Martiri: Il Sale non ha perso sapore
In questi primi giorni di aprile tutto
e tutti parlano del massacro dei cristiani nel mondo. Pur con mille distinguo.
L’eccidio di Garissa, in Kenya, sembra aver fatto traboccare il vaso. Perfino
papa Francesco ha ripetutamente richiamato le nazioni con toni più duri del
solito. Due pesi e due misure: è l’accusa più comune soprattutto ai governi
occidentali. Grande partecipazione e mobilitazione per i tristi fatti di
Parigi, indifferenza e silenzio invece per le vittime di Garissa, Damasco,
Lahore, Mogadiscio, Bangui, Iraq, Nigeria. … Non voglio perdermi nei meandri
di una casistica infinita.
Due fatti mi hanno colpito in modo particolare: la coincidenza
(voluta?) con la Pasqua e con il centenario del «Grande Male», cioè la mattanza
di oltre un milione di Armeni cristiani in Turchia che ha visto il suo picco a
partire dal 24 aprile 1915.
È verissimo ciò da più parti
viene ribadito con insistenza, non è in atto una guerra di religione, non è
Islam contro Cristianesimo. Le cause di tutto questo vanno ricercate
nell’arbitraria divisione del mondo dopo la prima guerra mondiale, nella
tutt’altro che santa alleanza tra il capitale petrolifero e la casa di Saud,
nella grande bugia interventista a difesa della democrazia, nell’asservimento
della politica al neo liberismo sovranazionale, nell’impoverimento e
schiavizzazione progressiva della maggior parte della popolazione mondiale,
nella corsa agli armamenti e dominio delle lobbies economiche,
nell’ignoranza in cui gran parte dell’umanità è ancora mantenuta, privata anche
di servizi necessari come l’istruzione e la salute, e nell’impotenza delle
istituzioni sovranazionali. Ma è pur vero che il Cristianesimo è diventato il
capro espiatorio di colpe che non sono sue. Poi sul terreno, per i giovani di
Garissa o la gente della Nigeria o della Siria o dell’Iraq, questo poco
importa. Vittime due volte: dell’ingiusto sistema sociale ed economico mondiale
e del fanatismo dei puri che, nuovi veri idolatri, si sono costruiti un dio a
propria immagine e somiglianza.
«Hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi», ha detto Gesù (Gv
15,20). L’abbiamo ben visto proprio durante il tempo di preparazione alla Pasqua.
Gesù è stato fatto fuori perché ha presentato un Dio diverso da quello
incasellato negli schemi ufficiali di chi gestiva il potere, un Dio impossibile
da piegare alla loro visione del mondo che professa il Dio della vendetta,
dell’elezione, della potenza, della distruzione dei nemici, del premio ai puri
ed eletti. Forse per alcuni sarà eccessivo scrivere che non c’è differenza tra
l’atteggiamento autogiustificatorio dei farisei e loro accoliti e quello dei
fanatici dello stato islamico. Come non è troppo dire che erano della stessa
pasta i rivoluzionari del Terrore francese, i bolscevichi anticapitalisti della
rivoluzione russa, i Kemalisti turchi intenti al riscatto di una nazione
umiliata, le brigate inteazionali e i franchisti della guerra civile
spagnola, i nazisti di Hitler, i fascisti, i maoisti, i talebani e troppi altri
che sono sicuri di essere gli unici nel giusto.
Gesù è stato ucciso perché
rappresentava la libertà di Dio, un Dio signore dell’uomo e non strumento nelle
mani degli uomini. Un Dio che preferisce i deboli, i peccatori, gli esclusi,
gli scarti, gli orfani e le vedove. Un Dio che apprezza di più un bicchiere
d’acqua dato per amore che i grandi templi luccicanti d’oro. Un Dio che si fa
servo, anzi schiavo. Un Dio che allarga i recinti, che esce incontro, che va a
cercare chi è fuori, diverso, escluso, impuro. Un Dio mite e paziente, che è
perdono, che è inclusivo non esclusivo. Il Dio amore che chiede di amare come
lui ci ha amato, di perdonare i nemici, di fare il bene a coloro che ci odiano,
di essere misericordiosi a misura della sua misericordia. Gesù ha mostrato un
mondo diverso, a misura di Dio.
Di questo Dio sono testimoni i giovani cristiani di Garissa, i caldei
della Siria e dell’Iraq, i copti dell’Egitto, le ragazze rapite della Nigeria,
le Asha Bibi del Pakistan, le Leonella e Annalena della Somalia, gli Oscar
Romero dell’America Latina, i Bakanja del Congo. …
«Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno» (Mt 5,11). Non
c’è da aver paura se oggi le persecuzioni si intensificano. È segno che i Cristiani nel mondo sono
ancora testimoni del vero Dio di Gesù Cristo. Sarebbe molto più preoccupante se
tutti li applaudissero. Forse sarebbe un sintomo che il sale ha perso sapore.
Gigi Anataloni