Faso. Fondata nel 1966 da don Aldo Benevelli, 7 anni dopo i primi volontari
giunsero nell’allora Alto Volta. Da quel giorno tante realizzazioni, ma soprattutto
storie di persone, incontri, relazioni. Scopriamo
questa storia positiva che lega Italia e Africa dalle parole dei protagonisti.
Riccardo Botta è tornato in Burkina Faso per
festeggiare i 40 anni di attività dell’Ong Lvia (Lay
volonteer inteational association, www.lvia.it) nel paese. Lui
è stato tra i pionieri, nel primo gruppo di volontari che con Lvia sono partiti
alla volta del Burkina Faso. A Donsè, Riccardo metteva le basi di una storia.
Erano gli anni Settanta.
«È
ancora vivo nella memoria il momento in cui nel lontano ’73, su richiesta del
cardinale Paul Zoungrana, mettemmo piede in Alto Volta, come allora era
chiamato il Burkina Faso. Trovammo un paese sconvolto dalla siccità. Partimmo
in cinque per dar vita, con la diocesi di Ouagadougou e i ministeri della Sanità
e dell’Agricoltura del Burkina Faso, al primo programma di cooperazione». Così
ricorda Riccardo Botta. Infermiere in pensione, quando era poco più che
ventenne entrava a far parte del gruppo di giovani Lvia che allora – era il
1966 – si stava costituendo sotto la guida di un carismatico don Aldo
Benevelli. Continua: «Don Aldo era un prete guru; schieratissimo contro la
guerra del Vietnam, il suo monito era “Cambiate le vostre spade in vomeri!”.
Erano anni di grande fermento, di ideali, di desiderio di prendere posizione e
attivarsi».
«Il nascente gruppo Lvia era figlio del clima post
conciliare – spiega don Aldo Benevelli, che ricorda i primi passi dell’associazione.
Con il Concilio Vaticano II si faceva strada l’idea di una Chiesa nuova e a noi
interessava soprattutto il rinnovamento del cristiano, come uomo che sta vicino
all’uomo. Nasceva a Cuneo un gruppo di giovani eterogeneo, cattolici, laici, provenienti
dal mondo del sindacato e dell’università, ma con uno sguardo sul mondo basato
sui medesimi valori».
Nel 1972 iniziava la grande siccità nel Sahel che colpì
oltre 50 milioni di persone. Una tragedia umanitaria che per la prima volta
portava alla ribalta sui grandi mass media mondiali questa, allora poco
conosciuta, regione africana. Dal contatto tra don Aldo Benevelli e i padri
Camilliani in Burkina Faso, nasce l’impegno di Lvia nel paese per affrontare la
carestia. Continua Riccardo: «Partimmo con alcuni giovani di Ivrea, dove mons.
Luigi Bettazzi aveva fondato un gruppo come il nostro. Nel villaggio di Donsè
costruimmo la nostra sede, una modesta capanna; avevamo un solo motorino ed
eravamo distanti dalla capitale 35 km, da percorrere senza strade asfaltate.
Facevamo una vita spartana, bevevamo l’acqua del barrage (diga),
raccogliendola con i bidoni e filtrandola e mangiavamo un piatto a base di
miglio e foglie. Eravamo gli unici cooperanti in quell’area e volevamo portare
un messaggio di condivisione. Dovevamo vivere come gli altri. La differenza tra
noi e i cooperanti in capitale era abissale, tanto che eravamo soprannominati
“i mendicanti”».
Mons. Jean-Marie Untani Compaoré allora era responsabile
della Diocesi di Ouagadougou, il partner che accolse Lvia in Burkina Faso. Oggi
ancora vicino all’associazione, ricorda: «La venuta degli amici italiani era
stata annunciata nel 1972 in chiesa, nel quadro delle celebrazioni eucaristiche
in cui erano presentati i tre precursori della Lvia, dei “bianchi”. A seguito
di questa visita di conoscenza, i primi volontari cominciarono ad arrivare a
Donsè, ospitati presso il Centro di formazione dei catechisti. Non tardarono a
iniziare le attività». Cominciava così il primo programma agricolo-sanitario e
la costruzione del primo dispensario a Donsè, con due casette per il ricovero e
le consultazioni.
Negli anni ’80 e ‘90 le competenze locali aumentavano e le
istituzioni erano più presenti. Ezio Elia è partito per il Burkina Faso nel 1989:
«Conoscevo la Lvia da sempre, fin da bambino andavo a messa alla cappella dei
ferrovieri da don Aldo Benevelli. La mia destinazione è stata la città di
Ziniaré. Lavoravamo con le autorità governative ma anche con i villaggi. Molti
dei miei colleghi erano burkinabè e il loro ruolo era fondamentale per
accompagnare i villaggi nella scelta delle infrastrutture da costruire – una
scuola, un pozzo, un mulino – per aiutarci a capire le dinamiche in atto
indicandoci, ad esempio, se ci fosse in quel villaggio un gruppo abbastanza
coeso da poter gestire una futura struttura».
Era il 1993 quando, alla fine di un lungo programma di
sviluppo integrato promosso da Lvia, il gruppo di animatori impegnati nel
progetto decise di auto organizzarsi per proseguire e consolidare i risultati
raggiunti. Otto persone fondarono l’Associazione di Aiuto agli Agricoltori
(Ask, acronimo in lingua locale, il mooré), che oggi con 7.000 contadini associati è
un’organizzazione di riferimento per la regione del Plateau Central.
I
quarant’anni di Lvia sono stati anche l’occasione per celebrare i vent’anni di
esistenza dell’Ask. Marcel Koutaba, il suo fondatore, ha iniziato negli anni
Settanta a lavorare con Lvia come autista. Accompagnava nei villaggi gli animatori,
che si occupavano di seguire i produttori nella realizzazione delle attività
agricole: «Ho potuto approfondire il ruolo dell’agricoltura nello sviluppo
dell’Europa e ho capito che dovevamo proteggere i nostri agricoltori contro la
crescente urbanizzazione, che stava sradicando la nostra cultura agricola e che
avrebbe ostacolato lo sviluppo del paese. Il mio interesse alle questioni
agricole ha portato Lvia a formarmi e quindi impiegarmi come animatore. Insieme
ad altri sette colleghi che, come me, avevano lavorato con Lvia, ho fondato
l’Ask, nel 1993 a Donsè. Già negli anni Settanta, Lvia era impegnata per lo
sviluppo di queste aree rurali, dove la popolazione viveva in piccoli villaggi
privi dei servizi di base. Questi interventi, però, non si sono limitati alla
foitura di servizi, ma Lvia ha coinvolto la popolazione, creando maggiore
consapevolezza e competenza diffusa sul territorio. Queste competenze e lo
spirito associativo ci hanno supportato e ci hanno dato forza nella nostra
scelta di fondare l’Ask. Abbiamo cioè preso coscienza del nostro ruolo di
agricoltori e ci siamo resi conto di avere l’opportunità di rispondere ai
bisogni del nostro territorio, di unire gli sforzi per aiutare i nostri
connazionali a restare nel proprio paese vivendo del proprio lavoro».
Tra i
soci onorari dell’Ask, il presidente della federazione di Ong cristiane Focsiv
– Volontari nel mondo, Gianfranco Cattai, che da molto tempo conosce
l’associazione, riflette: «Grazie alla saggezza degli anziani, il dinamismo dei
giovani, il pragmatismo delle donne, durante questi vent’anni l’Ask ha
sviluppato l’economia locale, suscitando l’entusiasmo dei giovani, creando
opportunità di impegnarsi localmente e in molti casi evitando l’esodo verso la
città o l’emigrazione. L’Ask è un insieme di buone pratiche che noi in Italia
dovremmo conoscere, un percorso di persone che hanno creduto in loro stesse e
hanno avuto la speranza delle trasformazioni del loro territorio e della qualità
della vita della propria comunità».
Oggi
l’équipe di Lvia in Burkina Faso è costituita da sedici burkinabè e quattro
cooperanti italiani. Una di loro è Cristina Daniele. Per lei l’Ong di Cuneo è
stata una scelta professionale. Ma c’è anche altro: «Ho colto l’opportunità del
servizio civile internazionale e sono partita con Lvia, facendo una prima
esperienza di cooperazione con cui ho potuto mettermi alla prova e capire se la
vita del cornoperante potesse fare per me. Ho scelto di restare. E nello
scegliere questa strada, c’è la consapevolezza che non si tratta solo di un
lavoro ma di una passione, di una forte motivazione, un credere nella
possibilità di generare cambiamento».
Dallo
stesso spirito sono mossi Emile, Ousmane, Jean Paul, Clémence e altri burkinabè
che non solo lavorano con l’Ong, ma sono protagonisti di questo movimento
associativo.
A
problemi globali, soluzioni locali. Il mondo è un tutto e ciò che si fa in
Burkina può influenzare gli stili di vita in Italia, le decisioni che si
prendono al Nord possono avere ripercussioni anche al Sud. Così, mentre lavora
in Burkina Faso per migliorare, ad esempio, sicurezza alimentare e ambiente, in
Italia Lvia cerca di sensibilizzare i cittadini a un consumo attento e
responsabile.
Marco
Alban è l’attuale responsabile di Lvia in Burkina Faso. Per lui, la
cooperazione non è solo una questione tecnica: «Lo sviluppo non è solo
realizzare, ad esempio, un pozzo. Il vero sviluppo è la dinamica che c’è dietro
questo pozzo, ciò che ha motivato e permesso la sua realizzazione, ciò che ne
garantirà la sua conservazione e sostenibilità. Si ha la tendenza a immaginare
l’Ong del Nord che viene a lavorare in un paese del Sud come se si trattasse di
un flusso unilaterale. Invece, Lvia ha sempre messo l’accento sulla reciprocità
nel suo cammino e, in questi anni di cooperazione, i legami e le relazioni tra
gli uomini restano uno dei patrimoni più importanti. C’è una grande differenza
tra considerare le popolazioni come beneficiarie e considerarle, a tutti gli
effetti, come partner. Non si tratta di svilupparle, ma di sostenere
un’iniziativa locale. Bisogna tirarsi su le maniche per lavorare e camminare
insieme. Per fare ciò, bisogna saper ascoltare, dialogare e darsi tempo per
comprendere. Si dice che conoscere un villaggio significhi conoscere il mondo …».
Stampa Lvia in Italia.
Tag: Burkina Faso, Lvia, cooperazione, volontariato
Lia Curcio