Meccanico, idraulico,
muratore, carpentiere, falegname, camionista, ma anche animatore: Giancarlo
Pegoraro è stato un grande missionario laico. Un suo ricordo nelle parole di
Paolo Deriu, amico e compagno di missione.
Giancarlo arrivò a Milaico
(Missionari laici della Consolata) di Nervesa della Battaglia, in provincia di
Treviso, nell’aprile del 1998, per formarsi e prepararsi a partire per l’Africa
o il Sudamerica, come missionario laico della Consolata.
Uomo
di opinioni forti e dalla voce potente, non passava inosservato. Con sé, portò
una ventata di entusiasmo e voglia di impegnarsi. Aveva fatto tanti mestieri:
camionista, elettricista, meccanico d’auto, muratore, operaio di calzificio.
S’intendeva di motori aeronautici e gli piaceva fare il pasticciere, senza
dimenticare che era anche boy scout e suonatore di «basso tuba» nella banda del
suo paese. Un personaggio, insomma.
A
Milaico si impegnò senza risparmio come animatore missionario e si dedicò ai
molti lavori di manutenzione che una casa grande come quella di Nervesa
richiedeva, per esempio, riparare le imposte, sistemare l’impianto elettrico o
quello idraulico. Soprattutto, divenne il nostro cuoco. Tra le sue specialità,
quelli che chiamava i «piatti da meditazione», passati di verdura e altro ben
spessi, che richiedevano un certo tempo di digestione, utili appunto per
riflettere sulla propria vita interiore.
Oltre
a essere un grande lavoratore, aveva una inesauribile voglia di imparare. Non
sapeva nulla di informatica, ma seguì con passione le nostre lezioni, poi
continuò a formarsi da solo, così che «superò i maestri» e divenne un esperto.
Come destinazione, inizialmente, ci venne indicato
il Kenya. Così il buon Giancarlo si diede di buona lena ad imparare l’inglese e
in breve lo sentimmo pronunciare le prime frasi in questa lingua, rispondendo
ad un registratore. Tuttavia, cambiò il paese di destinazione e nella primavera
del 1999, finalmente si concretizzò la partenza per una missione in Mozambico,
nell’Africa meridionale. Dopo qualche mesetto in Portogallo, per perfezionare
la lingua portoghese, Giancarlo prese l’aereo per Maputo, la capitale, e – in
attesa che arrivassi anch’io, una settimana dopo -, si fece conoscere come
factotum nella Casa Regionale Imc di quella città.
Arrivammo
a Mecanhelas (nella regione del Niassa, Mozambico settentrionale), la nostra
missione, la notte del 10 maggio. Trovammo padre Franco Gioda, padre Rogelio
Alarcòn e le bambine dell’«infantàrio» (centro nutrizionale), che ci accolsero
con canti, danze e torte da loro preparati.
Il
giorno dopo ci fecero conoscere la parrocchia, i suoi animatori e i suoi
operai. Tutta la missione contava circa 60 mila abitanti e 170 comunità
cristiane. Giancarlo venne nominato responsabile tecnico: si sarebbe occupato
dei mille lavori che una missione comporta e anche della formazione
professionale di manovali e operai specializzati. Il suo campo d’azione divenne
l’officina, che provvedeva alla manutenzione degli autoveicoli e dei mulini.
La
veneranda Land Rover dei missionari aveva le portiere che si chiudevano con le
corde e i freni ad azione ritardata (a volte nulla). Il camion, invece,
bisognava spingerlo, perché si mettesse in moto.
Oltre
ai veicoli, Giancarlo, o Genki come amava essere chiamato, cominciò a
preoccuparsi dei mulini a motore della parrocchia (frequentati da una numerosa
clientela, poiché non sottraevano farina durante la macinatura dei cereali, a
differenza di altri mulini di proprietà privata). Uno dei mulini perdeva circa
un litro d’olio al giorno, che si spandeva sul pavimento. Gli sforzi di
Giancarlo per insegnare al mugnaio a inserire una lamiera che raccogliesse le
gocce di lubrificante prima che cadessero a terra furono leggendari. Solo dopo
varie settimane, con le orecchie piene delle urla del nostro missionario laico,
il mugnaio si convinse che non era il caso di raccattare con le mani l’olio
disperso sul pavimento per rimetterlo nella macchina.
Un
discorso a parte furono i diversi progetti per costruire scuole, centri di
catechesi, cappelle e ambulatori, sparsi un po’ per tutta la missione.
Giancarlo era frequentemente richiesto per andare in giro a sovrintendere a
tutti i cantieri edili. Un suo sogno era un bel camion-laboratorio, con tutti
gli ultimi ritrovati della tecnologia, purtroppo era un po’ troppo caro per
riuscire a renderlo realtà.
Nelle sue peregrinazioni, Giancarlo non passava
inosservato. La gente lo vedeva transitare di buon mattino con il suo «passo da
alpino» (era, in effetti, un appassionato di montagna) diretto alla fuoristrada
o a un autobus, caricando un enorme zaino pieno di utensili e ricambi e
commentava: «Che grinta, sembra un soldato, chissà come è forte».
Un’altra
meta dei suoi viaggi era il Malawi, dove si recava a caccia di parti di
ricambio decenti. Approfittava di questi viaggi per dare uno strappo ai malati
della parrocchia, che avevano bisogno di cure specialistiche per cataratta agli
occhi, eie, varie forme tumorali. Quando invece andava nella città di
Nampula, in Mozambico, a oltre 400 Km dalla parrocchia, se poteva, caricava
malati di mente, diretti al locale ospedale psichiatrico.
Giancarlo
infatti non si occupava solo di risolvere guasti tecnici o di dirigere lavori
edili. Si preoccupava dei più deboli, tra cui appunto i malati, e gli stavano
molto a cuore anche i bambini del Centro nutrizionale con cui trascorreva i
momenti della sera o la domenica. I bambini erano molto contenti di averlo con
loro, avevano bisogno di un punto di riferimento maschile, essendo le
educatrici tutte donne.
Importante
per Giancarlo era la formazione professionale dell’équipe di meccanici,
falegnami, muratori e manovali (erano circa 70 lavoratori) con cui lavorava.
Abituato a un approccio sincero con la gente e a parlare forte e chiaro, per
Giancarlo fu difficile, all’inizio, comprendere un particolare tratto culturale
del popolo Makua, che ci aveva accolti. Ai Makua, infatti, non piace dire di «no»
a una domanda di un ospite straniero, perché non vogliono causargli un
dispiacere. Quindi poteva capitare che i lavoratori-alunni rispondessero sempre
di «sì», durante la formazione, alle domande di Giancarlo, anche se magari non
avevano capito un bel niente. Quando durante le esercitazioni pratiche veniva
fuori la verità, il poveretto aveva un bel sgolarsi per ripetere i concetti.
Comunque,
con il tempo, l’équipe tecnica di Mecanhelas imparò a dialogare con Giancarlo
(anche familiarizzando con espressioni del dialetto mantovano che il nostro
tanto amava) e ad apprezzae la professionalità.
Rientrato
da Mecanhelas nell’aprile 2002, Giancarlo rimase per un anno come animatore
missionario e factotum a Milaico, poi rispose di nuovo al richiamo della
missione e, nel 2003, rientrò in Mozambico dove riprese a lavorare come
meccanico, idraulico, muratore, falegname, camionista nelle missioni del Nord e
del Centro e ovunque lo chiamassero per riparare auto, installare generatori,
scavare pozzi. La sua ultima missione è stata Nova Mambone, dove sovrintendeva
alle saline, importante fonte di reddito della locale missione.
Missionario senza secondi fini o ipocrisie,
Giancarlo diceva chiaramente quello che pensava e dedicava ogni sua energia nel
lavoro di manutenzione e direzione tecnica e in quello di evangelizzazione.
Prendeva molto a cuore ogni suo impegno e soffriva quando temeva di non
riuscire a risolvere qualche problema, ma la sua perseveranza faceva sì che
questo succedesse di rado.
Nella
sua stanza, si poteva trovare la Bibbia, come anche utensili e parti di
ricambio, sistemati anche sotto il suo letto, giacché la sera o il mattino
presto, non erano per lui necessariamente tempi di riposo. Ci teneva a rimanere
in contatto con le realtà dei missionari laici della Consolata, soprattutto in
Portogallo e partecipava volentieri alle assemblee che venivano organizzate.
La
sua salute non era delle migliori. Al mattino, a colazione, ci comunicava il «bollettino
medico» della notte trascorsa, tra spifferi, dolorini e altro. Ma non era uno
che si lamentasse e ne parlava con allegria. Purtroppo, all’improvviso, il 31
gennaio scorso, la malattia ha vinto, ma solo sul suo corpo. Giancarlo continua
a vivere nel ricordo della gente di Mecanhelas e delle altre missioni in cui ha
servito, tra coloro che ha formato come specialisti e quelli con cui ha
condiviso giornie e dolori della vita. Senza mai chiudere la porta in faccia a
nessuno.
Paolo Deriu
Paolo Deriu