Amico
A ssomigliano all’indemoniato di Gerasa posseduto dalla Legione (Mc
5,1-20) questo nostro mondo e l’uomo che lo abita: sembra che non riescano a
fare a meno di dimorare nei sepolcri e di gridare continuamente sui monti,
percuotendosi con pietre notte e giorno. Sembrano assillati da una moltitudine
di demoni, ciascuno dei quali ha il suo modo di manifestarsi, le sue personali
strategie persecutorie, ciascuno dei quali parla la propria lingua. Assillati
anche dai molti che, stringendoli in ceppi e catene, intraprendono tentativi
per «ridurli» alla normalità, per impedire loro di nuocere, per eliminare l’imperfezione
dall’umanità.
Il
Vangelo racconta di come Gesù liberi l’indemoniato mandando la Legione in una
mandria di porci, e di come questi si lancino dal dirupo nel mare di Galilea.
Lo stesso mare nel quale, qualche ora prima, i discepoli di Gesù avevano temuto
di inabissarsi, e avevano urlato al Maestro: «Non t’importa che moriamo?».
Il
mare di Galilea è simbolo, tra le altre cose, dell’inconscio abitato da demoni,
della contorta e conturbante natura dell’uomo che fa paura.
Pure
questa c’è tra le paure spezzate dal dono delle lingue a Pentecoste (At
2,1-11). Non solo il dono di parlare gli idiomi dei popoli, ma anche quello di
comprendere le lingue dei demoni che scuotono i singoli, le comunità, il mondo
intero, e di saper rispondere loro.
Saper affrontare la traversata
del mare senza lasciarci ingoiare dalla gola rapace dei demoni che ci lacerano,
e che lacerano la società, è un altro dei doni ricevuti. La vita accolta e
sposata per ciò che è, e non quella abbandonata o in via di perfezionamento, è
la rivelazione bella che ci viene fatta dal rombo dello Spirito.
E le lingue di fuoco vivo che
illuminano i volti dei discepoli, trasformano gli spauriti amici di Gesù in
apostoli.
Luca Lorusso