Per un pezzo di terra
L’antisionismo degli Ebrei
Ortodossi
Non tutti gli ebrei
sono favorevoli allo stato di Israele. L’antisionismo si può incontrare, ad
esempio, tra molti ebrei ortodossi. Quelli aderenti ai movimenti «Satmar»,
«Agudat Yisrael», «Bund», «Edah Haredit» e «Neturei Karta» sono forse i più
intransigenti. Si tratta di un fenomeno poco conosciuto, ma presente, la cui importanza
è destinata a crescere.
Nel 1896 Theodor Herzl (1860 – 1904)
ripropose all’attenzione del mondo ebraico un’idea non certamente nuova, ma che
alla fine del XIX secolo cominciava a prendere piede tra le comunità
israelitiche: la creazione o, come disse lo stesso Herzl, la «restaurazione» di
uno stato che potesse ospitare giudei da tutto il mondo.
Prendendo spunto dal caso Dreyfuss (Francia, 1894, ndr) e dai moti antisemiti che
sconvolgevano l’Europa in quegli anni, Herzl sosteneva che «invano siamo leali
patrioti […] invano facciamo gli stessi sacrifici […] che fanno i nostri
connazionali; invano contribuiamo a incrementare la fama della nostra terra
natia nelle scienze e nelle arti o ad arricchirla con il commercio. Nei paesi
dove viviamo da secoli continuiamo ad essere considerati stranieri».
Secondo Herzl era dunque necessaria la creazione di uno
stato ebraico: «Garantiteci un pezzo di terra grande a sufficienza per
costruirci una nazione; penseremo noi a mantenerci».
In verità Herzl non propose il ritorno in Palestina.
Anzi, al primo Congresso sionista, svoltosi a Basilea nel 1897, indicò l’Uganda
come possibile luogo in cui insediare il popolo ebraico.
Il piano di insediamento avrebbe dovuto essere sviluppato
dalla Società degli ebrei e dalla Jewish Company che avrebbero
cornordinato la liquidazione degli interessi ebrei negli stati d’origine, il
trasferimento nella nuova terra, gli aspetti logistici dei nuovi insediamenti. «I
poveri dovranno andare per primi per disboscare terreni e coltivare i campi […]
costruiranno strade, ponti, ferrovie, telegrafi; regoleranno i letti dei fiumi
e costruiranno le loro case».
Nascita
dell’antisionismo: l’Agudat Yisrael
La
proposta fu quasi subito contrastata da alcuni gruppi di ebrei ortodossi
tedeschi, ungheresi e polacchi che, nel 1912 fondarono l’Agudat Yisrael (o
Agude), opponendosi alla secolarizzazione proposta dal sionismo. L’Agude era il
movimento più in vista della galassia antisionista ebraica: altre
organizzazioni, nate dopo quella teorizzata da Herzl, come il Bund (un
movimento socialista ebraico), avversavano la fondazione di uno stato ebraico
e, con esso, l’aliyah, la migrazione degli ebrei verso la Terra
Promessa (Eretz
Yisrael).
Attoo
ai gruppi antisionisti gravitavano pensatori autonomi che, con il loro
contributo, davano spessore filosofico e culturale all’antisionismo.
Uno di
questi, e anche uno dei primi a criticare il sionismo, fu Hermann Cohen
(1842-1918), filosofo tedesco neokantiano e contemporaneo di Friedrich Nietzsche,
secondo cui l’unica possibilità che le comunità ebraiche avrebbero avuto per
sopravvivere sarebbe stata quella di perseguire una politica di «integrazione
nella modea nazione-stato». Insomma, rimanere nei paesi in cui si trovavano
cercando di partecipare, a diversi livelli, alle attività politiche, sociali ed
economiche degli stessi. Cohen negava, dunque, la necessità di possedere una
terra che ospitasse gli ebrei, contrapponendosi alla tesi di Herzl.
Ma se
Hermann Cohen basava la sua tesi su una visione prettamente pragmatica e non
discostando il suo pensiero dal secolarismo, un suo seguace, Steven
Schwarzschild (1924-1989), sviluppando le sue tesi pacifiste attraverso un
intenso dialogo con Thomas Merton, spostò il dibattito sull’ambito religioso.
Schwarzschild
presagì, come la filosofa e scrittrice Hannah Arendt (1906 – 1975), che la
nascita di Israele avrebbe rischiato di portare un insanabile conflitto con i
palestinesi e avrebbe contribuito a far prevalere la concezione secolare di
stato su quella religiosa. In questo modo, secondo il filosofo e rabbino
tedesco, il sionismo avrebbe allontanato pericolosamente gli ebrei da Dio.
Il
pensiero di Schwarzschild fu influenzato anche da un altro rabbino
antisionista: Joel Teitelbaum (1887-1979), fondatore del movimento Satmar,
il primo grande gruppo di ebrei ortodossi che si oppose (e che tuttora si
oppone) allo stato di Israele. Il Satmar, che deve il nome al villaggio della
Transilvania di Satu Mare, nacque l’8 settembre 1905. Teitelbaum fu, tra gli
ebrei ortodossi, il più radicale nel condannare il sionismo. Il punto di
partenza da cui il rabbino – e, in seguito, tutti i movimenti religiosi venuti
dopo il Satmar – prese le mosse per argomentare la sua contrarietà allo stato
israeliano fu la trattazione di un passo del Talmud (testo sacro dell’ebraismo, ndr) di Babilonia
(ketubot 111a) secondo cui il popolo ebraico, in passato, ebbe sigillato un
patto con il Signore in base al quale:
1. Israele
(Eretz Yisrael) non avrebbe «eretto un muro» (cioè non
avrebbe conquistato la terra promessa con la forza);
2.
Israele che non si sarebbe ribellato contro le nazioni del mondo (cioè gli
ebrei avrebbero obbedito ai governi del loro esilio);
3. i popoli
non ebrei non avrebbero oppresso troppo Israele.
Tradire
quel patto con la fondazione di uno stato di Israele avrebbe trasformato il
sionismo nella «più grande forma di impurità spirituale del mondo intero».
Sarebbe stato proprio questo peccato a scatenare le punizioni divine a cui gli
ebrei sarebbero stati sottoposti nel corso della storia, compresa, secondo
Teitelbaum, la shoah (l’olocausto, ndr). Questa tesi, cinica se vogliamo, è ancora oggi condivisa dalla
maggior parte dei Edah Haredit, le comunità ultra ortodosse che vivono
sia dentro che fuori Israele.
Il
rifiuto del sionismo da parte dei Satmar fu (ed è) pressoché totale e coerente:
nel 1959, per la visita di Joel Teitelbaum alla Terra Promessa, il movimento
organizzò un treno apposito privo di qualsiasi riferimento allo stato di
Israele, mentre dopo la Guerra dei Sei Gioi (1967) ai membri della comunità
che vivevano in Israele il movimento proibì di pregare davanti al Muro del
Pianto e in altri Luoghi Santi ebraici di Gerusalemme per evitare ogni
legittimazione dello stato israeliano. Persino la lingua parlata dai Satmar e
insegnata nelle loro scuole è l’yiddish (lingua
germanica parlata dagli Ebrei originari dell’Europa orientale e scritta con
l’alfabeto ebraico, ndr) e non ebraico moderno, il che isola
ulteriormente la comunità dal resto di Israele. Per aiutare socialmente i
119.000 aderenti a questa scuola ebraica, divisi principalmente tra il
quartiere di Williamsburg, a New York, e quello di Mea Shearim, a Gerusalemme,
sono state create fondazioni come la Bikur Cholim che si occupa del
campo sanitario e la Keren Hatzolah, che sovvenziona gli ebrei indigenti
residenti in Israele e le yeshiva (istituzioni
educative ebraiche, ndr).
La
seconda scuola ebraica ortodossa antisionista più nota è quella dei Neturei
Karta, nome aramaico che significa «Guardiani della città», secondo un
passo talmudico in cui si afferma che i veri guardiani della città non sono i
soldati, bensì gli studiosi della Torah (la
fonte primaria dell’ebraismo, ndr). Meno numerosi dei Satmar, i
Neturei Karta furono fondati dal rabbi Aharon Katzenelbogen nel 1938
distaccandosi dall’Agudat Yisrael. Molti dei membri originari erano vecchi yishuv, «coloni», che vivevano in Palestina ancora prima della fondazione di
Israele sopravvivendo grazie alle donazioni della Diaspora ebraica. Dediti allo
studio della Torah, i Neturei Karta, così come la maggior parte
degli ebrei ortodossi, ebbero subito contrasti con i nuovi coloni ebraici
arrivati in Palestina dopo la fondazione di Israele. Questi ultimi, infatti,
che dovevano provvedere da soli al loro sostentamento lavorando duramente nei
campi, guardavano con disprezzo chi contrastava la loro patria rifiutando di
sostenerli e al tempo stesso evitava il lavoro manuale.
L’antisionismo
dei Neturei Karta oggi si spinge ben oltre agli altri gruppi ortodossi
arrivando anche a intrattenere rapporti con l’Iran e Hamas. Delegazioni di
questo gruppo ebraico, infatti, sono state più volte invitate in Iran (nel 2006
direttamente da Ahmadinejad per partecipare alla Conferenza sulla Revisione
dell’Olocausto a Teheran, in cui presenziavano anche negazionisti e
revisionisti della shoah), mentre nel 2005 alcuni membri
parteciparono alla Marcia per la Liberazione di Gaza.
Il
genero di rabbi Aharon Katzenelbogen, Moshe Hirsch (1923-2010), fu anche consigliere del ministro per
gli Affari ebraici del governo di Yasser Arafat.
L’antisionismo
dei Neturei Karta viene spesso espresso in piazza con manifestazioni. Quasi
tutte le fotografie proposte dai media che mostrano ebrei ortodossi con
striscioni antisionisti e bandiere palestinesi, ritraggono loro raduni. Il
sionismo, infatti, per loro è sinonimo di colonialismo, e quest’ultimo,
portando alla «perdita di vita e all’oppressione, è una profanazione della
volontà di Dio».
Sbaglia,
comunque, chi vede negli ebrei ortodossi un possibile alleato politico alla
causa palestinese: battersi per il diritto dei palestinesi di vivere nella loro
terra, infatti, non è, per loro, una questione di diritti umani o di politica
(entrambe espressione del secolarismo), ma una semplice risposta alla volontà
del Signore.
Da Gerusalemme a New
York
Altri
gruppi di Ebrei ortodossi completano la complessa e variegata galassia
antisionista ebraica. Quasi tutti si concentrano a
Gerusalemme nel quartiere di Mea Shearim, considerato da molti uno spaccato di
vita medioevale. È, naturalmente, un’esagerazione, ma è anche vero che chi si
addentra tra le vie di quest’area, così come in quella di
Williamsburg a New York, ha l’impressione di essere ricondotto a una società
tradizionale che si ritrova nelle fotografie precedenti la guerra. Il bianco e
il nero sono i colori che contraddistinguono queste comunità.
All’ingresso
del quartiere cartelli avvertono i turisti di «non passare con vestiti
immodesti e vanitosi», mentre altri manifesti denunciano Israele e il sionismo
specificando, di volta in volta, che «gli ebrei non sono sionisti», «i sionisti
non sono ebrei, ma razzisti», e che le varie comunità «pregano D-o (Dio)
affinché ponga immediatamente fine al sionismo e all’occupazione».
Lungo le
strade gli uomini coprono il capo con i shtreimel o kolpik a seconda del gruppo a cui appartengono, da cui penzolano i payot, i boccoli, lasciati crescere per rispettare il comandamento della
Torah tratto dal Levitico 19,27. Anche nei giorni più caldi molti indossano il bekishe, il soprabito nero o una giacca, sempre nera.
Le donne
devono vestire tzniyut, modestamente. Al sesso femminile è fatto
obbligo di indossare gonne che coprano il ginocchio sin dal compimento del
terzo anno d’età, e di coprire le altre parti del corpo con camicie a maniche
lunghe e colli allacciati. Dopo il matrimonio, un tichel avvolge il capo in modo da non mostrare i capelli. Tra i Satmar molte
donne si rasano addirittura il capo cosicché le ciocche non sporgano dal
foulard.
Le
comunità di Mea Shearim vivono in un mondo separato in cui l’unica legge
vigente è quella della Torah, rispettata, nel limite del possibile, alla
lettera. Durante lo shabbat (il riposo del sabato, ndr) nessun apparecchio elettrico può essere utilizzato, nessun mezzo a
motore può circolare, nessun negozio è autorizzato ad alzare le serrande.
Una vita tra studio e
famiglia
In
generale, sono chiamati Haredi (Haredim) gli ortodossi più conservatori.
Tra i media sono conosciuti come «ultra ortodossi». Gli uomini sono dediti allo
studio dei testi sacri, mentre le donne si occupano della famiglia,
generalmente molto numerosa. Questo porta a due conseguenze: la povertà diffusa
e l’altissimo incremento demografico, due temi che preoccupano moltissimo la
dirigenza israeliana.
Oggi gli
Haredi nello stato israeliano rappresentano l’11,7% della popolazione con un
tasso di incremento del 6-7% annuo. Spezzando la piramide demografica e
prendendo la fascia d’età al di sotto dei 5 anni, il 30% è composto da bambini
provenienti da famiglie ultraortodosse.
Lo
sconvolgimento nella società israeliana sarà enorme: già oggi la metà degli
studenti israeliani che frequenta le scuole primarie è inserito in strutture
ultraortodosse o arabe, entrambe antisioniste. Chi continua gli studi nelle yeshiva non avrà un’educazione economica adeguata ad affrontare le insidiose
regole del mercato rischiando di indebolire la classe manageriale israeliana e
lo stesso stato, che attualmente deve mantenere gran parte delle comunità
ultraortodosse mediante assegni di mantenimento. In un rapporto del 2010, la
Banca di Israele ha stimato che il 60% degli Haredi sono poveri e dipendono
unicamente dalle sovvenzioni statali o dagli aiuti provenienti dalle comunità
ebree residenti fuori Israele.
La questione del
servizio militare
Gli
ebrei ortodossi, inoltre, rifiutano di prestare servizio militare nelle Idf (Israelian
Defence Forces), cosa che preoccupa i vertici militari e indigna il resto
della popolazione, obbligata a prestare servizio all’interno delle forze armate
per due anni, nel caso delle donne, e tre anni per gli uomini.
Nel
marzo 2014 la Knesset, il parlamento israeliano, ha dato il via libera al
processo di revisione della normativa sulla leva militare (la cosiddetta «legge
Tal») rendendola obbligatoria anche per gli studenti ortodossi e causando le
prevedibili proteste degli Haredi. La classe dirigente di Israele dovrà,
comunque, affrontare il problema dell’antisionismo all’interno della nazione la
cui esistenza futura è messa a repentaglio non da interventi estei, ma da una
parte importante del suo stesso popolo.
Piccolo dizionario
Il peso (e il senso)
delle parole
Ebreo, giudeo, israeliano, semita, antisemita, sionismo, sionista: molti
termini riferiti agli ebrei vengono confusi. Per ignoranza, per scelta
politica, per luogo comune. Proviamo a fare un
po’ di chiarezza partendo da una fonte affidabile.
Giudèo – In senso letterale, appartenente
alla tribù di Giuda (personaggio biblico, quarto figlio del patriarca
Giacobbe). In senso stretto, denominazione con cui sono stati indicati gli
Ebrei rimasti dopo la distruzione del regno d’Israele (722 a.C.), quando
l’intero popolo ebraico fu ridotto alla sola tribù di Giuda. Nell’uso comune,
giudeo è sinonimo generico di ebreo, soprattutto al plurale (ma con valore
spesso spregiativo): la religione, la comunità dei Giudei.
Ebreo – Appartenente o relativo all’antico
popolo semitico degli Ebrei, che occupò la Palestina sin dalla seconda metà del
2° millennio a.C., costituendosi in unità nazionale e religiosa, e
distinguendosi dai popoli confinanti soprattutto per il carattere monoteistico
della sua religione.
Israeliano – Cittadino dell’odierno stato di
Israele.
Palestinese – In senso etimologico, indica una
persona abitante, originaria o nativa della Palestina, regione asiatica sud
occidentale estesa tra il mar Mediterraneo e l’altopiano giordano. In senso
stretto, oggi il termine palestinese indica la popolazione araba ivi residente.
Olocausto – Forma di sacrificio praticata
nell’antichità, specialmente nella religione greca e in quella ebraica, in cui
la vittima veniva interamente bruciata: offrire un agnello in olocausto;
celebrare un olocausto. Per estensione s’intende sacrificio totale, distruzione
di gruppi etnici o religiosi, di popolazioni, città (spesso come sinonimo di
massacro, martirio, genocidio): l’olocausto degli Armeni; l’olocausto nucleare
di Hiroshima. Nel linguaggio corrente, per antonomasia, l’olocausto (Shoah)
è quello degli Ebrei nei campi di sterminio nazisti durante la seconda guerra
mondiale.
Ortodosso – In senso generico, è colui che
accetta integralmente le dottrine religiose affermate come vere da una
determinata fede o Chiesa e ne osserva il culto.
Semita – Deriva dal nome Sem del figlio di
Noè, il quale, secondo la tradizione biblica, sarebbe stato il progenitore dei
popoli semitici. Il termine indica un appartenente alle popolazioni semitiche.
Semìtico – Relativo a un gruppo di lingue
(ebraico, arabo, etiopico, aramaico, accadico, fenicio, ecc.), parlate da
popolazioni antiche e modee dell’Asia sud-occidentale e dell’Africa
settentrionale, che un passo biblico (Genesi 10, 21-31) fa discendere, per la
maggior parte, da Sem figlio di Noè. Per estensione, si riferisce ai popoli
parlanti tali lingue, alla loro storia e civiltà.
Sionismo – Deriva da Siòn, nome di una
collina di
Gerusalemme e, per estensione, di Gerusalemme stessa. La parola è stata
coniata, nella forma Zionismus, dallo scrittore tedesco Nathan Bibaum
nel 1882. Sta ad indicare il movimento politico-religioso ebraico, espressione
di vari orientamenti ideologici, costituitosi a Basilea nel 1897 allo scopo di
creare in Palestina uno stato nazionale indipendente per il popolo ebraico, e
conclusosi nel 1948 con la proclamazione dello stato d’Israele. Nell’attuale
pubblicistica politica, il termine è passato a indicare, con connotazione
polemica, la politica di intransigente chiusura del governo di Israele nei
confronti del movimento per l’autodeterminazione del popolo palestinese.
Antisemitismo – Deriva dal termine tedesco Antisemitismus
coniato da Ch. F. Rühs nel 1816. Sta a indicare avversione e lotta contro gli
Ebrei, manifestatasi anticamente come ostilità di carattere religioso, divenuta
in seguito, specialmente nel XX secolo, vera e propria persecuzione razziale
basata su teorie pseudoscientifiche.
Antisionismo – Atteggiamento culturale e politico
di opposizione e contrasto alle espressioni più radicali del sionismo.
Fonte: voci tratte ed elaborate dal «Dizionario
Treccani» (www.treccani.it) a cura di Paolo Moiola.
Tags: Israele, Ultraortodossi, Sionismo
Piergiorgio Pescali