qualsiasi parte del mondo, sono le nutrici dell’umanità. Hanno il senso del
bene comune e del futuro. Nelle aree povere sono il primo argine contro la
fame. Nei paesi ricchi sono abili contro gli sprechi. Anche all’Expò se ne
parlerà.
Una delle tante contraddizioni che segnano il
nostro mondo riguarda la relazione tra popolazione femminile e alimentazione.
Ovunque le donne coltivano, cucinano, somministrano il cibo, ma sono proprio
loro, assieme ai bambini, che più soffrono di fame e malnutrizione.
La condizione di povertà, subalteità economica,
emarginazione sociale e, talvolta, di sfruttamento in cui vivono milioni di
donne si riflette sul loro stato nutrizionale. Le bambine che vivono nelle aree
rurali povere, vengono nutrite di meno rispetto ai loro coetanei maschi, anche
se sono loro che aiutano le madri a preparare il cibo e a procurare l’acqua che
serve a dissetare la famiglia.
Gli studi dell’Ifad (il Fondo internazionale per lo
sviluppo agricolo delle Nazioni unite) dimostrano che negli ultimi venti anni
la partecipazione delle donne al lavoro agricolo – anche a causa dei conflitti
e delle migrazioni maschili – è aumentata di un terzo.
In
Africa il 30% delle piccole attività agricole è condotto da donne che producono
l’80% del cibo per auto consumo, ma non hanno titoli di proprietà, né hanno
accesso al credito e alla formazione.
Combattere la fame, assicurare il diritto universale a
un’alimentazione sana e sufficiente passa dal superamento della disuguaglianza
di genere.
Queste sono le ragioni per cui l’Expò di Milano,
che si intitola «Nutrire il pianeta, energia per la vita», intende riconoscere
un particolare rilievo al nesso tra donne e nutrizione.
Il
tema sarà trasversale ai vari eventi e momenti: se ne occuperanno le
organizzazioni della società civile, presenti nel padiglione Cascina Triulza.
Verrà affrontato dalle istituzioni inteazionali, in particolare dalle agenzie
dell’Onu dedicate. Verrà incluso nelle iniziative promosse dai governi, in
primis quello italiano. Allo scopo il ministero degli Affari esteri (Mae) ha
lanciato, già nel 2013 a Torino, We Expo (Women for Expo), un progetto
che mira a tenere accesi i riflettori sulla condizione femminile, arricchendo
il dibattito, ma anche avanzando proposte che possano essere tradotte in azioni
concrete. In un documento del Mae si legge: «chiediamo di rafforzare il potere
delle donne in agricoltura, attraverso l’impiego di tecnologie che rendano meno
usurante il lavoro, assicurando loro pari accesso alla proprietà della terra,
al credito, alla formazione e ai servizi nelle aree rurali, nel caso di lavoro
salariato garantendo loro le stesse paghe degli uomini, applicando norme e
tutele che le proteggano dalla violenza e dallo sfruttamento, garantendo la
loro educazione sia primaria che professionale».
We Expo si propone come uno strumento culturale che
interpella decine di donne chiedendo loro di raccontare un piatto o un alimento
che ha un particolare valore; così donne di paesi, culture, professione, età
diverse stanno mobilitandosi attorno alle grandi questioni al centro
dell’agenda di Milano, attraverso un loro personale racconto di vita. Tra di esse alcune famose come Shirin Ebadi,
l’avvocata iraniana Nobel per la Pace e Vandana Shiva, l’ambientalista indiana
che si oppone alle multinazionali dell’agro industria, la scrittrice Simonetta
Agnello Hoby e l’attrice Lella Costa.
Tutte
si esprimono sul nutrimento, non solo del corpo, ma anche della libertà e della
mente, dimostrando come la sostenibilità del pianeta passi attraverso lo
sguardo, l’intelligenza e le mani delle donne.
Le donne possono realizzare un modo diverso di produrre
e distribuire il cibo, perché fa parte della loro natura considerare il cibo
non tanto una merce o un prodotto, quanto la fonte della vita, per questo se ne
preoccupano in prima persona. Indipendentemente dalla loro estrazione sociale,
culturale, religiosa, le donne sono nutrici, foiscono il cibo alle persone
che vivono loro accanto. Hanno il senso del bene comune e del futuro, sanno
che, per poter continuare a vivere, bisogna aver cura degli altri: dei propri
famigliari, ma anche della comunità, del territorio, delle risorse naturali,
delle generazioni future.
Nelle
aree povere del mondo, dove il cibo scarseggia, l’azione delle donne è il primo
argine, il vero baluardo contro la fame dei più deboli, per questo dovrebbero
essere loro le prime destinatarie degli aiuti.
Nei
paesi ricchi, le donne possono essere le abili avversarie degli sprechi
alimentari, ingiustificati e inaccettabili: in un mondo dove 800 milioni di
persone soffrono di fame cronica un terzo di tutto il cibo, circa 1,3 miliardi
di tonnellate l’anno, viene sprecato o va perso.
Tags: Donne, lavoro, alimentazione, cibo
Sabina Siniscalchi