Un grande paese, in cerca di sé

Dalla primavera araba
alla guerra al terrorismo
Grazie alla Primavera
araba, in Egitto aveva preso il potere un gruppo confessionale. La nuova
Costituzione si ispirava alla legge islamica. Ma gran parte della popolazione
si è ritrovata in disaccordo. E un nuovo golpe ha destituito il presidente. Altre
elezioni, un nuovo capo di stato. Con l’esercito sempre molto presente. Ma
l’economia stenta a risollevarsi.

Indice box:

Sinai: il buco nero
dell’Egitto

Egitto, Cronologia minima
Tutti i personaggi

È stato uno dei paesi protagonisti della stagione delle «Primavere arabe».
Oggi l’Egitto è quasi scomparso dai grandi media ed è poco presente sulla scena
politica internazionale. La caduta del presidente Mohamed Morsi e l’ascesa al
potere del generale Abdel Fattah al-Sisi sembra aver fatto calare una cappa di
silenzio sul paese. Ma qual è la situazione dell’Egitto? Quale direzione
politica ha imboccato? Qual è l’andamento dell’economia?

Momenti di svolta

Se guardiamo alla recente storia egiziana
sono stati tre i punti di svolta politica del paese: l’11 febbraio 2011, che
segna la caduta di Hosni Mubarak, al potere dal 1981; il 24 giugno 2012, con
l’elezione di Mohamed Morsi, primo presidente espressione della Fratellanza
musulmana; il 3 luglio 2013, con la caduta di Morsi. È intorno a queste tre
date che si delinea la parabola politica e istituzionale egiziana. «Per
comprendere le trasformazioni in atto – ci spiega un esponente della comunità
cristiana copta che chiede l’anonimato – bisogna fare un salto indietro. Negli
ultimi tempi della presidenza Mubarak esistevano solo due grandi formazioni
politiche: il Partito nazionale democratico (Pnd), legato al presidente, e la
Fratellanza musulmana, movimento nato nel 1928 in Egitto con l’intento di
promuovere i valori tradizionali islamici nella società. Con la caduta di
Mubarak, il suo partito è stato sciolto. Sulla scena è rimasta quindi un’unica
formazione: la Fratellanza. Non è un caso che nel 2012 sia stato eletto un
esponente di questo movimento alla presidenza. Ma l’Egitto, pur avendo
conosciuto una progressiva islamizzazione della società, non è mai stato
compatto dietro la Fratellanza. Molti musulmani non si riconoscono affatto
nelle posizioni del movimento e anzi guardano con sospetto alla svolta
confessionale. Se non si capisce questo, difficilmente si può comprendere
l’evoluzione successiva».

Ne è convinto anche Massimo Campanini,
storico del Medio oriente arabo e della filosofia islamica, secondo il quale la
Fratellanza ha commesso alcuni errori fondamentali. Il più grave è aver creduto
di poter accelerare l’islamizzazione della società impadronendosi del potere e
tenendo sotto controllo la magistratura. Nonostante questi tentativi
autocratici, va però detto che non ha avuto il tempo di impostare una politica
efficace. Morsi è stato proclamato presidente il 24 giugno 2012, quasi subito
sono scoppiate le rivolte anti presidenziali organizzate da un’opposizione
laica che non ha mai riconosciuto la regolare, legittima e democratica vittoria
elettorale dei Fratelli musulmani.

Un esercito molto
presente

Scomparso il Pnd, l’unica istituzione
organizzata che si è rivelata in grado di fronteggiare la Fratellanza musulmana
è stata l’esercito. A dire la verità gli uomini in grigioverde non avevano mai
abbandonato la scena politica. Militari erano Gamal Abdel Nasser, Anwar Sadat e
Hosni Mubarak. Militare era Mohammed Hoseyn Tantawi, il generale che, prese le
distanze da Hosni Mubarak, aveva rifiutato di reprimere le rivolte della
Primavera araba e aveva guidato la transizione fino alle elezioni che avevano
portato alle elezioni di Morsi.

I militari non sono solo un’istituzione
fondamentale dell’Egitto, ma hanno anche un peso determinante nell’economia del
paese. Secondo alcuni analisti, un quarto (ma qualcuno parla addirittura di un
terzo) dell’economia egiziana
è controllata dalle forze armate. Gennaro Gervasio, docente di
Politiche del Medio Oriente alla British University del Cairo, in un rapporto recente ha parlato del conflitto tra la
casta militare e un gruppo di imprenditori neoliberisti, guidati da Gamal,
figlio di Hosni Mubarak. Un conflitto che sarebbe stato tra le ragioni che
hanno scatenato la Primavera araba e che, per il momento, si sarebbe risolto a
favore degli ufficiali dell’esercito. Anche se gli imprenditori hanno ancora
una forte presa sull’economia egiziana.

Il nuovo presidente

È stato al-Sisi a farsi interprete del
malcontento della maggioranza della popolazione egiziana. Ma chi è al-Sisi? «al-Sisi
è tanti personaggi in uno solo – spiega Giuseppe Dentice, ricercatore Ispi,
Istituto per gli studi di politica internazionale, esperto di Egitto -. È
sicuramente un militare e, per questo motivo, ha un approccio pragmatico e
decisionista. Pensiamo al pugno di ferro imposto al paese per riportare
l’ordine. Al tempo stesso, però, si presenta come l’“uomo della Provvidenza”,
riprendendo cliché tipici della retorica nasseriana. al-Sisi quindi gioca su
due piani, anche emotivi, proponendosi come la figura di riferimento del paese.
È un uomo che si adegua alle situazioni, pur partendo da posizioni chiare e decise
che fanno parte del suo retroterra militare. Certo se noi guardiamo la
situazione politica egiziana dal punto di vista dei diritti umani non possiamo
dire che
l’Egitto sia un paese democratico. Ma adottare questa visione sarebbe limitante
perché non terrebbe presente le esigenze di sicurezza che l’Egitto deve
affrontare».

I piani di politica intea ed estera
dell’Egitto in questo periodo storico sono sovrapposti. Il minimo comune
denominatore tra le due situazioni è l’attenzione all’ordine pubblico e alla
sicurezza. al-Sisi sta perseguendo una politica puntata su un controllo
territoriale ferreo della Valle del Nilo e del distretto della capitale. In
queste regioni è più semplice anche perché in esse la situazione politica è
stabile. Sta invece incontrando difficoltà nel Sinai dove il controllo dello
stato è quasi completamente assente (vedi box).

Dal punto di vista della politica estera, la
Libia viene considerata «stretto vicinato» e, in quanto tale, questione di «sicurezza
intea dell’Egitto». I motivi sono facili da comprendere. Tra Egitto e Libia
corre un lunghissimo confine comune, attraverso cui c’è un continuo passaggio
di uomini, mezzi, armi. Spesso tra questi soggetti ci sono personalità legate a
vario titolo alla Fratellanza musulmana e anche terroristi. La scorsa estate
l’Egitto ha subito una serie di attentati su quella frontiera e quindi vede la
Libia come un pericolo sempre più concreto che potrebbe addirittura estendere
la propria crisi a territori egiziani. Per evitare questo, ha militarizzato il
confine occidentale. Sta poi cercando di attivarsi con interventi non ufficiali
nel paese vicino. I raid aerei della scorsa estate sulla Libia sono stati
condotti, secondo alcune ricostruzioni, da aviatori emiratini o libici che
hanno pilotato aerei egiziani partendo da basi egiziane. Il Cairo sostiene
apertamente il governo libico con sede a Tobruk e combatte gli islamisti che
dominano il governo di Tripoli. «Questo – continua Dentice – è giustificato
all’interno della logica di contenimento della minaccia islamista. In questo
senso per al-Sisi non c’è differenza tra Fratellanza e gruppi jihadisti. Per
lui chiunque faccia riferimento alla sfera islamista è un terrorista e, come
tale, deve essere eliminato o comunque contenuto. Per questo la politica estera
e quella intea si sovrappongono e si influenzano soprattutto in tema di
sicurezza e ordine pubblico».

In Siria e in Iraq, invece, l’Egitto, pur
facendo parte della coalizione dei volenterosi contro lo Stato islamico, non
fornisce uomini o mezzi per combattere
al Baghdadi, ma rimane in una posizione più defilata e attendista.

Diritti umani

La repressione intea è stata molto dura
nell’ultimo anno e mezzo. Le associazioni per la difesa dei diritti umani hanno
denunciato che, solo negli ultimi sei mesi del 2014, 40mila persone sono state
incarcerate per motivi politici (tra esse tre giornalisti di Al Jazeera, l’emittente del Qatar, accusati di sostenere la Fratellanza
musulmana) e 20mila civili sono stati giudicati da tribunali militari. Nel 2014
un centinaio di detenuti sono morti per le violenze subite in carcere. I
vertici della Fratellanza musulmana sono stati incarcerati. Chi è sfuggito alle
maglie della polizia, vive esule all’estero, principalmente in Turchia e in
Qatar, paesi da sempre alleati del movimento. «al-Sisi – commenta la nostra
fonte anonima – è riuscito a reprimere la Fratellanza perché godeva del
consenso di gran parte del paese. Sostenuto non solo dalla comunità cristiana,
che si era sentita emarginata dalla Fratellanza, ma anche dalla maggioranza dei
musulmani. Senza questo appoggio, al-Sisi non sarebbe stato in grado neanche di
dichiarare la Fratellanza “gruppo terroristico”». Per le future elezioni, al
partito della Fratellanza, Libertà e Giustizia, come ad altre formazioni
simili, sarà impedito candidarsi. «Dal punto di vista politico – osserva
Dentice – la Fratellanza è alle corde. Bisogna capire in che modo essa potrà
giocare un ruolo attivo in campo politico nel futuro. Attualmente non ci sono
spazi che facciano pensare a un ritorno alla legalità del movimento. Credo che
il dialogo dipenda non tanto dalla Fratellanza quanto dai militari dietro al
presidente. Sono loro che possono e devono ricreare le condizioni favorevoli a
un confronto».

Il ruolo dei
cristiani

In questo contesto, la comunità cristiana
(in maggioranza copto ortodossa) non ha alcun peso politico, nonostante conti
almeno un 10% della popolazione. Dopo aver subito il rischio di venire
progressivamente emarginata dalla Fratellanza musulmana, ha sostenuto al-Sisi.
Non è un caso che la sera in cui il generale ha annunciato la deposizione di
Morsi, al suo fianco c’erano Ahmed al Tayeb, l’imam di al Azhar (università,
massima istituzione del mondo islamico sunnita), e Tawadros II, il Papa copto. «Tawadros
– spiega Awad Baseet, giornalista cristiano e attento osservatore delle
dinamiche politiche egiziane – sostiene l’attuale regime ed è ricambiato. Tanto
è vero che la nuova Costituzione assicura alcuni posti ai cristiani. Temo però
che ciò non cambi la sostanza delle cose: ormai i copti non hanno più una forte
influenza sulla politica».

al-Sisi sta portando avanti la sua battaglia
anche in campo teologico. In un discorso tenuto all’università al Azhar nel
giorno della nascita del profeta Maometto, il presidente ha chiesto ai leader
religiosi musulmani «una rivoluzione per estirpare il jihad (la guerra santa, ndr)». E ha aggiunto: «La genesi del problema è in un pensiero che si
origina dal corpo di testi e idee che abbiamo consacrato negli anni, fino a
considerare impossibile distanziarsi da esse, con il risultato di provocare
l’ostilità del mondo […]. Non è possibile che 1,6 miliardi di musulmani
vogliano uccidere gli altri 6 miliardi di abitanti della Terra».

Ma al-Sisi non si sta muovendo solo su un
piano politico-militare. Conscio che le rivolte della Primavera araba erano
nate anche dalla crisi economica che aveva investito il paese, il generale ha
progettato ampi interventi per favorire la ripresa. In particolare ha
annunciato l’avvio di grandi opere pubbliche, tra le quali il raddoppio di una
parte del canale di Suez e la costruzione di centrali elettriche (molte delle
quali dovrebbero sfruttare le potenzialità del solare). Parallelamente ha
iniziato a ridurre i sussidi su carburanti, pane, zucchero, tè, ecc., che
drenavano circa l’8% del Pil nazionale. «Questo non basta – sostiene Baseet -,
servono riforme di più ampio respiro che permettano non solo a un mercato
bloccato di aprirsi, ma di garantire l’ingresso di attori stranieri. In questo
senso è allo studio un progetto di legge per cambiare l’attuale normativa sulla
proprietà. Le nuove norme dovrebbero permettere l’ingresso degli stranieri
nelle società egiziane come soci di maggioranza. Questo potrebbe essere utile,
ma è chiaro che rischia di essere un discorso fine a se stesso se il controllo
del territorio e dell’economia viene mantenuto dal blocco militare».

La stabilità assicurata da al-Sisi insieme
ai fondi che arrivano dai paesi del Golfo (30 miliardi di dollari l’anno per i
prossimi quattro anni) hanno però già portato alcuni risultati. Nel primo
trimestre 2014 il Pil è cresciuto del 2,5%, nel secondo trimestre di circa il
4%. «La produzione industriale – continua Baseet – sta riprendendo. Questo è un
dato positivo. Anche lo scambio con l’estero sta migliorando: nel 2014 si è
attestato intorno ai 17 miliardi di dollari contro i 15 del 2012. Ma ancora
lontano dai 36 del 2011. Il turismo sta lentamente risalendo la china. Nelle
località sul Mar Rosso e sul Mediterraneo le presenze stanno aumentando. Purtroppo
mancano all’appello i turisti nei luoghi storici. In questo senso paghiamo
ancora l’instabilità della Primavera araba».

Enrico Casale
______________

MC sull’Egitto:
Il gigante ha i piedi di sabbia (10/2010);
Sangue e orgoglio (3/2012);
La religione del potere (4/2012)
Prima e dopo la Primavera (6/2013);
Una primavera solo all’inizio
(7/2014).

Sinai: il buco nero
dell’Egitto

Intervista
all’esperto di terrorismo e fondamentalismo islamico

Per
l’Egitto il Sinai è una ferita aperta. Nella regione, terra di traffici
illegali e di basi di fondamentalisti islamici, il governo del Cairo fatica a
riportare l’ordine. Quando e perché la penisola è sfuggita al controllo? Ne
abbiamo parlato con Lorenzo Vidino, esperto di terrorismo e fondamentalismo
islamico. «Il Sinai è una zona ad alta concentrazione tribale. Rispetto al
resto dell’Egitto l’importanza dei clan è molto forte. A ciò va aggiunto che la
Penisola è da sempre stata maltrattata e marginalizzata dalle istituzioni egiziane.
Il risultato è che il Sinai è molto povero e vive di commerci e traffici
clandestini. Nel tempo si è creato quindi un humus di disagio e un sentimento
di avversione nei confronti delle forze armate egiziane e dello stato centrale.
Negli ultimi anni, è il fondamentalismo islamico a essersi fatto interprete di
questo astio. Ansar Beit al Maqdis («Partigiani di Gerusalemme»), il
gruppo più forte e più conosciuto del fondamentalismo islamico nel Sinai,
professa un jihadismo globale ma, allo stesso tempo, si caratterizza per un
forte legame con il territorio e porta quindi avanti istanze locali di
contrapposizione al Cairo».

Il governo come ha contrastato
questo fenomeno?

«Durante il periodo in cui l’Egitto
è stato in preda al caos post Mubarak, il Sinai è stato abbandonato a uno stato
di anarchia quasi totale. In seguito, Mohamed Morsi, un po’ per incompetenza,
un po’ per una certa simpatia ideologica, ha tollerato molto la crescita del
movimento islamista. Quando è caduto Morsi, la situazione, che era già critica,
è degenerata con attacchi sanguinosi a stazioni di polizia, caserme, posti di
blocco, colonne delle forze armate. L’attuale presidente Abd al-Fattah al-Sisi
ha dichiarato guerra al fondamentalismo, imponendo il coprifuoco per settimane
e lanciando operazioni militari. A questo il governo ha associato annunci di
politiche di sviluppo della regione per migliorare le condizioni di vita della
popolazione locale e per ridurre il bacino di malcontento dal quale pesca il
fondamentalismo. Anche se lo stato, avendo pochi fondi, difficilmente darà
seguito agli annunci».

Nel Sinai, oltre allo Stato
islamico, opera anche al Qaida?

«La componente egiziana di al Qaida è sempre
stata molto forte e si è rafforzata ulteriormente dopo che l’egiziano Ayman al
Zawahiri ne ha preso il controllo. Alcuni esponenti di Ansar Beit al Maqdis
sono storicamente vicini al movimento fondato da Osama bin Laden. Anche il
governo egiziano ha sempre cercato di associare il fondamentalismo del Sinai
all’estremismo di al Qaida (benché non sia sempre possibile verificare
quanto pesi la propaganda politica). In questi ultimi mesi, però, Ansar Beit
al Maqdis
ha scelto di aderire allo Stato islamico».

Chi sostiene questi gruppi
terroristici?

«Si sostengono da soli con proprie attività illegali. In
particolare con il racket (taglieggiando la popolazione locale), il
traffico di immigrati che provengono dall’Africa, il contrabbando verso la
striscia di Gaza, ecc.».

Oltre al Sinai, i gruppi jihadisti
potrebbero prendere il controllo anche delle regioni
occidentali?

«Attualmente le regioni libiche al confine con l’Egitto
sono controllate dal governo laico di Tobruk e quindi sono relativamente
sicure. L’esecutivo è però molto debole e, nel breve periodo, può correre il
rischio di essere abbattuto. In questa eventualità il Cairo potrebbe trovarsi a
fronteggiare milizie islamiche lungo un confine di migliaia di chilometri dai
quali possono facilmente infiltrarsi miliziani e armi. Già ora armi, munizioni
e uomini passano la frontiera, ma il pericolo è che la situazione degeneri».

E.C.
_________________

Per un ulteriore approfondimento
rimandiamo
al dossier Sventola bandiera nera, MC 1-2/2015.

 
Egitto
Cronologia minima
25 gennaio 2011 – Opposizioni e società civile proclamano la
«giornata della collera» contro la carenza di lavoro e le misure repressive del
governo. Le manifestazioni si protraggono per giorni.

11 febbraio 2011 – Sotto la pressione della piazza, Mubarak
si dimette. Il potere passa a una giunta militare presieduta dal
feldmaresciallo Mohamed Hussein Tantawi.

23-24 maggio e 16-17 giugno 2012 – Elezioni presidenziali.
Mohamed Morsi viene eletto presidente.

12 agosto 2012 – Mohammed Hoseyn Tantawi viene rimosso dalla
carica di ministro della Difesa e della Produzione militare. Gli subentra il generale
Abdel Fattah al-Sisi. Il presidente Morsi annuncia che la nuova Costituzione
favorirà l’adozione di norme ispirate alla Legge islamica. L’annuncio scatena
la reazione delle opposizioni, esasperate anche dalle crescenti difficoltà
economiche.

18 novembre 2012 – Si insedia

Tawadros II, il nuovo patriarca della Chiesa copta. Alla
cerimonia non prende parte Morsi.

30 giugno 2013 – A un anno dall’elezione di Morsi, Tamarrude
che è un movimento di opposizione, annuncia di aver raccolto oltre ventidue milioni
di firme per chiedere la destituzione del presidente e per ottenere elezioni
anticipate.

3 luglio 2013 – Morsi viene rimosso dalla carica da un golpe
messo in atto da Abdel Fattah al-Sisi. La sua destituzione da parte delle forze
armate è sancita con il parere favorevole del leader dell’opposizione laica
Mohamed el Baradei, dall’imam di al-Azhar, Ahmad al-Ayyib e dal papa copto
Tawadros II. Le proteste dei Fratelli musulmani vengono duramente represse.

28 maggio 2014 – Al-Sisi viene eletto presidente della
Repubblica ed entra in carica l’8 giugno.

E.C.
Tutti i personaggi

L’ingegnere, i
militari, il mufti e il patriarca

Mohamed Morsi – 63 anni, si laurea in Ingegneria chimica
all’università del Cairo e consegue un master e un dottorato di ricerca alla University
of Southe Califoia
. In Califoia lavora anche alla Califoia State
University
dal 1982 al 1985. Esponente di punta del partito Libertà e
Giustizia (formazione legata alla Fratellanza musulmana), è eletto presidente
nel 2012 ed è il primo ad assumere tale carica con elezioni democratiche. Il 3
luglio 2013 viene deposto da un colpo di stato militare ed è incarcerato.

Hosni Mubarak – 86 anni, dopo una brillante carriera militare
(durante la quale si distingue nella guerra del Kippur del 1973), si impegna in
politica. Alla morte di Anwar Sadat è eletto presidente dell’Egitto, carica che
ricopre per quasi trent’anni, a partire dal 14 ottobre 1981 fino all’11
febbraio 2011. Dopo la deposizione, viene arrestato e, nel 2012, è condannato
all’ergastolo. Il 29 novembre 2014 la Corte di Cassazione lo proscioglie dalle
accuse di omicidio e lo assolve da quelle di corruzione. Mubarak può essere
dunque scarcerato.

Abdel Fattah al-Sisi – 60 anni, frequenta l’Accademia militare egiziana e
poi corsi di specializzazione in patria, nel Regno Unito e negli Stati Uniti.
Pur essendo affascinato dall’ideologia panarabista e laica di Gamal Nasser, non
fa mistero di essere un musulmano devoto. Forse è proprio per questo motivo che
la Fratellanza musulmana lo sceglie come Capo di Stato maggiore della Difesa.
Nel 2013 però si contrappone al presidente Morsi fino a rovesciarlo. Le
elezioni dell’8 giugno 2014 lo consacrano sesto presidente della Repubblica
egiziana.

Tawadros II – 62 anni, si laurea in Farmacia e lavora per alcuni
anni in un’azienda statale prima di entrare nel monastero di San Bishoy a Wadi
Natrun. Ordinato sacerdote nel 1989, è consacrato vescovo nel 1997. Come tale
guida la diocesi di Beheira, a Sud Ovest di Alessandria. Il 4 novembre 2012 è
eletto 118º papa della Chiesa copta ortodossa e patriarca di Alessandria. Il 10
maggio 2013 si reca in visita ufficiale in Vaticano, con una delegazione di
vescovi, accolti da papa Francesco.

Ahmad Muhammad al-Tayyeb – 68 anni, studia e insegna nelle università della
Sorbona (Francia) e di Friburgo. Successivamente diventa professore di
Filosofia e Teologia nelle università di al-Azhar (Il Cairo), Qena e Assuan, in
Egitto, e di Islamabad, in Pakistan. Dal marzo al settembre 2003, ricopre la
carica di Gran Mufti d’Egitto e nel 2010 diventa Imam di al Azhar, nominato da
Hosni Mubarak. Non sostiene le sommosse che portano alla destituzione del
presidente e si contrappone alla Fratellanza musulmana quando questa prende il
potere. Considerato un moderato, sostiene il colpo di stato che porta alla
caduta di Mohamed Morsi.

E.C.
 

Enrico Casale

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