Passione per Gesù e il suo popolo
Il 27 gennaio scorso a Manzini, città principale
del regno dello Swaziland e sede dell’unica diocesi cattolica, c’è stata una
doppia celebrazione: si sono ricordati i cento anni dall’arrivo dei primi
missionari, ed è avvenuta l’installazione del nuovo vescovo, mons. José Luis
Ponce de Leon, missionario della Consolata. Seguiamo l’avvenimento con gli
occhi dello stesso vescovo.
La
preparazione
Alla fine del 2013 sono stato nominato vescovo della diocesi di
Manzini, nel regno dello Swaziland, di cui ero amministratore, dalla morte del
vescovo Ncamiso Ndlovu il 27 agosto 2012. La diocesi è la «mamma» del vicariato
di Igwavuma di cui ero vescovo, e subito mi ero reso conto che a genanio 2014
sarebbero stati cento anni dall’inizio dell’evangelizzazione cattolica del
regno, un’occasione eccellente per rinnovare l’impegno missionario della
diocesi. I preparativi per le celebrazioni erano già avviati quando è arrivata
anche la notizia della mia nomina. Passato il primo momento di panico, con i
miei collaboratori abbiamo pensato che la celebrazione del centenario avrebbe
ospitato anche la mia installazione.
Così abbiamo iniziato a organizzare e a mandare inviti, cominciando
dai vescovi del Sudafrica, che non solo hanno accettato di partecipare ma hanno
anche deciso di fare a Manzini l’incontro annuale di tutta la Conferenza
episcopale proprio la settimana prima. Naturalmente sono state invitate le
autorità, e anche sua Maestà il re Mswati III. Il primo ministro e diversi
ministri hanno accettato.
I giornali locali ci hanno aiutati a far conoscere a tutti la buona
notizia e la televisione Swazi si è impegnata a trasmettere dal vivo la
celebrazione. L’avvenimento stava diventando sempre più grande e importante,
creando seri problemi logistici. Fino a ottobre sembrava chiaro che tutto si
sarebbe svolto nella cattedrale. Ma dopo le prime adesioni ci siamo resi conto
che troppa gente sarebbe rimasta fuori a guardare il cielo. Per questo abbiamo
spostato tutto nel salone polifunzionale del «Bosco Youth Centre», un grande
spazio coperto, quasi un palazzetto dello sport. Volevamo essere tutti
insieme, al coperto, anche se, essendo così grande, non pensavamo certo di
riempirlo.
Il libretto
del centenario
Per aiutare la preparazione abbiamo stampato un libretto, nel quale si
evidenziavano alcuni punti importanti della storia della Chiesa swazi. Ne
riporto alcuni.
«Cento anni fa, il 27 gennaio 1914, i primi missionari cattolici
arrivarono in Swaziland. Erano membri dell’Ordine dei Servi di Maria (Osm)
mandati come gli apostoli a condividere la gioia del Vangelo, portando in cuore
una profonda passione per Gesù e per il suo popolo.
Lo sguardo sulla nostra Chiesa di oggi e il ricordo dei nostri inizi
ci richiama subito alcune immagini evangeliche:
* il seme di senape che è il più piccolo di tutti i semi (Mc 4,31-32);
* i cinque pani e i due pesci che permisero a migliaia di persone di
mangiare a sazietà (Mc 6,34-44);
* e soprattutto il Signore che “lavorava con loro e confermava la
parola con i segni che l’accompagnavano” (Mc 16,20), manifestando così la sua
presenza e guida.
«La celebrazione di questi primi cento anni è l’occasione per tutti noi
di ricordare con gioia tantissimi momenti del cammino fatto. Quanto è scritto
in questo libretto è davvero ben poca cosa rispetto a quanto celebriamo. Allo
stesso tempo ci ricorda che “è di vitale importanza che oggi la Chiesa continui
a predicare il Vangelo a tutti, in tutti i posti, in ogni occasione, senza
esitazione, riluttanza o paura. La gioia del Vangelo è per tutti: nessuno ne
deve restare escluso” (Evangelii Gaudium 23).
Ricordando e celebrando noi rinnoviamo il nostro impegno a essere
Buona Notizia per tutti in ogni angolo del nostro paese e in tutto il mondo».
Mbabane, dove tutto è cominciato
La celebrazione del centenario si è svolta a Manzini, un posto
centrale. Ma ciascuno qui sa bene che «tutto è cominciato a Mbabane». I primi
missionari arrivarono in Swaziland dal Sudafrica e andarono a Mbabane dove,
alcuni giorni dopo il loro arrivo, ottennero il posto chiamato oggi «Mater
Dolorosa».
Per ricordarlo, abbiamo organizzato un pellegrinaggio di tutti i
vescovi del Sudafrica proprio là. Venuti a Manzini per la loro assemblea
annuale (la prima in assoluto mai fatta nel regno), li abbiamo invitati a fare
una visita a Mbabane, la città capitale del regno. Nessuno è rimasto indietro.
Accolti dal Consiglio Pastorale, dopo la foto di rito, siamo andati in chiesa
per pregare e ringraziare. Abbiamo cominciato con l’inno God’s Spirit is in
my heart e dopo che il vescovo Jabulani Nxumalo (Oblato di Maria Immacolata
– Omi, di Bloemfontain) ha presentato tutti, abbiamo ascoltato il testo di Mt
28,16-20: il mandato missionario in cui Gesù dice ai suoi «Andate e fate
discepoli di tutte le nazioni. (…) Sono con voi per sempre». E abbiamo pregato
così: «Signore, che mandasti i tuoi apostoli a proclamare il Vangelo a tutto il
mondo e che hai guidato i missionari nella tua vigna in Swaziland, ti chiediamo
di continuare a guidare la tua Chiesa pellegrina e missionaria nel proclamare
il Vangelo a tutti. Attraverso lo Spirito Santo che ha animato gli apostoli
all’inizio della tua santa Chiesa, guidala oggi e sempre perché il tuo
messaggio d’amore possa raggiungere le orecchie dei poveri e dei ricchi per
farli diventare docili al tuo Santo Spirito, e il Regno di Dio nel tuo amore
giunga al suo compimento. Amen».
Cammino non
processione
Con la televisione che trasmetteva in diretta dovevamo essere
assolutamente puntuali, così il 26 gennaio, domenica mattina, alle 9.00,
preceduti dalle majorette della St. Theresa’s School e dalla Salesian
Band, siamo andati a piedi dalla cattedrale al Bosco Youth Centre.
Non era una processione. Non c’era un ordine preciso: i chierichetti sì
marciavano dietro la banda, ma tutti gli altri – vescovi, preti, laici e
religiosi – camminavamo insieme, fianco a fianco.
In verità molto prima dell’inizio della messa il palazzetto era già
pieno all’inverosimile, e, nonostante fossero state aggiunte un migliaio di
sedie, molti erano rimasti fuori. L’interno era decorato in modo splendido con
striscioni fatti dalle diverse parrocchie, associazioni e gruppi religiosi. Un
modo davvero creativo per dire: «Siamo qui, anche noi celebriamo il nostro
cammino nel regno dello Swaziland».
Entro le 9.30 noi preti e vescovi eravamo indaffarati a vestirci e
prepararci per la celebrazione. Ho approfittato del momento per salutare i
sacerdoti arrivati dal Vicariato di Ingwavuma (dove ero stato vescovo fino a
quel giorno e di cui sono ancora amministratore) e da altre parti del
Sudafrica. Allo scoccare delle 10 siamo entrati in processione accolti da
un’esplosione di gioia.
Chiamato a
servire in un’altra diocesi
La celebrazione è stata presieduta dall’arcivescovo di Johannesburg,
mons. Buti Tlhagale, Omi. Era affiancato da mons. Stephen Brislin, arcivescovo
di Cape Town e presidente della Conferenza episcopale del Sudafrica, e dal
cardinal Wilfrid Napier, arcivescovo di Durban. Mi hanno fatto sedere in mezzo
agli altri vescovi a lato dell’altare.
L’arcivescovo Tlhagale ha ricordato che era la prima volta nella
storia della diocesi che il nuovo vescovo non era consacrato a Manzini, ma solo
installato. Ha continuato citando una frase di papa Francesco ai preti: «Questo
vi chiedo: siate pastori con l’odore delle pecore».
The Swazi Observer, il giornale nazionale,
ha così sintetizzato il suo discorso d’apertura: «Durante la messa per la
celebrazione del centenario [dell’arrivo] dei Cattolici Romani [in Swaziland]
al Bosco Youth Centre domenica scorsa, l’arcivescovo di Johannesburg
Buti Tlhagale ha sintetizzato ne “l’essere per servire” lo spirito che
distingue la Chiesa, quando ha detto all’assemblea che si augurava che il nuovo
vescovo José Ponce de Leon fosse davvero un buon pastore. Ha poi aggiunto che
un buon pastore deve sempre “puzzare come il suo gregge”, il che era come dire
che il vescovo deve sempre identificarsi col popolo di cui è guida. Puzzare
come il proprio gregge significa diventare uno con la gente. Quando le tue
pecore hanno fame, tu patisci la fame con loro, e quando condividono un buon
raccolto anche tu giornisci con loro. Puzzare come il gregge significa diventare
parte del tutto, piangendo con esso nei momenti di dolore e danzando con esso
quando c’è da celebrare. Tu diventi parte del gregge a tal punto da essere
sufficiente farti annusare per far sapere quello che sei.
Questo spirito è probabilmente lo stesso vissuto da Gesù durante il
suo tempo sulla terra. Ed è molto incoraggiante vedere che la Chiesa cattolica
romana vive di questo supremo ideale, in uno sforzo di semplificazione dei miti
della religione, e aprendo nello stesso tempo le porte a tutti, per dimostrare
che tutti sono benvenuti.
La Chiesa cattolica romana è stata veramente esemplare in tutto ciò, e
i suoi missionari hanno vissuto questo ideale fin dall’inizio. Questa è la
ragione che probabilmente spiega la facilità con cui loro hanno vinto i cuori
del popolo».
Quando è stato letto il Mandato papale, sono stato invitato a sedere
sulla «cattedra» (la sedia che nella cattedrale solo il vescovo in carica può
occupare). Una volta seduto mi hanno consegnato il pastorale. Non uno nuovo,
non l’ho voluto, ma quello del mio predecessore, mons. Ncamiso Ndlovu, vescovo
di Manzini dal 1985 al 2012.
I vescovi sono poi venuti uno a uno a salutarmi mentre la segretaria
generale della Conferenza episcopale, suor Hermenegild Makoro, li presentava ai
fedeli di Manzini. Di seguito sono venuti i sacerdoti, i religiosi e i laici (i
presidenti dei consigli pastorali delle 15 parrocchie) per dare il benvenuto al
loro nuovo vescovo e promettere di lavorare con lui.
A ciascuno ho dato una copia dell’esortazione apostolica Evangelii
gaudium di papa Francesco che tratta dell’impegno di annunciare il Vangelo
nel mondo di oggi. Essendo la celebrazione centrata sul centenario
dell’evangelizzazione in Swaziland, mi è sembrato che l’esortazione fosse lo
strumento migliore per cominciare i prossimi cento anni.
Una volta installato, è toccato a me presiedere la celebrazione, come
nuovo padrone di casa. Le letture sono state proclamate in portoghese (la
lingua dei molti immigrati e rifugiati dal Mozambico), inglese e siswati (la
lingua locale), come si usa da queste parti durante le celebrazioni più
importanti.
La mano di
Dio al lavoro
Durante la predica ho insistito sull’idea che ora tocca a noi
continuare quello che altri hanno iniziato. Siamo noi a venire chiamati da Gesù
a essere «buona notizia», luce per chi cammina nelle tenebre e pescatori di
uomini e donne. Ho ricordato poi che tantissimi anni prima, quando ero ancora
un seminarista, un prete aveva detto in una predica che «Solo i matti credono
nelle coincidenze». «No – ho continuato -, noi non crediamo in coincidenze. Noi
crediamo nella mano di Dio al lavoro nelle nostre vite. Non ho scelto le
letture di oggi. Sono quelle ordinarie di sempre, che ogni cattolico può
ascoltare oggi in tutto il mondo. Eppure, sembrano proprio fatte per questo
giorno. Non è coincidenza, è la mano di Dio al lavoro tra noi oggi.
* Nel vangelo di Matteo
(4,12-23) Gesù comincia il suo ministero predicando la Buona Notizia,
insegnando e guarendo – e qui noi celebriamo e ricordiamo l’inizio dello stesso
ministero nel regno dello Swaziland a opera dei primi missionari cattolici
arrivati cento anni fa.* Vediamo Gesù che chiama
Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni perché lo seguano e diventino pescatori di
uomini – e noi qui ricordiamo i nomi di coloro che Gesù fece pescatori di
uomini per noi: i padri Gratl, Mayer e Bellezze e fratel Obeleitner, missionari
Serviti.* Vediamo Gesù andare in giro nella Galilea toccando la vita di ognuno – e
noi ricordiamo e celebriamo chi ha accolto quei primi missionari da Mbabane a
Mzimpofu, da Bulandzeni a Hluthi, da Piggs Peak a Siteki. Ricordando i primi,
vogliamo anche ricordare tutti gli altri missionari che li hanno seguiti: altri
Serviti, le monache Benedettine, le suore Mantellate, le Domenicane di Cabra e
di Montebello, i Salesiani, le suore di Madre Cabrini, le suore Servite dello
Swazi, le suore missionarie del Perpetuo Soccorso, … e con loro anche tutti i
sacerdoti diocesani che dal 1964 hanno cominciato a servire le nostre comunità.
Ma la Missione non è compito solo di preti e suore. Come Gesù nel
Vangelo, anche i primi missionari chiamarono altri a camminare con loro per
essere preparati e mandati a evangelizzare: i catechisti. I pochi preti e le
suore che hanno servito nel paese agli inizi, non avrebbero potuto ottenere i
risultati raggiunti senza l’aiuto dei catechisti».
Ho detto anche molte altre cose, troppe da
riprodurre qui. Ne riporto ancora una. «Oggi siamo qui per ricordare.
Ricordando celebriamo. Celebrando ringraziamo Dio per tutto quello che ha fatto
per noi in questi anni. Ma… voi sapete bene quello che dico sempre: Questo
non è un museo! Non siamo qui solo per ricordare. Noi qui vogliamo
rinnovare il nostro impegno a continuare quello che abbiamo sentito nel Vangelo
di oggi. Noi ci impegniamo non solo a proclamare (con le parole) la “Buona
Notizia”, ma a essere (coi fatti) “Buona Notizia”. Di parole ne diciamo troppe!
Noi vogliamo essere riconosciuti come discepoli di Gesù. Discepoli missionari
che vanno fuori e con la loro vita toccano la vita degli altri».
Durante l’offertorio ho scambiato poche parole con padre Sakhile
Mswane, il cerimoniere. Ero davvero preoccupato per il sovraffollamento. Avevo
paura che potesse succedere qualcosa. Lui mi ha rassicurato: tutto sarebbe
andato bene. E così è stato!
I vescovi sono stati lieti di distribuire la comunione, mentre io ero
felicissimo di essere mandato nel punto più lontano dall’altare. Restare al
posto centrale non mi piaceva proprio, preferivo andare fra quelli che erano «più
lontani». E mi hanno accontentato. La gente aveva obbedito all’invito di non
scattare fotografie durante la celebrazione. Tutti erano stati fin troppo bravi
fino a quel momento. Ma quando si sono trovati il vescovo in mezzo a loro, la
tentazione è stata troppo forte!
Prima della benedizione finale ci sono stati i discorsi con
particolari ringraziamenti al Vicariato di Ingwavuma per aver donato il nuovo
vescovo allo Swaziland. Il primo ministro Sibusiso Dlamini ha ricordato il
grande contributo della Chiesa allo sviluppo del paese, e il principe Simelane,
che rappresentava il re Mswati III, ha sottolineato la scelta preferenziale dei
poveri, dei disabili, dei rifugiati (in particolare dalle aree attorno ai
Grandi Laghi, ndr) come una delle caratteristiche particolari dei
cattolici e li ha elogiati per avere delle scuole che accettano chiunque senza
distinzione di merito e di ceto sociale, dando a tutti la possibilità di avere
un’educazione di base.
Per concludere ho fatto distribuire la preghiera di S. Francesco: «Fa’
di me uno strumento di pace». «Ditela tutte le mattine. La prima cosa da fare!
Imparatela a memoria. “Fa’ di me”: è il mio impegno. Non delego ad altri.
Ditela ogni sera. Sia guida per l’esame di coscienza: ho perdonato, amato,
consolato, ascoltato? Sono stato luce, pace e speranza? Preghiera la mattina,
verifica la sera. Senza scoraggiarci. Non dipende solo da noi. C’è l’aiuto di
Dio. Niente è impossibile per Lui».
José
Luis Ponce de Leon*
* Missionario della Consolata argentino, nato nel 1961, ordinato
prete nel 1986 e vescovo dal 2009.
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Testo tradotto e adattato da
Gigi Anataloni da bhubesi.blogspot.com
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José Luis Ponce de Leon