Ai confini
dell’Europa / 1: la Transnistria
Regione separatista
della Moldavia, indipendente de facto, la Transnistria è uscita da 23 anni
d’invisibilità in seguito alla guerra in Ucraina e all’annessione della Crimea
alla Russia. Tra la popolazione i sentimenti filorussi sono prevalenti. Mosca
lo sa e per questo non molla la presa.
Lo scalcinato minibus corre sulla strada rotta. In un cigolio di sospensioni porta ogni giorno i lavoratori da una parte all’altra del fiume Nistru (o Dnestr, in russo). Il ponte sulla strada principale per Tiraspol però non si può percorrere. C’è un blindato della 14.ma Armata russa: la forza di interposizione che da 23 anni sorveglia questo confine inesistente. Il bus deve fare un giro tortuoso prima di arrivare a un posto di frontiera che non dovrebbe esserci. Controlli veloci, divise sovietiche d’antan con grossi cappelli, un timbro con falce e martello sul visto. Quando la frontiera scompare in una nuvola di smog, siamo in Transnistria. E il «paese che non c’è» prende forma in tutta la sua realtà. Un mondo concreto, fatto di case e strade, e di gente che ci vive.
Non serve cercarla sulla mappa, perché non c’è. La Pridnestrovskaja Moldavskaja Respublika, per brevità chiamata Transnistria, non è riconosciuta da alcun governo al mondo, eppure ha una sua bandiera, una capitale, una moneta a corso legale e un Soviet supremo. È una sbavatura nella linea retta della storia. Nei giorni in cui l’impero sovietico cominciava a vacillare, una cittadina di provincia della Moldova (Moldavia), Tiraspol, si proclamava capitale di una nuova repubblica socialista sovietica, la sedicesima dell’Urss. Era il 1990, al Cremlino sedeva Gorbaciov e i problemi non gli mancavano. Il presidente fece preparare un decreto di scioglimento della neonata repubblica, ma rimase sulla sua scrivania insieme a mille altre carte. Dopo qualche mese l’Urss non esisteva più. Mentre milioni di ex cittadini sovietici si ubriacavano di libertà e capitalismo, la Transnistria issava la bandiera con falce e martello, la stessa che sventola oggi. La Moldova, anch’essa appena divenuta stato indipendente, ci mise un anno ad accorgersi che quel pezzo di terra oltre il fiume non le apparteneva più. Prima che potesse riprendersela, l’Armata rossa - che non aveva mai abbandonato la regione - imbracciò le armi al fianco degli oltre 300mila russi che vi abitavano. Fu una guerra lampo, morirono alcune decine di persone, poi tutto rimase così com’era. La Moldova non riconobbe mai l’indipendenza della Transnistria. E un lungo oblio avvolse quest’ultima per più di vent’anni. Fino a oggi.
Lo scoppio della rivoluzione in Ucraina ha sottratto di colpo la Transnistria all’invisibilità, portandola all’attenzione dei media inteazionali. Il colpo di mano in Crimea e i ripetuti proclami del Cremlino in difesa della diaspora russa sparpagliata per il mondo post-sovietico, hanno fatto subito guardare a questa piccola repubblica de facto abitata da mezzo milione di persone.
Goveata per vent’anni dallo stesso uomo, Igor Smiov, un politico di provenienza sovietica con due grosse sopracciglia brežneviane, la Transnistria due anni fa ha sorpreso tutti mandandolo in pensione ed eleggendo un giovane presidente, Yevgen Ševčuk. Ex presidente del Soviet supremo, eletto col 75% dei voti, considerato un riformatore, egli rappresenta per molti una speranza di cambiamento. Non sembrano però esserci passi avanti per una soluzione del problema con la Moldova. A dicembre dello scorso anno, all’inizio delle manifestazioni in Ucraina e dei passi di avvicinamento della Moldova all’Europa, Ševčuk ha presentato al Soviet supremo una proposta di riforma costituzionale per importare nel piccolo paese l’intero corpus legislativo russo. Un passo importante per portare «la Transnistria all’interno di un unico mondo russo che favorisca gli interessi geopolitici della Russia per la stabilità in tutta la regione», secondo le sue parole. Già nel 2006 il popolo transnistriano si era espresso in favore dell’unione con la Russia in un referendum plebiscitario: i sì erano stati più del 97%. È chiaro che il referendum di marzo in Crimea (e la sua successiva annessione da parte della Russia) abbia risvegliato gli animi anche a Tiraspol.
Il minibus scarica i suoi passeggeri davanti alla stazione. Tiraspol si trova sulla linea ferroviaria tra Chişinău e Odessa, un tragitto pensato prima che nuove frontiere rendessero il viaggio uno stillicidio di fermate e controlli. Sono pochi gli stranieri che si avventurano fino qui, a parte nostalgici dell’Urss e amanti di viaggi insoliti. Di norma li trovi tutti alla caffetteria Seven Fridays, sulla via intitolata alla Rivoluzione d’ottobre. Nonostante la posizione centrale, non c’è da fare la fila per una tazza di tè. I camerieri sono più dei clienti ed è difficile che le cose cambino finché lo stipendio medio continuerà a essere tra i più bassi d’Europa, inferiore ai 100 dollari. Una fetta di torta vale una giornata di lavoro. E la Moldova non se la passa meglio. È chiaro che, se l’Europa appare lontana, la Russia sembra l’Eldorado. Così, la voce che in Crimea si sono visti raddoppiare lo stipendio da un giorno all’altro dopo l’annessione corre veloce fino a Tiraspol.
Di recente le visite del rappresentante speciale del Cremlino per la Transnistria, Dmytri Rogozin, si sono intensificate. «Noi non solo seguiamo la situazione: ma in base al suo sviluppo prenderemo le misure necessarie. Vi abbiamo aiutato e vi aiuteremo», ha detto durante l’ultima parata del Gioo della Vittoria (la più grande festa russa, in cui si celebra la vittoria contro i nazifascisti durante la Seconda guerra mondiale) che si è tenuta a Tiraspol. Ma per il momento il paese non è riconosciuto dalla comunità mondiale. E l’unico organismo internazionale di cui fa parte - insieme all’Abcasia e all’Ossezia del Sud - è una comunità degli stati non riconosciuti, anch’essa priva di alcuno status giuridico.
Tiraspol interpreta il ruolo di capitale con un pizzico di pretenziosità. È una cittadina sonnolenta che tra i suoi problemi non ha certamente il traffico né la frenesia della vita modea. La sua architettura piatta e anonima è animata da una magniloquente retorica pseudosocialista, che non la ha mai abbandonata dai tempi sovietici. Un busto di Lenin davanti alla Casa dei Soviet, su cui sventola il bicolore con falce e martello; un tazebao con le foto degli eroi locali, cosmonauti, generali dell’Armata rossa, alti papaveri della nomenclatura - c’è anche l’ex presidente Smiov - di fronte all’hotel «Amicizia»; e un grande Lenin di granito, solido e filante come un supereroe dei fumetti, che sembra prendere il volo davanti al palazzo presidenziale. A parte queste, non ci sono poi tante attrattive turistiche a Tiraspol, se non si vuole considerare tale la gloriosa distilleria di brandy «Kvint», riprodotta con orgoglio sulle banconote da cinque rubli.
Due grosse bandiere, una transnistriana e una russa, coprono la facciata del palazzo dell’Università di stato. Qui i nomi delle strade sono in tre lingue: russo, romeno che si parla in Moldova e romeno trascritto in cirillico come su usava ai tempi dell’Urss. Ma la lingua che si sente parlare per strada è il russo, e nelle scuole non si insegna quasi più il romeno. La Transnistria ha avuto il suo momento di notorietà in Italia grazie al film di Gabriele Salvatores Educazione siberiana, tratto dal best seller dello scrittore transnistriano - naturalizzato italiano - Nicolai Lilin. Nel suo libro Lilin racconta un paese sotto il controllo dei criminali, con una polizia violenta e corrotta e bande in continua lotta tra loro. È difficile dire quanto ci sia di vero, anche se, al di là del romanzesco, le polizie di mezzo mondo conoscono la Transnistria come «il buco nero d’Europa». Certo è che i vent’anni di regno di Smiov hanno garantito una gestione oscura della cosa pubblica, ed è immaginabile come uno stato al di fuori di tutte le reti inteazionali e a metà strada tra Europa e Russia possa diventare crocevia di traffici illeciti.
La quasi totalità delle attività commerciali è monopolizzata da un’unica società, la Sheriff, che possiede supermercati e distributori di benzina, tivù e alberghi, oltre che la locale squadra di calcio e il nuovissimo stadio da 160 milioni di euro (www.fc-sheriff.com). La Sheriff è uno stato nello stato, i suoi vertici sono membri del Soviet e la società stessa ha finanziato per due decenni Smiov, prima di decidee la caduta appoggiando Ševčuk. Uno dei primi provvedimenti del nuovo presidente è stato però quello di abolire tutti i privilegi della Sheriff, il che lascia intuire il livello di commistioni e lotte tra il potere politico e quello economico.
Sotto il monumento ad Alexander Suvorov, il generale russo che fondò la città nel 1792, alcune vecchie babushke (nonne) vendono su teli stesi per terra poveri oggetti di casa: un centrino, dei mestoli di legno, un paio di scarpe logore, qualche vecchia medaglia sovietica. Gli anziani sono probabilmente la classe sociale che se la passa peggio in Transnistria. Le pensioni sono ridotte al lumicino e lo stato sociale è insufficiente a garantire il loro benessere. Non possono emigrare, come hanno fatto e continuano a fare in molti, né andare a lavorare a Chişinău ogni giorno. È soprattutto tra queste anziane donne - chissà perché tutte sopravvissute ai loro mariti - che si radica il più profondo sentimento filorusso, che nasce soprattutto dalla nostalgia per il passato mista al ricordo di un livello di vita migliore.
Alcuni ragazzini fanno lo slalom tra le mercanzie con i loro skateboard. I giovani, in fondo, non se la passano tanto meglio. La vita qui non è il massimo, gli svaghi sono pochi e a sera la città cala in un buio silenzioso. Alcuni si ritrovano nella pizzeria Andy’s. Una margherita costa 70 rubli transitriani, bisogna dividerla e farla durare. Anna lavora qui, ma vorrebbe andare a vivere in Europa. «Adesso forse potrò, ora che per i cittadini moldavi non c’è più bisogno di visto. Lavoro, metto i soldi da parte e poi si vedrà». Anna ha il passaporto moldavo, ma non solo. Ne ha anche uno russo e uno transnistriano, ma quest’ultimo è poco più di un souvenir, proprio come i rubli che stampa la banca centrale di Tiraspol. «Non serve a niente, non è buono per nessun paese».
Anna si dice russa, perché russi sono i suoi genitori e russa la sua lingua. È una condizione comune a molti: il primo passaporto lo hanno avuto con l’indipendenza della Moldova dall’Urss, poi quello transnistriano dopo la breve guerra civile, infine quello russo per diritto di sangue. È un lungo filo rosso che lega Tiraspol a Mosca. Alle scorse elezioni presidenziali in Russia, quando furono aperti dei seggi anche qui, Ševčuk invitò i transnistriani con passaporto russo a votare per Putin, «per il rafforzamento dell’unione tra la Transnistria e la grande Russia».
Se il piccolo stato al di là del Nistru diventerà parte della grande Federazione russa, si chiuderà un capitolo rimasto aperto dal crollo dell’Urss, ma l’Europa si troverà ad affrontare una nuova annessione di Mosca. Con la Russia alle porte dell’Unione europea, la strada del dialogo sarà tortuosa ma obbligata.
* Danilo Elia, giornalista, collabora con «Osservatorio
Balcani e Caucaso» e con altre testate. Si occupa di spazio postsovietico con
particolare attenzione all’area slava, Russia, Bielorussia e Ucraina. Autore
inoltre di libri di viaggio, ha recentemente pubblicato Intoo al Mare per Mursia. Cura il blog www.daniloelia.it e twitta da
@daniloeliatweet.
Scheda
Nato nel 2000, con sede a Rovereto (Trento), l’«Osservatorio Balcani e Caucaso» (Obc) si occupa dei paesi del Sudest europeo e di quelli appartenenti all’area post-sovietica. Segue in totale 26 stati attraverso 50 corrispondenti in loco, che vanno ad aggiungersi a giornalisti, ricercatori e studiosi. L’approccio di lavoro è multimediale e multilingue. Il suo portale web raggiunge un pubblico di oltre 130.000 visitatori unici ogni mese. Oltre ai riconosciuti meriti d’informazione e ricerca, l’Obc presenta altre due peculiarità di rilievo: è finanziato da entità pubbliche (in primis dalla Provincia autonoma di Trento) e lavora in modalità Copyleft.
La redazione di MC ringrazia l’Osservatorio per aver accettato la proposta di collaborazione giornalistica sui paesi di un’area tanto culturalmente lontana quanto geograficamente vicina. Con la serie «Ai confini dell’Europa» MC si propone di offrire un’informazione completa e attendibile. Obiettivo ambizioso in un’epoca caratterizzata dall’iperinformazione e troppo spesso da un basso livello qualitativo.
Il
sito web di Obc:
• www.balcanicaucaso.org
Il sito è in lingua italiana, inglese e serbocroata.
Una
striscia di terra abitata da moldavi, russi e ucraini.
La Transnistria è una sottile striscia di terra in
territorio moldavo, lunga circa 400 chilometri, delineata a Ovest dal fiume
Nistru/Dnestr e a Est dal confine con l’Ucraina. A chiamarla Transnistria
siamo solo noi stranieri, perché il suo
nome ufficiale è Pridnestrovskaja Moldavskaja Respublika, cioè «Repubblica
Moldava del Dnestr» o, abbreviato, Pridnestrovie. È uno stato
indipendente de facto dal 1990, anno in cui dichiarò l’indipendenza
dall’Unione Sovietica. È abitata da circa mezzo milione di persone di diversa
etnia. Secondo i dati del censimento effettuato dalle autorità del paese nel
2004, l’ultimo disponibile, la sua popolazione è composta per il 32,1% da
moldavi, il 30,3% da russi, il 28,8 da ucraini, oltre che da minoranze bulgare,
gagauze, ebraiche e polacche. La sua capitale è Tiraspol, situata proprio sul
confine conteso con la Moldova. La sua moneta è il rublo transnistriano, che si
può spendere o cambiare solo all’interno del paese.
L’indipendenza della Transnistria non è stata riconosciuta
da nessun paese al mondo. Insieme all’Abcasia e all’Ossezia del Sud ha
costituito una comunità degli stati privi di riconoscimento. Da oltre vent’anni
si trascinano negoziati di pace con la Moldova, ma nessun passo in avanti è
stato fatto. In Transnistria è tuttora di stanza la 14° Armata russa che svolge
compiti di forza di interposizione. La recente firma dell’Accordo di
associazione della Moldova con l’Unione europea ha fatto riemergere
prepotentemente il problema del piccolo stato ribelle.
Il suo ex presidente, Igor Smiov, che ha guidato il
paese verso l’indipendenza e per i successivi venti anni, aveva dichiarato che
il suo compito si sarebbe esaurito con il riconoscimento internazionale della
Transnistria, ma non ha fatto in tempo a mantenere la sua parola. Il suo
successore, tuttora in carica, Yevgen Ševčuk, si è spinto oltre, dichiarando più volte di voler
favorire l’unione della Transnistria con la Federazione russa. Dopo lo scoppio
della crisi in Ucraina e l’annessione della Crimea da parte della Russia, il percorso
verso l’unificazione ha avuto un’accelerazione. Da ultimo, lo scorso marzo,
alcuni membri del Soviet supremo (il parlamento nazionale) hanno formalmente
fatto richiesta di entrare a far parte della Federazione russa.
La situazione religiosa
(al Patriarcato di
Mosca)
Oltre il 90% della popolazione della Transnistria è di
religione cristiano-ortodossa, appartenente al Patriarcato di Mosca. Una
minoranza cattolica è presente soprattutto nel Nord del paese, dove vive una comunità
di origine polacca. Inoltre è presente anche una piccola comunità ebraica di
corrente chassidica.
Ufficialmente la Transnistria
riconosce la libertà di culto, sancita nella sua Costituzione. La legge prevede
l’obbligo di registrazione per le comunità religiose. Secondo il Dipartimento
di Stato statunitense però le minoranze religiose sono soggette a
discriminazioni e si vedono negata la registrazione. In particolare
rappresentanti della Chiesa battista e dei Testimoni di Geova hanno più volte
denunciato attacchi e discriminazioni da parte delle autorità transnistriane.
Una proposta di legge in senso più liberale nel 2004 è stata fortemente
ostacolata dal vescovo di Tiraspol, Savva.
Periodicamente si verificano anche
atti di intolleranza ai danni della comunità ebraica. Il piccolo cimitero
ebraico di Tiraspol è stato più volte vandalizzato, mentre nel 2004 la sinagoga
è stata data alle fiamme.
Il territorio separatista coincide
con la diocesi di Tiraspol e Dubašari, fondata nel 1998 per riorganizzare la
Chiesa ortodossa nella regione a seguito dell’indipendenza del paese. La
diocesi di Tiraspol e Dubašari fa comunque riferimento al metropolita di Chişinău e di tutta la Moldova, Vladimir (Nicolae Cantarean). È
suddivisa in 104 distretti e due monasteri. Lo scorso anno il patriarca di
Mosca, Kirill, è stato in visita nel paese dove ha incontrato il vescovo Savva
e il presidente Ševčuk.
In quell’occasione ha ricordato il sostegno della Chiesa di Mosca
all’indipendenza della Transnistria.
Tags: Russia, Putin, separatismo, indipendenza, annessione, Patriarcato di Mosca, ortodossi, stati ombra, Transnistria, Moldavia
Danilo Elia