,
mentre parlavo con una persona, improvvisamente mi ha dato un bacino sulla
mano. Quanto è universale l’amore? Un gesto per esprimere la felicità per la
mia presenza. In quel momento mi sono detto: quando Bube sarà grande non penserà
solo «bianco=ingiustizia» o «bianco=soldi». Sono questi i piccoli semi di amore
che un giorno cresceranno rimpiazzando la pianta dell’odio e del razzismo così
radicata in questo mondo.
Al
centro è arrivato un bambino orfano, nato da una settimana e mezzo, con una
pancia gonfia su cui si potevano vedere in rilievo tratti dell’intestino. Si
trattava di un problema al di fuori delle nostre possibilità. Abbiamo quindi
consigliato di portarlo con urgenza all’ospedale. Il bimbo è partito e non lo
abbiamo più rivisto. Secondo i missionari probabilmente non ce l’ha fatta: era
troppo piccolo per un intervento, e la sua famiglia era senza soldi per
l’ospedale.
È
ritornata la stagione delle piogge. Evviva. Non l’avrei mai detto che mi sarei
trovato a desiderare la pioggia, ma quando vedi la difficoltà della gente (e
anche la mia nel lavorare l’orto) per la mancanza di acqua, non puoi che essere
felice quando arriva. A proposito di orto, ho piantato le sementi arrivate
dall’Italia. Considerando che di solito non tutti i semi germogliano, ne avevo
piantati un buon numero. Non avevo però pensato al fatto che il Congo ha una
delle terre più fertili del mondo, e quindi mi sono ritrovato con una marea di
piante di pomodori. Beh, faremo un po’ di passata. Ho finito di leggere un
libro sulla storia del Congo. Penso che non potrò mai mettermi nei panni di
questo popolo sempre rigirato nelle mani dei potenti. Faccio fatica anche a
giudicare i comportamenti di gente che non ha conosciuto altro che guerra,
sfruttamento, violenza, corruzione, ecc. Le ingiustizie sono all’ordine del
giorno e la cosa che fa più male è che provengono in primis dall’alto.
Ho parlato con un senatore che ha famiglia qui a Isiro. Dice che bisogna stare
attenti a cosa si dice in parlamento perché possono farti fuori politicamente e
fisicamente. Sempre lui dice che con il guadagno annuale delle ricchezze del
Congo (in particolare minerali) il paese potrebbe risollevarsi subito.
La
banda bassotti ha visto diventare protagonista del gruppo una macchietta che si
è distinta dagli altri, Manù. Questo bambinetto di un anno è tanto meraviglioso
quanto peste. Essendo nell’età in cui si incomincia a «parlare», non smette mai
di dire «yo» (tu) indicando con il dito la persona (nel 99% dei casi sono io).
Per non parlare del suo ghigno veramente malefico quando ne combina una. Il
programma nutrizionale per lui fino adesso non ha dato risultati positivi,
quindi l’ho rivisto, grazie all’aiuto fornito dal personale del Bufalini.
Per
un’urgenza a Bayenga, padre Flavio questa settimana partirà, e io come potrei
perdere l’occasione di tornare tra i Pigmei?
Bayenga:
questo luogo mi affascina e mi sorprende. Sarà la bellezza naturale della
foresta equatoriale, sarà il calore della gente o sarà che ogni giorno è
un’avventura, fatto sta che stare qui è bellissimo. Il viaggio questa volta è
stato quasi piacevole, le strade erano decenti. In questi primi giorni mi sta «portando
a spasso» padre Evans, un giovane missionario del Kenya. Girare con la moto per
chilometri dentro la foresta è qualcosa di indescrivibile.
Ci
siamo fermati in un accampamento pigmeo dove la settimana prima era morto un
bambino. Abbiamo scoperto che era stato picchiato da alcuni Bantu per delle
stupidate. Probabilmente aveva altri problemi, ma la sua morte è stata
provocata anche da quello. È triste vedere che il razzismo è ovunque. La morte
rimane sempre un mistero, e non ci sono parole adeguate. L’unica cosa che può
portare sollievo è essere presenti e vicini nella sofferenza degli altri. Può
sembrare assurdo, ma la morte fa parte della vita.
L’altro
giorno ho giocato due ore a calcio. Qui si gioca per il gusto di giocare. I
bambini si divertono da matti, a nessuno importa del risultato, tanto che
quando qualcuno segna un goal applaudono tutti. In Italia, invece, giocando con
i bambini, ho notato una mentalità, a mio avviso, preoccupante: non giocano per
divertirsi, ma per vincere. Questo è frutto dell’influenza della nostra società
malata che impone di primeggiare e annientare gli avversari. Proteggete i
vostri figli da questa logica.
14 Marzo 2015
Di
quel poco che ho avuto modo di conoscere dei Pigmei ammiro una cosa in
particolare, il carattere mite e pacifico, al punto che sono addirittura
schivi. Quando fissi un bambino negli occhi si nasconde quasi sempre dietro la
mamma. Se incroci qualcuno in foresta senza vederlo, rimane nascosto. Ti
osservano da lontano per capirti, poi, se ti trovano innocuo, ti vengono
incontro e diventano simpatici e socievoli.
Una
delle prime sfide che ho affrontato è stata la caccia. Sono partito una mattina
con due bambini, eravamo armati di arco e una freccia ciascuno. Oltre a girovagare
in modo inconcludente abbiamo anche perso tutte le frecce: una volta lanciata,
se non la segui con gli occhi, scompare nella foresta. Rientrato, cercavo un
bastone per sostituire la freccia persa. C’erano lì dei Pigmei in attesa di
farsi vedere da mama Bomao, una Pigmea che funge da infermiera/ostetrica, ma
soprattutto da mediatrice tra i Pigmei e i missionari, nella piccola stanza
della missione adibita a farmacia/dispensario. Nel vedermi impacciato con un
bastone inadeguato, mi hanno regalato ben quattro frecce. Sono stato
felicissimo. Mi sono assicurato che non fossero frecce con la punta avvelenata
perché, con la mia sbadataggine, sarei di sicuro morto ferendomi per sbaglio.
Mama
Bomao abita qui vicino con i suoi figlioletti, e io vado a trovarli spesso
perché sono troppo curioso di conoscere il loro modo di vivere. Un giorno mi
hanno detto che dovevano andare a pescare al fiume. Io, non stando nella pelle,
ho chiesto se avessi potuto accompagnarli e loro ridendo hanno accettato. Ci
siamo inoltrati nella foresta attraversando il torrente, l’acqua mi arrivava
agli stinchi. Dopo aver scelto una sponda hanno incominciato a costruire una
diga di fango per isolare una parte di acqua, poi con delle foglie hanno
iniziato a tirare fuori l’acqua. Quando c’era ormai quasi solo fango, hanno
iniziato a tastare con le mani finché sono saltati fuori dei piccoli pesci
gatto.
Per
non farmi mancare niente stamattina sono partito da solo a esplorare la foresta
sperando che il mio senso dell’orientamento non mi tradisse. Inizialmente
procedeva tutto bene, poi a un certo punto ho incontrato il peggiore nemico di
chi è solo: la mente. Mi sono ricordato di tutte le storie che simpaticamente
padre Flavio mi aveva raccontato sui serpenti, e ho incominciato a vedee
dappertutto. Mi sono armato di un bastone e mi sono fatto coraggio.
Fortunatamente non ne ho incontrati (o non li ho visti), e il mio senso
dell’orientamento è stato fedele.
Poter
entrare in contatto con un mondo che ha conservato qualcosa di antico è un’esperienza
davvero affascinante. Poter assaporare uno stile di vita in cui ci si «arrangia»
è un’occasione preziosa. Riscoprire la caccia, la pesca, la costruzione delle
case, la raccolta della legna o del miele. Quando dietro un pezzo di carne o un
ortaggio riconosci il lavoro e la fatica di più persone, il tempo speso per
renderlo disponibile, allora in te nasce una specie di rispetto. E oltre a
gustartelo meglio ti guardi bene dallo spreco.
La
vita in mezzo ai Pigmei continua a regalare piacevoli avvenimenti. Oltre ad
aver visto come si preparano le frecce, ho partecipato alle pitture del corpo,
che vengono fatte più che altro per estetica. Grazie al succo di un frutto
della foresta e al carbone si prepara una specie d’inchiostro. Con un
bastoncino si tracciano sul corpo e sul viso varie decorazioni che durano
alcuni giorni. Ovviamente mi sono fatto decorare anche io. Mi sono
piacevolmente ritrovato a provocare stupore e scandalo tra i Bantu che in buon
numero considerano con occhio razzista tutto ciò che è pigmeo. Per i Bantu
razzisti vedere un bianco, simbolo di potere, dipinto secondo le usanze pigmee
deve essere stato un trauma. La cosa che più mi ha divertito è stata vedere i
bambini bantu che, dopo qualche giorno, hanno preso a pitturarsi il corpo come
me.
Lasciare
Bayenga non è stato semplice, soprattutto quando ho visto il corteo di bambini
che è venuto a salutarmi. Non lo è stato nemmeno il viaggio. Quattro ore in
moto su quelle «strade», con i bagagli dietro. Dopo un’ora di viaggio stavo già
soffrendo terribilmente. Ad ogni modo il rientro a «casa» è stato molto bello,
ritrovando tutti che mi aspettavano. Quante cose sono cambiate in quasi un
mese. A Gajen tutti i bambini che avevo lasciato sono stati dimessi e
rimpiazzati da varie new entry che ho già incorporato alla banda
bassotti. Inoltre Gajen è passato sotto la gestione dell’ospedale di Neisu. Tra
qualche giorno ci sarà un pediatra a lavorare come responsabile. La notizia più
bella è che, in questo modo, il centro è gestito dallo stato, così Gajen ha un
futuro garantito indipendente dalla presenza dei missionari. Ovviamente noi
saremo ancora lì a dare una mano, soprattutto nella fase di passaggio.
Questi
giorni di Pasqua sono proprio speciali, vivendoli in un luogo che richiama
continuamente al dolore e alla croce, vedendo ogni giorno tante persone
crocifisse. È stato particolarmente intenso celebrare la via crucis
all’ospedale: ogni stazione era in un padiglione diverso in mezzo a malati e
morenti. L’ultima nel reparto mateità, in mezzo a quelle piccole creature
venute al mondo da poco. Lì c’era il senso della croce che si compie nella vita
eterna, nella resurrezione. Di croci da portare nella vita ne abbiamo tutti.
Non possiamo deciderle, ma possiamo decidere come portarle. Se lasciarci
schiacciare dal loro peso oppure affrontarle e portarle nel nostro cammino, se
stare a testa bassa nella disperazione o alzare lo sguardo e incontrare un
cireneo che ci viene in aiuto o qualcuno che ci asciuga il viso.
(3 – continua)
Tommaso Degli Angeli