Comedor rosa nell’isola dei pirati

Diario di viaggio e
incontri / 1

Claudia, con il tocco
leggero della sua prosa familiare, ci guida sulle strade del Nicaragua. Incontriamo
persone diverse nel loro quotidiano, ne condividiamo la vita, i sogni, le
speranze e le difficoltà. Dai loro racconti emerge il ritratto vivo di un paese
che fa ancora fatica a trovare la sua strada, condizionato com’è da vicini invadenti.

Managua. Arriviamo nella capitale del
Nicaragua alla sera. Un taxi ci porta in città nel buio, su arterie bordate da
casupole e capannoni. Aspettiamo la mattina per capire dove siamo. La luce, il
sole, la brezza che tempera il calore, mi confortano. Siamo nello spazio sereno
di un patio antico con fontana e giardino, nel quartiere più tranquillo.

Managua
fu rasa al suolo da uno spaventoso terremoto nel 1972. In quello che era il
centro storico ora ci sono baracche dal tetto di lamiera e pochi edifici
governativi. La cattedrale rimane isolata, di fronte al palazzo Nazionale, in
grandioso stile déco. È una chiesa esagerata, annerita dagli incendi e ferita
dal sisma, chiusa da inferriate, che si affaccia sul vuoto del piazzale con lo
stendardo nazionale.

Dall’altura
dove abitiamo si ha l’impressione che la città sprofondi nel verde. Sono rari
gli edifici alti più di un piano. La nuova cattedrale, geniale progetto di un
architetto messicano, circondata da un vasto giardino con palme altissime, non è
lontana. Tutta in cemento lavorato ad arte, presenta una copertura formata da
numerose cupole, dal sapore esotico. Anche l’interno affascina per l’uso
sapiente dei colori e della luce, che dona leggerezza al grande edificio, pur
invitando al raccoglimento. Una targa ricorda i donatori, quasi tutti
statunitensi.

Co Island, l’isola
dei pirati.


6 Gennaio

Paolo
Jacob lavora a Managua da due anni per un progetto sui bambini lavoratori
finanziato dall’Unione europea. Ama il suo lavoro per la Rete, una Ong
torinese, ed è impegnato anche fino a sera tardi e nei fine settimana. Chiedo
che mi parli delle sue esperienze precedenti: Erasmus in Islanda, laurea a
Torino, master in educazione in Olanda. Paolo ha poi lavorato in Australia,
Romania e Albania, sempre a contatto con la povertà. Su suo consiglio
prenderemo un volo per Co Island, al largo della costa del Caribe, dove ha
trascorso le vacanze di Natale. Sorvoliamo la regione più selvaggia del paese,
dove dense foreste sono solcate da fiumi che scendono verso l’oceano Atlantico.
Pare che negli ultimi anni la zona verde si sia molto ridotta, a causa del
disboscamento illegale. Noto vaste lagune costiere e rari villaggi, dove vivono
i Miskito, popolazione risultato dell’incontro di indigeni e africani.

Co
Island, o isola del mais, ha la forma di un teschio ed è stata rifugio di
pirati. Morgan ne aveva fatto la sua roccaforte e i suoi discendenti vi hanno
tuttora le proprietà e le attività principali. Qui la cultura è inglese, perché
tutta la regione orientale del Nicaragua rimase protettorato inglese fino a
fine ‘800, poi gli americani subentrarono, fino al 1970.

Gli
italiani invece sono arrivati per occuparsi di accoglienza e cucina, attività
in cui restano imbattibili.

Alessandro
e Caterina hanno sempre amato viaggiare: sono stati tra i primi a visitare la
Cina, ma la loro vera passione è il mare. Dalla Nuova Caledonia a Zanzibar,
hanno visitato tantissime isole e, quando hanno deciso di andare in pensione,
si sono fermati qui. La Princesa de la Isla è un piccolo complesso,
circondato da prati soffici, in riva al mare. Un tempo qui era un albergo, che
fu distrutto dal tifone del ’88, che lasciò intatte solo le mura di madrepora e
cemento. I sandinisti poi ne fecero un campo, con camerate e servizi comuni.
Diciassette anni fa la simpatica coppia romana decise di comprare la proprietà
e fae la loro casa. Alcuni anni dopo una delle loro tre figlie li ha
raggiunti col marito avvocato, stanco dello stress della vita romana e
appassionato di cucina. In un ambiente così famigliare, mi trovo bene, ma la
notte il rumore del mare vicino è inquietante, dovrò abituarmi.

9 Gennaio

Stamattina
alle sei siamo già sulla strada che porta in paese. Lungo la spiaggia dove
cresce anche l’erba, ci sono mucche che pascolano. Il locale sul porto apre
alle sette e serve per colazione il gallo pinto, riso condito da fagioli
scuri e uova strapazzate. È arrivato un piroscafo da Bluefields, stanno
scaricando a mano sacchi di zucchero. Noto uno strano personaggio dalla pelle
scura, grande naso e un’enorme chioma, bianchissima e crespa, che lo rende
speciale. Chiedo se posso fotografarlo, lui, Denis, sorride compiaciuto e mi
presenta la giovanissima moglie e il figlioletto, cui sta dando il biberon
pieno di Fanta.

La
popolazione dei territori orientali del Nicaragua è il frutto di immigrazioni
da tutti i continenti. Quando nel 1502 Cristoforo Colombo, durante il suo
quarto viaggio, sbarcò a Co Island, le isole erano abitate dai Kukra,
popolazione indigena ora estinta. I primi contatti con europei si ebbero a
partire dal 1660, con l’arrivo di pirati francesi, olandesi e inglesi, che
iniziarono a portare schiavi africani della Giamaica per lavorare nei campi di
mais. Altri schiavi fuggirono dalle navi negriere e, unendosi alle tribù
locali, diedero vita a una popolazione creola di lingua inglese.

In
poche ore incontreremo molte persone, di varie nazionalità, tra le quali una
famiglia con due bimbi, residenti a Moncalieri, Torino, che da anni lavorano
per una Onlus impegnata nella costruzione di asili nella capitale.

Questa
volta hanno portato un bagaglio pieno di Lego per i bambini adottati a
distanza. Miriam è architetto, Mario è un ingegnere con vasta esperienza
internazionale. Ora stanno pensando di trasferirsi in questo paese, dove lo zio
di Miriam vive da parecchi anni e dove pare ci siano buone possibilità di
lavoro e spazio per investimenti.

10 Gennaio

Abbiamo
fatto il giro dell’isola con uno dei taxi che girano continuamente e raccolgono
chiunque abbia bisogno di un passaggio. Noto numerose chiese, molto
frequentate. Quella cattolica apre la domenica e il giovedì sera, ma il prete
arriva da Bluefields solo a Natale, Pasqua e per comunioni e cresime. Le case
sono di legno, col tetto in lamiera, a parte le ville dei «ricchi». Numerose le
pensioni e i piccoli hotel, ma la nostra sistemazione mi pare la migliore. La
sera arrivano altri ospiti, una bella famiglia spagnola, con tre figli.
Francisco a Saragozza aveva frequentato i missionari della Consolata ed era partito
missionario laico per il Sud America. Ora lavora per le Nazioni Unite e, tra le
molte esperienze, questa è la più dura. L’estate scorsa i due ragazzini hanno
preso la dengue, malattia che può essere mortale, specie tra i piccoli. Quando
piove, le strade di Managua sono difficili da percorrere, in pochi minuti si
arriva a un metro d’acqua.

In
questo viaggio potrò sentire diverse opinioni sulla situazione politica del
paese. Francisco non approva l’opera del presidente Ortega che, pur avendo
militato con i sandinisti, si comporta ora come un tipico dittatore centro
americano, non molto diverso dai Somoza. L’opposizione è stata praticamente
soppressa, la stampa zittita, chi critica viene eliminato. Per poter rimanere
al potere è riuscito a cambiare la Costituzione. Gli intellettuali che avevano
sostenuto i sandinisti, ora prendono le distanze da questo governo. Le scuole e
gli ospedali sono di infimo livello e le nazioni che offrivano cooperazione
allo sviluppo del paese se ne stanno andando. I primi sono stati i paesi
scandinavi.

Si fa
molto tardi, parlando, e i due bambini si sono già addormentati nelle amache.

11 Gennaio
Siamo
andate a nuotare presso il relitto e mi hanno rubato occhiali, costume e
zainetto. Forse per la gente dell’isola, come ho notato in molte altre intorno
al mondo, questo non è furto. Quello che trovano è loro, ossia di tutti.
Alessandro ha chiamato la polizia, sono venuti tre giovani in divisa a
interrogarmi, parlano inglese perché sono di Bluefields. Poi Alessandro ha
fatto la sua indagine personale, perché nel quartiere vicino conosce tutti. È
uscito il nome di un ragazzo, che è stato visto allontanarsi con lo zainetto
blu sotto braccio. Ora aspettiamo che si faccia vivo, prima di denunciarlo.

Qui
la gente è povera, abita capanne su palafitte circondate da maialini
grufolanti, ma di notte le luci accendono i colori e le vivaci decorazioni.

Gli
anziani passano il tempo a guardare i ragazzi che giocano a baseball, le donne
hanno tanti bambini, come Barbara, che lavora da noi e ha sei figlie femmine.
Tre hanno già una bimba, e tutte vivono insieme, in una casupola circondata da
alberi esotici, a pochi minuti dalla nostra «Principessa dell’Isola».

Alcuni
isolani lavorano nella fisheries dei Morgan, discendenti del famoso
pirata, o sui pescherecci. Stanno via un mese per la pesca di aragoste e
ritornano con qualche centinaio di dollari, che spendono subito per saldare i
debiti, giocare e bere al bar. A volte raccolgono in mare sacchi di cocaina,
gettati dalle barche dei trafficanti colombiani, quando sono intercettati dalla
polizia.

12 Gennaio

Con
qualche dollaro ho recuperato gli occhiali, grazie ai buoni rapporti di
Alessandro con i vicini. Sua figlia Costanza per anni ha passato le vacanze qui
con i genitori, quindi ha visto l’evolversi della situazione nella società
nicaraguense. Non vuole criticare Ortega, anche se si sente parlare molto di
arricchimenti esagerati dei suoi famigliari. «Questo governo si sta muovendo,
vediamo che prende decisioni per migliorare la vita degli abitanti. Sta
formandosi una classe media, che prima di Ortega non esisteva».

Sono
arrivati altri ospiti. Luca è un giovane ingegnere di Colonia in vacanza con la
moglie medico. Sono stanchi per il viaggio, perché stressati dal lavoro. In
ospedale si lavora 9 ore al giorno e, una volta la settimana, 24 ore. La crisi
colpisce anche la Germania, Luca aveva perso il suo lavoro e ora che ne ha
trovato un altro viene sottoposto a tensioni e orari punitivi.

Stasera
ceniamo insieme nel Comedor di Francis White, con la cucina aperta sulla
strada dell’aeroporto, dove le grasse donne di casa preparano pietanze
sostanziose. I quattro fratelli White sono nerissimi e corpulenti, hanno
ciascuno quattro figli e i due nipotini più piccoli sgambettano tra i tavoli.
Dopo aver gustato un ottimo pesce con salsa caribeña, mi vogliono
mostrare le grandi foto di famiglia, nel salottino dalle tende di pizzo rosa. I
nonni erano arrivati da Puerto Cabeza, un postaccio sulla costa caraibica da
dove provengono quasi tutti i poveri abitanti dell’isola, in cerca di lavoro.
Pochissimi ce la fanno a rimanere, questi invece sembrano ben organizzati.

13 Gennaio

Yellow
tail
è un centro diving (immersioni) molto spartano, con un comedor
che serve gallo pinto e birra e due casette per ospiti, controllate da
due grosse oche. La barriera corallina si trova a cento metri dalla riva, e
nella laguna si possono vedere massi di corallo e pesci tropicali. Gli uragani
ricorrenti devastano anche le barriere e i colori stentano a riprendersi.

Parleremo
della tragedia del 1988 la sera, a casa di Barbara, che ci ha invitato per
gustare un meraviglioso rondon, la zuppa di pesce con latte di cocco,
manioca, platanos (grosse banane), e il delicato frutto dell’albero del
pane. Nella stanzetta con le tende rosa e l’albero di natale di plastica sono
circondata da figlie e nipotine, davanti il piccolo televisore. In quella
accanto, minuscola, sono sistemate le amache per tutta la famiglia. Barbara al
tempo aveva 11 anni e si ricorda bene di quando furono evacuati in fretta su
una nave militare e portati in continente, a Masaya, in una scuola. Al ritorno
trovarono una distesa di fango al posto del villaggio, si affondava fino alle
ginocchia. La sua mamma, aiutata dal maggiore dei 9 figli, piantò pali nel
fango, vi appoggiò le assi e fece un riparo di foglie. Mancava tutto, cibo e
acqua, poi arrivarono gli aiuti con le navi da San Andrés, isola colombiana non
distante da Co, e dagli Usa.

16 Gennaio

Lasciamo
l’isola in un pomeriggio ventoso, con un mare forte che fa rullare i
pescherecci.

La
sera a Managua andiamo in pizzeria e conosciamo il proprietario, un romagnolo
che segue con attenzione i dipendenti. Subito chiarisce la sua situazione. «In
Italia non è possibile lavorare, non ci ritorno più, ho tolto i canali italiani
dal mio televisore». Anche lui ha una giovane moglie e una bambina, mentre il
figlio del primo matrimonio è arrivato da poco per lavorare nel ristorante.
Sono storie comuni in questi paesi, quelle di italiani che, stanchi di un
matrimonio sbagliato, di una moglie anziana e figli esigenti o problematici, si
trasferiscono e cambiano vita. Domani andremo verso Nord, a León, l’antica
capitale rivale di Granada.

 
Claudia Caramanti
(fine prima parte, continua)

Claudia Caramanti

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