Ho visto una recita. Una storia di
Natale, interpretata da bambini di un asilo multietnico.
C’è Giuseppe, il falegname che mette tutto il suo impegno a martellare un
chiodo ostinato a non entrare. Un Giuseppe pieno di attenzioni, con un bastone
in mano, troppo lungo per lui, alla guida di un asino bambino, troppo piccolo
per portare qualcuno. Giuseppe accompagna la moglie incinta tra il rifiuto
gridato degli osti e lo sguardo cipiglioso di soldatini altrimenti sorridenti
nelle loro scintillanti uniformi.
Maria è una bambina bellissima, piena di dignità, cosciente del suo
ruolo nei bei vestiti di seta e con il velo azzurro splendente. Certo, Maria
deve essere bellissima.
In un angolo, attorno a un fuoco di carta rossa, fanno finta di
dormire i pastori e anche gli agnelli bambino, mentre entrano gli angeli,
saltellanti come passeri, le alucce posticce, per annunciare loro la nascita
del piccolo Gesù a Betlemme.
E subito Gesù entra in scena, correndo leggero nella sua bella
tunichetta di seta bianca e con una corona dorata sul capo. Un Gesù un po’
birichino, che sorride a tutti mentre affettuosamente gratta le orecchie della
pecora bambino che ha abbandonato il suo capo su di lui.
Di colpo la musica cambia. Arrivano tre carovane: una dall’Africa, una
dall’Asia, una dall’Europa. Tre re e la loro scorta. Bambini d’ogni popolo e
nazione portano doni al piccolo Gesù. Offrono frutta, dolci, cibo, tamburi e
musica e tanti sorrisi di innocenza.
E accade il miracolo. Gli osti aprono il cuore. I soldati depongono le
armi. I pastori offrono la loro buona volontà. I re s’inginocchiano davanti a
un bambino, re del mondo, in un pellegrinaggio di pace. Sono davvero di paesi,
razze e lingue diversi, uniti da un unico cuore, semplice, giornioso e innocente.
Bambini capaci di rendere vero un sogno d’amore.
In cauda venenum.
Il 23 ottobre scorso, su La Stampa a pag. 22, un articolo a tutta pagina
conclude così: «In Africa oggi non c’è bisogno di missionari ma di giustizia
sociale». Tale frase ha fatto saltare la mosca al naso a un vecchio missionario
che mi ha segnalato la perla. Ho cercato l’articolo, l’ho letto e l’ho trovato
buono. Quasi tutto, eccetto il finale. Che l’Africa abbia bisogno di giustizia
sociale è verissimo, ma affermare – anche solo implicitamente – che i
missionari sono l’opposto di essa, è una grande ingiustizia e un’offesa
gratuita. Da molto tempo ormai i missionari sono tutt’altro dal buonismo
consolatore che insega alla gente a sopportare anche le violenze più grandi con
rassegnazione. Anzi, questo l’hanno fatto solo nella letteratura faziosa di un
certo laicismo di moda. Ché? I missionari si farebbero ammazzare in nome di una
carità pelosa? «L’impegno per l’Africa non va visto come carità pelosa:
si tratta di semplice restituzione», è scritto nella penultima frase
dell’articolo. L’ultima è quella già citata. In cauda venenum. Così
dicevano gli antichi, «il veleno (è) nella coda».
Dispiace che per promuovere le proprie iniziative qualcuno ceda alla
tentazione di denigrare quelle degli altri. Se scegliere di vivere in mezzo ai
più poveri del mondo condividendo con loro l’insicurezza, i pericoli, le
malattie, il cibo e anche il cimitero è carità pelosa, lo lascio giudicare a
voi.
Benvengano imprenditori, finanzieri, industriali e politici che si
impegnano in Africa coscienti di dover «restituire» a un continente derubato da
tempi immemorabili (Indiani, Arabi, Egiziani e Romani derubavano il Continente
nero ben prima di Cristo!). Sarebbe solo giustizia. Per questo non c’è bisogno
di opporre giustizia e missionari. Anzi, forse sarebbe il caso di andare a
leggere quanto i missionari, da un paio di secoli in qua, hanno scritto e
continuano a scrivere sulla dignità dell’Africa, i diritti dei popoli,
l’esigenza di giustizia e il dovere di riparazione.
Ancora Buon Natale a tutti voi e grazie di cuore
per il vostro affetto e sostegno alle nostre missioni.
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Gigi Anataloni