IV CONVEGNO MISSIONARIO NAZIONALE /2
Sacrofano (Roma) 20-23/11/2014
Seconda parte delle
«Linee e orientamenti pastorali per un rinnovato impegno missionario».
Testo
non ufficiale.
D. QUELLO CHE NOI
ABBIAMO NARRATO, ORA LO DESIDERIAMO
Spinti e stimolati dall’ascolto della Parola e dalle sue
declinazioni e implicazioni storiche, sociologiche, filosofiche, antropologiche
e culturali che la rendono Parola incarnata nel quotidiano, cerchiamo di
raccogliere alcune provocazioni da quanto è emerso dal nostro convegno. […]
Ciò che desideriamo non può «cadere dal cielo»: deve essere il
frutto dello sforzo di una Chiesa che si sente in cammino, e soprattutto in
uscita verso quelle periferie geografiche ed esistenziali tanto citate quanto,
spesso, ancora sconosciute.
Il primo grande desiderio emerso dal convegno e quello di
rimettere al centro del nostro annuncio Gesù morto e risorto e la gioia
dell’incontro personale con lui attraverso un contatto assiduo con la Parola di
Dio. Come uno slogan, la frase «Più Parola e meno dottrine» è stata gridata in
più occasioni e in molti modi.
Nelle parrocchie, ci si sente spesso privati del contatto diretto
con la Parola di Dio, sebbene siano passati ormai oltre cinquant’anni
dall’inizio del Concilio Vaticano II: rimettiamoci in ascolto della Parola,
attraverso tutte quelle forme (lettura popolare della Bibbia, gruppi biblici,
gruppi di ascolto, scuole della Parola) che puntano a restituirla quale
veramente è, ossia parola di Dio rivolta a tutto il suo popolo, e non solo a
una parte privilegiata di esso.
Il secondo desiderio è quello di riuscire a «metterci più testa»
in ogni azione pastorale, in particolare in quella volta a fare della comunità
dei credenti una comunità missionaria.
Ci siamo scoperti deboli sulla capacità di individuare nuovi
cammini e nuove strategie perché deboli di pensiero; soprattutto, fatichiamo ad
avere un pensiero forte e arricchente intorno alla missione. Per riuscire ad
acquisirlo, abbiamo la necessità di essere accompagnati e aiutati a vari
livelli: mettiamoci, quindi, in cammino e aiutiamoci reciprocamente.
AIUTARE: I PRETI
Si è avvertita una stanchezza intorno alla dimensione missionaria
soprattutto nel nostro clero, a ogni livello. Aiutiamoci a essere vescovi e
sacerdoti missionari, sin dai primi istanti della nostra formazione.
Aiutiamoci a studiare la missione. Ciò può avvenire attraverso
l’obbligatorietà dell’istituzione e della frequentazione di corsi di
missiologia, ma più in generale con l’attenzione ai temi della mondialità e
dell’annuncio del Vangelo nelle varie culture.
È auspicabile che nelle equipe formative dei seminari sia presente
una figura (sacerdotale o laicale) di missionario rientrato.
Sono da incrementare le esperienze (soprattutto estive) che aprono
alla dimensione missionaria dell’annuncio, tanto «lontane» (esperienze di
missione in altre chiese) quanto ai lontani (esperienze caritative e di
frontiera nella nostra realtà italiana).
Nelle nostre case canoniche, o comunque nel nostro stare in mezzo
alla gente, aiutiamoci a essere meno burocrati e funzionari del culto o
dell’amministrazione e a «odorare sempre di più di pecora», come ci ricorda
Papa Francesco.
Nelle nostre celebrazioni liturgiche, in particolare
nell’Eucaristia domenicale, aiutiamoci a celebrare il Cristo Risorto attraverso
liturgie vive e non ingessate, che riescano a dire qualcosa alla nostra gente,
che coinvolgano il più possibile anche coloro che provengono da Chiese
cristiane sorelle distinte per rito o per confessione, che creino ministerialità
condivisa (cominciando dall’animazione), che possano essere celebrate anche
fuori dai confini del tempio parrocchiale, in quegli spazi della società in cui
non si sente mai un messaggio di vita e di speranza. Soprattutto che siano
memoriali vivi della Passione e Morte del Signore, nella frazione del Pane e
nella lavanda dei piedi, ossia nella comunione tra preghiera e carità, tra esse
inscindibili e capaci di condurre l’Eucaristia domenicale oltre il canto
finale.
Vivere l’Eucaristia come memoriale vivo di
carità significa fare memoria di tutta la vita di Gesù, del suo parlare,
del suo stile di vita d’incontro e di annuncio.
Aiutare: le comunità
È sul territorio che una Chiesa in uscita e missionaria ha bisogno
di far sentire la propria forza, in considerazione del fatto che la forza della
testimonianza viene dal laicato, dall’associazionismo, dalla realtà dei
movimenti e delle nuove comunità, e da quel mondo religioso, femminile e
maschile, spesso lasciato ai margini anche delle scelte e dell’agire pastorale.
Aiutiamoci a «narrarci» nelle parrocchie e nel mondo della scuola
(a ogni livello e grado di istruzione), della cultura e del lavoro. Aiutiamoci
a raccontare, a dire senza paura ciò che abbiamo sperimentato soprattutto in
relazione ai contatti con altre culture e altri modi di vivere la fede.
In questo ambito sono fondamentali le figure dei missionari
rientrati, definitivamente o per periodi brevi, e di quei giovani di ritorno da
esperienze più o meno prolungate di missione. Come ha ricordato ancora Papa
Francesco incontrandoci in udienza durante il convegno: questo non si fa per
proselitismo, ma per comunicare la gioia dell’incontro con il Signore.
Aiutiamoci a non perdere lo spirito dell’ad gentes e, di
conseguenza, a continuare a mandare laici, religiosi, sacerdoti che – inviati
da una Chiesa a un’altra Chiesa – vivano un’esperienza di cooperazione e di
annuncio.
Non può essere che, dopo neppure sessant’anni dalla promulgazione
dell’enciclica Fidei Donum, questa figura di cooperazione missionaria
debba essere destinata a morire. Non può essere che (dopo una storia così
gloriosa come quella italiana) non esistano più vocazioni alla missione «ad
vitam»: se ciò avviene all’interno della Chiesa – che per sua nascita e natura è
missionaria – significa che c’è qualcosa da sanare alla radice.
Occorre principalmente da parte dei vescovi meno resistenza a
incoraggiare le partenze, perché un cristiano che lascia la propria diocesi per
annunciare il Vangelo non è perso, è donato.
In questo dinamismo, aiutiamo pure gli Istituti Missionari
a rimanere se stessi, fedeli all’azione missionaria ad gentes e ad
vitam. Ben lungi dall’aver esaurito il proprio compito, essi devono
piuttosto avere ancor più ampia incidenza nella Chiesa come memoria della
missione, come stimolo di animazione missionaria, e come richiamo alla
responsabilità che la Chiesa tutta ha nell’evangelizzazione universale.
Aiutiamoci anche da un punto di vista missionario a sentirci
Chiese locali «in rete», per creare collaborazioni missionarie che travalichino
i confini delle diocesi.
Soprattutto – ma non solo – nelle diocesi più piccole o nelle regioni
che fanno più fatica a sostenere da sole esperienze di cooperazione missionaria
ad gentes, si sperimentino e si incrementino esperienze interdiocesane
e/o interregionali di invio comune di laici, sacerdoti e religiose, magari con
il sostegno formativo ed economico di diocesi che storicamente hanno una
tradizione più assodata di invio missionario.
«Travalicare i confini» significa anche
creare un lavoro di rete con tutte quelle realtà che – pur non professando il
nostro stesso Credo religioso, o comunque non nelle nostre modalità –
condividono con noi la stessa speranza e la stessa carità. A partire dal
dialogo ecumenico e interreligioso, fino allo scambio sui valori condivisi con
gli uomini e le donne di ogni cultura. Puntiamo sempre più (nello spirito del
Concilio Vaticano II) alla ricerca della verità «in modo rispondente alla
dignità della persona umana e alla sua natura sociale, e cioè a una ricerca
condotta liberamente, con l’aiuto dell’insegnamento o dell’educazione, per
mezzo dello scambio e del dialogo […] con cui gli uni rivelano agli altri la
verità che hanno scoperta o che ritengono di avere scoperta», lavorando per la
costruzione di un mondo più giusto e di una società più fratea.
Aiutiamoci a corroborare con la dimensione missionaria la
formazione delle nostre comunità, soprattutto di quelle nelle quali si vive un
maggior impegno ecclesiale (in parrocchia, ma anche nelle piccole comunità
cristiane, nelle associazioni, nei movimenti, nelle nuove esperienze di Chiesa «di
strada» e di evangelizzazione di frontiera).
Tra i formatori e i catechisti, è bene iniziare a dare maggior
spazio anche a quei cristiani (e non sono pochi) che vivono nei nostri paesi e
nelle nostre città e provengono da Chiese di altri paesi in cui già erano
impegnati come catechisti, come ministri e come formatori o animatori
liturgici. Aiutiamoci prima di tutto a evitare pietismo e assistenzialismo nei
loro confronti, e a vederli come soggetti di testimonianza cristiana invece che
come oggetti di attenzione e di carità.
E insistiamo anche su cammini di formazione e informazione alla
mondialità e all’intercultura che aiutino i nostri cristiani a conoscere e
capire chi proviene da altri paesi per favorire sempre più una seria e onesta
cultura della reciproca integrazione.
È stato rimesso al centro il tema della comunicazione, offrendo ai
partecipanti un convegno dallo stile comunicativo efficace, attuale e
propositivo.
Aiutiamoci a cambiare il modo di fare comunicazione. Aiutiamoci a
cambiare il linguaggio comunicativo che utilizziamo nell’annuncio del Vangelo,
a partire dalla presa di coscienza che, come Chiesa, siamo ancora molto
indietro sotto questo aspetto rispetto al bombardamento mediatico che forma
mentre informa.
Non possiamo più comunicare solo frontalmente e verbalmente. Non
possiamo più guardare alle nuove strategie comunicative (rete, social
network, chat e app) con diffidenza, paura e ostracismo. Il
linguaggio dell’immagine era stato compreso e attuato già dai nostri Padri
nella fede, quando costruivano chiese decorate di affreschi, mosaici e pitture.
Aiutiamoci a investire tempo, energie e risorse anche economiche
per ritrovare una strategia comunicativa efficace: l’idea di un portale web
unico per la comunicazione nel mondo missionario non può più essere messa da
parte.
In questa assemblea di Sacrofano i capelli bianchi non erano in
prevalenza, pur costatando l’innalzamento dell’età media dei missionari
italiani. I giovani sotto i 35 anni presenti in sala erano oltre 200.
Se c’è ancora qualcosa che sa attirare in maniera accattivante i
giovani al discorso di fede e alla vita di Chiesa, o comunque all’amore per i
valori che contano, è proprio la missione, con il suo bagaglio di attenzione ai
poveri, agli ultimi, agli emarginati, ai lontani e ai diversi di ogni
categoria.
Aiutiamoci a mantenerci giovani. Aiutiamo i giovani a essere ciò
che sono, in altre parole il presente, e non il futuro della Chiesa e della
società. Non dobbiamo avere timore ad affidare loro compiti di responsabilità
anche a livello decisionale nelle nostre comunità: non dobbiamo avere paura di
perdere qualcuno di loro, se ci dice che vuole fare un’esperienza prolungata di
missione; non lesiniamo nell’aiuto, anche materiale, che possiamo dare loro per
attivare strategie di animazione missionaria o per creare attività caritative e
di apertura ai bisognosi e ai lontani.
E – come ci ha detto ancora una volta Papa Francesco – iniziamo da
subito: dai bambini (il termine «bambini» nel suo discorso è stato ripetuto sei
volte, tanto quanto il termine «missione»). «I bambini devono ricevere una
catechesi missionaria»: non possiamo più tirarci indietro da questo compito.
Molto bella e stimolante è stata l’assenza del classico «piagnisterno»
nostalgico dei tempi passati, quelli in cui «si era di più e si faceva meglio».
Si è invece percepito in maniera palpabile che c’è ancora tanta
voglia di mettersi in gioco, e che il fuoco della missione non si è
affatto affievolito. Possiamo quindi dire che il primo obiettivo del convegno («riaccendere
la passione dei singoli e delle comunità per la missio ad gentes e inter
gentes») è stato già raggiunto.
L’entusiasmo avvertito è stato davvero grande. Da questo momento
in poi, dobbiamo decisamente puntare al raggiungimento del secondo obiettivo: «Studiare
nuovi stili di presenza missionaria nella nostra realtà».
Lanciamo, allora, tre slogan finali che possano stimolare
concretamente a qualcosa di forte.Teniamo «in caldo» il convegno.
L’entusiasmo di questi giorni ci spinge a «battere il ferro mentre
è caldo», a «mantenere in caldo» il cibo di cui ci saziamo. Molti hanno
espresso il desiderio di non far passare un altro decennio prima di convocare
nuovamente la Chiesa Italiana alla missione: cercheremo di far tesoro di questa
indicazione. Ma al di là della frequenza del ritrovarci, ci sono molti altri
modi per mantenere alto l’entusiasmo.
Iniziamo, allora, a pensare a come far ricadere a livello locale
(regionale e diocesano) quanto vissuto a Sacrofano. Può essere attraverso
piccoli convegni locali, può essere nell’ordinaria programmazione degli
incontri regionali o diocesani, può essere attraverso momenti di riflessione e
approfondimento (magari anche con percorsi formativi su uno o più ambiti
affrontati al convegno, specie nei laboratori di interesse), dando priorità
alle urgenze della situazione locale. Le modalità sono molteplici, e crediamo
che vadano lasciate soprattutto alla stimolante inventiva di ognuno dei
partecipanti e di chi – rimasto a casa – ha potuto comunque seguire i nostri
lavori.
Non dimentichiamo che uno degli strumenti più validi per quest’opera
di «riscaldamento» e «attizzamento» del fuoco della missione rimane il mondo
del web, dei social network e di tutto ciò che la rete ci mette a
disposizione. Facciamo della rete un ambito
sempre più missionario!
Da parte degli organismi che la Conferenza
Episcopale Italiana mette a disposizione della Chiesa in Italia per
l’animazione, la formazione e la cooperazione missionaria (l’Ufficio
Nazionale di Cooperazione Missionaria, la Fondazione Missio e il Cum
di Verona), come da parte di tutti gli Istituti Missionari presenti in Italia,
viene ribadita la più ampia disponibilità a svolgere la propria funzione di
servizio in appoggio a qualsiasi iniziativa possa servire a mantenere vivo
questo entusiasmo e a individuare percorsi formativi e iniziative a carattere
missionario, sul territorio nazionale e non solo.
Da qualche tempo molti sperimentano, in mille forme, esperienze di
animazione, formazione e cooperazione missionaria, che sono il segno di una
grande vivacità.
Il desiderio è di veder nascere cammini significativi dal
carattere spiccatamente missionario, tanto in favore della missio ad
gentes quanto per la realtà dei lontani che vivono vicini alle nostre case.
Chi «osa» tali cammini, ne comunichi e condivida la bellezza. Sarebbe un modo
veramente molto concreto di realizzare quella «evangelizzazione attraverso la
vita» di cui Papa Francesco ci ha parlato in varie occasioni.
Uscire,
ascoltare,
annunciare
E riprendiamo il nostro cammino con due delle affermazioni più
belle che abbiamo ascoltato in questi giorni, entrambe pronunciate sabato 22
novembre. Una, il mattino, da Papa Francesco, e l’altra il pomeriggio, da padre
Gustavo Gutiérrez. Sono quelle frasi che aprono il cuore, fanno sognare,
mantengono acceso il desiderio di continuare a essere discepoli missionari,
testimoni del Dio della Vita e del Vangelo della Gioia.
«Gioo dopo giorno
[…]
scriviamo una teologia
incarnata, come una lettera d’amore a Dio da parte della sua Chiesa»
(Gustavo Gutiérrez).
«Le diverse realtà
che voi rappresentate nella Chiesa italiana indicano che lo spirito della missio ad gentes deve diventare lo
spirito della missione della Chiesa nel mondo: uscire, ascoltare il grido dei
poveri e dei lontani, incontrare tutti e annunciare la gioia del Vangelo»
(Papa Francesco).
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Il testo qui pubblicato non è ufficiale, ma provvisorio, con
adattamenti,
tagli e correzioni stilistiche, ortografiche e grammaticali a cura di Gigi
Anataloni e redazione MC.
a cura di Gigi Anataloni