Malindi padadise! Per chi? (3) 

1. Turismo sessuale, mercato senza frontiere
2. Bei ragazzi sui bagnasciuga
di Malindi

3. La diocesi di Malindi contro prostituzione, pedofilia e traffico di persone
4. Per un sorriso: discriminazioni stradali

1. Turismo sessuale, mercato
senza frontiere


Wanja, le altre e gli altri

Il
turismo è una delle risorse principali del Kenya, contribuisce a circa il 25%
del Pil. Lo splendore della costa, la bellezza dei suoi parchi, il colore delle
tradizioni tribali attirano turisti da tutto il mondo. Richiamano grandi
investimenti, danno lavoro a migliaia di persone, ma nascondono diversi aspetti
negativi. Uno di questi, il più vistoso, è il turismo del sesso che prospera
nell’inerzia legislativa nazionale e internazionale e nella corruzione
alimentata dai facili guadagni. Coinvolgendo anche i minori, sia bambine che
bambini.

A differenza della maggior parte delle ragazze della sua
età, la ventiquattrenne Mary Wanja è fortunata ad avere un lavoro come
segretaria in una ditta privata. Ma come molte altre ragazze, durante i fine
settimana Mary va spesso nei club di Malindi con lo scopo di abbordare turisti
che cercano sesso e divertimento. Un numero sempre crescente di vacanzieri
visita il Kenya specificatamente per sesso, specialmente nelle città costiere
(Diani, Kilifi, Mombasa e, appunto, Malindi).

La maggior parte dei turisti sessuali ha un’età compresa
tra i 45 e 65 anni. Spesso sono divorziati o pensionati che cercano di
riaccendere le loro vite sessuali. Molti di essi hanno rapporti con
adolescenti, percepiti, tra l’altro, come «sicuri» da Hiv. Al riguardo, Ecpat –
l’organizzazione internazionale che lotta contro lo sfruttamento sessuale dei
minori – sfata anche alcuni luoghi comuni: soltanto una minima parte dei
turisti sessuali sono patologici, la maggior parte di essi è semplicemente in
cerca di nuove emozioni, approfittando delle situazioni.

Come in molti paesi asiatici e latinoamericani, anche in
Kenya il sesso con minori, sia bambine che bambini, è molto richiesto. Secondo
varie statistiche, sulla costa del paese africano oltre il 30% degli
adolescenti sono coinvolti in modo saltuario nel lavoro sessuale. Più del 10%
delle ragazze hanno relazioni sessuali prima dei 12 anni. Oltre il 35,5% degli
atti sessuali tra minori e turisti avviene senza l’utilizzo di preservativi.

Se i dati sono scarsi e spesso non verificabili, i fatti
sono però sotto gli occhi di tutti. Padre Kizito Sesana, noto missionario
comboniano, che ha avviato case per i bambini di strada a Nairobi, ha
raccontato: «Qualche tempo fa, con un amico, visitavo la costa nord di Mombasa,
normalmente soprannominata “la costa tedesca” a causa della forte presenza di
turisti da quel paese. Era marzo e non c’erano molti turisti. In un tardo
pomeriggio siamo entrati in un bar a prendere una birra fresca e siamo stati
colpiti dalle strane coppie sedute ai tavoli: uomini bianchi anziani con
ragazze molto giovani o ragazzi adolescenti; donne bianche anziane con ragazzi
che avrebbero potuto essere i loro figli o i loro nipoti. Nel giro di poco
tempo, siamo stati avvicinati dapprima da una serie di ragazze e poi di
ragazzi. Siamo andati via senza finire di bere».

Il turismo del sesso si è strutturato in una rete
complessa e variegata che include tour operators, hotel, affittacamere,
club, bar, sale di massaggio, parrucchieri.

Robert Nyagah, ex giornalista,
oggi operatore turistico, pone alcuni interrogativi: «Come differenziare i
turisti genuini da quelli che vengono semplicemente per sesso, e come
differenziare una ragazza giovane che sta cercando un compagno per la vita
(turista o no) da una prostituta?».

Eppure, il fascino del turismo del
sesso è reale e crescente. I soldi facili e la disoccupazione stanno portando
sempre più ragazze – anche sposate – sulla strada della prostituzione. Ci sono
casi in cui famiglie povere incoraggiano i loro bambini a uscire per strada «a
offrire ospitalità agli stranieri» per mettere cibo sulla tavola. A ciò va
aggiunto un problema culturale. Presso molte comunità una ragazza di 13 anni è
già in età da matrimonio. La gente locale non capisce quindi dove stia il
problema.

Il commercio non è limitato alle ragazze: anche i
ragazzi vanno alla ricerca di fortuna. Molti giovani (la maggior parte dei
quali ha interrotto la scuola primaria) hanno cambiato le loro vite stringendo
amicizia con donne di mezza età europee. Il litorale kenyano è conosciuto per
attrarre turiste divorziate o avanti con gli anni che cercano sesso,
principalmente dalla Germania. La maggior parte di loro sono guidate dal mito
della potenza sessuale del maschio africano e arrivano promettendo ai giovani
keniani matrimoni e viaggi nei loro paesi.

Accanto alla prostituzione volontaria, c’è anche una
prostituzione indotta con l’inganno e la violenza. Esistono persone che tentano
le ragazzine povere con la promessa di lavori, ma in realtà vogliono reclutarle
per l’industria del sesso. Queste sono rinchiuse in case-bordello e costrette ad
avere rapporti con clienti sotto la supervisione dei loro «datori di lavoro».

Mentre il governo di Nairobi a parole disapprova il
turismo sessuale e vieta quello infantile, le azioni di contrasto sono poche.
Troppi sono i soldi in gioco.

redazione MC

* Liberamente tratto dall’articolo «Turismo sessuale in
Kenya», pubblicato da www.promisland.it il 4 ottobre 2006, e da «Fight against
child sex tourism needs a boost», pubblicato da Irin news, 28 aprile 2011 e da
www.ecpat.net.

2. Bei ragazzi sui bagnasciuga
di Malindi


Ammaliatrici ammaliate

Storie
di amore vero, ma non troppo, dalle spiagge di Malindi. Donne di una certa età
in cerca di compagni più giovani. Il fenomeno è più esteso di quanto si
immagini, e coinvolge «signore» di diverse nazioni europee. La scrivente, pur
non facendo cenno al punto di vista della popolazione locale, biasima senza
mezzi termini le «turiste» in questione. L’«amara tenerezza» che prova per
quelle donne aguzzine e vittime, ci può far riflettere sulla grave solitudine
di tanti anziani, ingannati dalle false promesse di eterna giovinezza del
nostro mondo.

Ho lasciato il Kenya 13 anni fa eppure ogni volta che ci
too continuo a restare sorpresa dalle storie «d’amore» che vi si intrecciano
e da come questi travolgenti sentimenti – che lì sembrano travolgere più che
altrove – si manifestino in immagini concrete, non del tutto edificanti, né di
buon gusto.

È davvero possibile che ultrasettantenni si convincano
che i loro partner poco più che ventenni (maschi o femmine) si siano
perdutamente innamorati di loro? A guardarli negli atteggiamenti che assumono
si direbbe proprio di sì, ed è questa convinzione ad apparire del tutto sbalorditiva.

Come donna è ovvio che la mia curiosità si indirizzi in
particolare verso le appartenenti al mio stesso sesso. Signore eleganti, spesso
facoltose, che combattono contro l’implacabile devastazione inflitta loro dagli
anni e si attaccano con i denti e con le unghie a stagioni definitivamente
perdute. Sorde al senso del ridicolo, si agghindano ora come ragazzine ora come
donne fatali, come quelle che agli inizi del secolo scorso venivano definite «maliarde»:
spietate ammaliatrici che portavano uomini probi e teneramente ingenui alla
totale rovina.

Naturalmente quegli uomini più che ingenui erano deboli
e psicolabili. Incapaci di governare gli istinti e di ordinare con
responsabilità la scala dei propri valori di riferimento.

Oggi pare che un folto numero della versione odiea di
quelle antiche maliarde, sia approdato in Kenya. Ma i fattori si sono
curiosamente invertiti. Loro, oggi, non ammaliano più. Sono le maliarde a
essere ammaliate. E da chi? Dal classico pilota con gli occhi azzurri che impazzava
nei romanzi di Liala? Oppure dal virile, colto e generoso, dottore della
Cittadella di Cronin?

Macché! Il loro moderno ammaliatore è un beach boy,
rasta semianalfabeta che si esprime in un idioma raffazzonato, compendio di
diverse lingue europee spigolate con intuito istintivo e primordiale sul
bagnasciuga delle candide spiagge coralline.

Lui promette amore imperituro e le inonda di rancidi
effluvi, frutto dell’olio di cocco che gli fa risplendere pettorali e bicipiti
e di un’osservanza delle norme igieniche un po’ frettolosa e vanificata dal
caldo e dal sudore.

Dov’è finito il saggio e lungimirante intuito femminile?
Il rispetto della propria femminilità, della propria cultura? La donna matura,
la donna in età avanzata, è uno scrigno di preziosità che proprio il
trascorrere del tempo e l’esperienza di vita hanno via via valorizzato. Perché
giocarsi tutto nelle vigorose membra di un ragazzotto tracotante per un quarto
d’ora di spasimo professionalmente provocato?

È questo il vero «amore»? Quello che Dante definisce
come «l’unimento spirituale de l’anima e della persona amata»?

Sì, queste nonne che tentano di sfuggire dal ruolo che
una imperturbabile natura continua comunque ad assegnare loro, in fondo
suscitano una sorta di amara tenerezza.

Hanno frainteso il vento dei cambiamenti e
dell’emancipazione della donna. Hanno pensato che quell’emancipazione, oltre a
restituire loro i diritti per troppi secoli negati, avrebbe restituito anche la
gioventù perduta.

E questa è forse la più triste delle illusioni.
Monica

3. La diocesi di Malindi


Contro prostituzione,
pedofilia e traffico di persone

Pedofilia,
prostituzione e traffico di esseri umani sono problematiche presenti nella
diocesi di Malindi e difficili da trattare. Necessitano anche dell’intervento
del governo. Noi, come diocesi, abbiamo messo delle regole: ad esempio nessuno
straniero può visitare o fare delle foto nelle nostre scuole senza permesso.

Per il problema della pedofilia la diocesi ha un «Ufficio
per la protezione del bambino» che si interessa dei casi che ci vengono
segnalati. Vogliamo essere sicuri che giustizia sia fatta.

Più difficile è per la prostituzione, perché occorrerebbe
trovare un’alternativa appetibile per le persone coinvolte, al fine di
toglierle dalla strada. Molte prostitute arrivano dall’interno del paese
proprio per fare quello e guadagnare denaro alla svelta.

Ci scontriamo poi con la difficoltà di convincere i
bambini delle nostre scuole che l’educazione è importante per il loro futuro.
Loro vedono che quelli che sono andati a scuola hanno difficoltà a trovare un
lavoro, mentre quelli che hanno deciso di andare con uno straniero vivono vite
migliori.

A
livello operativo la diocesi di Malindi ha messo in campo programmi nei vari
settori: educazione, micro finanza, dialogo e azione, genere e gioventù. Il
settore educazione è fondamentale per inculcare nei ragazzi uno stile di vita
responsabile fin dalla tenera età. In particolare parliamo loro di
autoprotezione, sessualità, relazioni, droga, abuso di sostanze, Aids e altre
malattie.

Inoltre lavoriamo insieme con gli insegnati per un
approccio globale di protezione dell’infanzia.
Anche coltivare i temi spirituali di allievi e studenti è
importante.
Con il settore micro finanza si cerca di aiutare le
famiglie a prendersi cura dei figli, in modo da ridurre i rischi di
prostituzione.
Abbiamo anche un programma di sensibilizzazione per
mettere in guardia sui problemi del matrimonio precoce.
Sugli stessi temi cerchiamo di interessare non solo i
nostri studenti ma anche i giovani in generale con il nostro «Ufficio per la
gioventù».

padre Ambrose Muli
parroco della cattedrale di Malindi

4. Per un sorriso: discriminazioni stradali


Occhio al poliziotto

Il
Comitato degli italiani all’estero (Comites), organismo che assiste gli
italiani nel mondo, riceve molte proteste da parte di concittadini residenti
sulla costa del Kenya che lamentano una disparità di trattamento tra loro e gli
autoctoni per quanto attiene alle infrazioni, soprattutto a quelle conceenti
la circolazione su strada.

«Gli africani viaggiano senza casco in motocicletta,
senza cinture di sicurezza in auto, sorpassano in curva e sui dossi,
parcheggiano dove pare a loro, caricano i loro mezzi all’inverosimile… Tutto
sotto lo sguardo indifferente della polizia, ma se noi commettiamo anche la più
piccola di queste infrazioni, ecco che scattano l’arresto, le manette e le
estenuanti comparizioni in corte. Questa non si chiama discriminazione?».

Sì.
Dovremmo chiamarla proprio così e non si tratta di una gran rivelazione perché
l’esercizio di queste differenze è quotidianamente sotto gli occhi di tutti.

Basta guardare i piki-piki (motorette-taxi):
nessuno indossa il casco. Né i guidatori né i passeggeri che spesso sono due,
se non tre, spremuti come acciughe alle spalle del guidatore che e costretto a
condurre il mezzo con il manubrio premuto sull’ugola. Non è del tutto vero, però,
che la polizia se ne disinteressi totalmente. Qualche volta ferma anche loro e
applica una modesta tassa-informale (il kitu-kidogo) oggettivamente rapportata
alle loro tasche. È ovvio che, quando l’infrazione è commessa da un «viso
pallido», l’interesse dei solerti controllori del traffico diviene molto più
rigoroso, ma non direi che si tratta di vera e propria discriminazione basata
sul colore della pelle, piuttosto di un giudizio pratico commisurato al
portafoglio del trasgressore.

Come
possiamo difenderci? Dobbiamo pretendere che tutti i trasgressori, bianchi e
neri, incontrino gli stessi rigori della legge. Sarebbe giusto, ma anche
estremamente faticoso e alla fine la nostra pretesa si rivelerebbe più spesso
infruttuosa. Perché, allora, non fare la cosa più semplice e indolore:
rispettare le regole e non metterci dalla parte del torto?

Del resto, in nessuna parte del mondo, chi la fa franca
infrangendo la legge, autorizza gli altri a fare impunemente altrettanto.

Artemide
(un italiano in Kenya dagli anni Sessanta)

Redazione MC e Out of Italy

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