registra un crescente numero di immigrati (un totale di mezzo milione a
febbraio 2013, per una popolazione di poco inferiore ai 40 milioni). L’ingresso
nell’Unione europea e la crescita economica stanno attraendo persone, aziende e
investimenti. E il governo cerca di far rientrare i «cervelli in fuga».
La Polonia è stata per lungo tempo un paese di
emigrazione. La Germania ospita la maggior parte degli emigranti polacchi, ed è
seguita dagli Stati Uniti e dall’Italia. Fra i motivi più ricorrenti di
soggiorno all’estero, al primo posto c’è sicuramente il lavoro, in particolare
nell’ambito della collaborazione domestica e famigliare, al secondo e al terzo
posto i ricongiungimenti famigliari e i motivi religiosi. I polacchi in Italia
sono concentrati soprattutto a Roma e nel Lazio.
I
primi polacchi stabilitisi nel nostro paese furono i 100.000 soldati del II
corpo d’armata che decisero di rimanere in Italia alla fine della seconda
guerra mondiale. Nel secondo dopoguerra i flussi possono essere divisi in due
grandi ondate: prima e dopo la caduta del muro di Berlino. Una terza fase è
stata poi inaugurata con l’ingresso della Polonia nell’Unione europea nel 2004.
Prima
della caduta del muro di Berlino, la maggior parte delle emigrazioni era a
carattere politico-ideologico, per fuggire al regime comunista. Spesso l’Italia
era solo una terra di passaggio verso i più ambiti Stati Uniti. Certamente
l’elezione a papa di Karol Wojtyla ha valorizzato l’Italia come sbocco per
l’emigrazione, non solo politica, ma anche religiosa. Inoltre nei primi anni
Ottanta la Polonia fu colpita da una profonda crisi economica, nel paese venne
promulgata la legge marziale e il sindacato Solidaosc fu messo al bando.
Questo favorì una nuova predisposizione positiva e sentimenti di accoglienza
nei confronti dei migranti polacchi da parte dei paesi non appartenenti al
blocco comunista. In quel periodo migrarono soprattutto intellettuali, docenti
universitari, medici e ingegneri. Secondo dati ufficiali di fonte polacca
riportati da uno studio del 2006, Polonia. Nuovo paese di frontiera. Da
migranti a comunitari, di Caritas Italiana, nel corso degli anni 1981-1989
il 3,7% del totale degli emigranti polacchi definitivi e il 5,7% di quelli
temporanei scelsero l’Italia come paese di arrivo.
La
caduta del muro di Berlino ha dato il via alla seconda fase dell’emigrazione
polacca in generale, e dei flussi verso l’Italia in particolare: questi flussi
non erano più motivati da ragioni politiche bensì economiche. Aprendosi
all’economia di mercato la Polonia aveva, infatti, assistito a un aumento del
costo della vita e contemporaneamente della disoccupazione. Motivi che hanno
portato, non solo in Polonia, ma anche negli altri paesi del blocco ex
comunista, a un esodo di massa, di persone tra l’altro con livelli d’istruzione
molto diversi tra loro e molto spesso notevolmente più bassi di quelli dei
precedenti emigranti. Nel 2006, nonostante l’ingresso nell’Unione Europea, il
paese aveva ancora seri problemi occupazionali, con un tasso di disoccupazione
del 17,7%, ritrovandosi inoltre al 24° posto fra tutti i membri dell’Ue a 25
per Pil procapite.
L’ingresso
della Polonia nell’Unione europea ha portato sia a un perdurare delle
migrazioni per lavoro, facilitate appunto dalla libera circolazione dentro
l’area Schengen, sia a una massiccia emigrazione o, per meglio dire,
circolazione di giovani desiderosi di studiare all’estero, di realizzare
esperienze di studio e lavoro non per forza per rimanere stabilmente in Italia,
ma neanche per far ritorno stabilmente in Polonia: quello che negativamente
viene definito «fuga dei cervelli» ma che può anche essere valutato
positivamente come lo sviluppo di un flusso di giovani, realmente europei,
cosmopoliti, tesi verso orizzonti più ampi.
Da
quando la Polonia è entrata nell’Unione europea nel 2004, però, anche
l’immigrazione e le richieste di cittadinanza da parte di stranieri sono
aumentate, non solo per ragioni di convenienza, ma anche perché il paese è
apparso, soprattutto nel corso degli ultimi anni, sempre più dinamico e in
rapido sviluppo. Da questo punto di vista, la situazione polacca ha molti
tratti di somiglianza con quella italiana di fine anni Settanta poiché, pur
perdurando una forte emigrazione, i flussi in entrata cominciano a diventare
sempre più significativi. Dopo la seconda guerra mondiale e fino all’ingresso
del paese nell’Unione europea, infatti, i flussi di ingresso sono rimasti molto
bassi, in media tra i 1.500 e i 3.000 ingressi annuali. Con la caduta del muro
di Berlino le cose hanno cominciato a cambiare facendo registrare nel 1989
l’arrivo di 4.124 immigrati, mentre nel 2001 il loro numero era quasi
raddoppiato, raggiungendo le 7.740 persone (Caritas Migrantes 2006). A febbraio
2013 il numero degli immigrati, provenienti prevalentemente da alcuni paesi ex
sovietici, tra i quali Ucraina, Russia, Georgia e Bielorussia, aveva ormai
raggiunto e superato il mezzo milione. Se è vero, inoltre, che in molti casi si
tratta di migrazioni di ritorno, è anche vero che l’immigrazione in Polonia si
può collocare nella tendenza globale dei nuovi flussi migratori, anche in
seguito alla crisi economica che ha colpito alcuni paesi europei, tra cui
l’Italia, a partire dal 2008.
L’immigrazione
rimane comunque ancora a bassi livelli in Polonia, nonostante il numero di
persone in arrivo sia in rapida crescita, anche perché la forte emigrazione di
polacchi ha portato ora alla mancanza e dunque alla richiesta di forza lavoro,
specialmente in alcuni settori come quello della cura e dell’assistenza agli
anziani. Come in molti altri paesi membri dell’Unione europea, la società
infatti sta invecchiando, e anche in Polonia serve qualcuno che si prenda cura
degli anziani. In un’intervista alla rivista europea online Cafè Babel,
realizzata nel 2012, Piotr Bystrianin della Fundacja Ocalenie
(Fondazione Salvezza), che si occupa di aiutare gli immigrati nei corsi di
lingua polacca e nella ricerca di lavoro, sostiene comunque che ci sia ancora
molto da fare prima di trasformare la Polonia nella «meta favorita» dei
migranti, perché la situazione nelle campagne è molto diversa da quella nella
capitale.
Essere
un paese di nuova immigrazione può rappresentare per la Polonia un vantaggio se
sarà in grado di apprendere dalle esperienze degli altri paesi già mete
storiche di immigrati.
Questo
è stato uno degli obiettivi della conferenza internazionale «Children
migrants and third culture kids. Roots and routes» che si è svolta a
Cracovia, presso la Jagiellonian University, lo scorso giugno. Il focus della
conferenza in particolare era l’impatto delle migrazioni sui bambini, sia su
coloro che rimangono nei paesi di origine e sono costretti a separarsi da uno o
da entrambi i genitori, sia su coloro che seguono i genitori nel percorso
migratorio o, ancora, nel ritorno in patria dopo un periodo passato all’estero.
La
conferenza, coinvolgendo professionisti e ricercatori di paesi europei di più
antica immigrazione, è stata l’occasione per condividere esperienze e
riflessioni riguardanti le conseguenze delle migrazioni sui bambini e le
strategie migliori, le cosiddette best practices, per l’apprendimento (o
il riapprendimento) della lingua, l’inserimento nel contesto della società di
accoglienza, il mantenimento della propria cultura e della propria religione.
La conferenza è stata anche l’occasione, soprattutto per i politici, i
ricercatori e gli operatori delle associazioni che in Polonia si occupano di
migrazione e intercultura, di beneficiare della riflessione su punti di forza e
di debolezza delle esperienze già realizzate altrove. In particolare
l’esperienza italiana, per il comune background religioso e tratti
simili della storia migratoria, ha portato a interessanti riflessioni e
costruttivi confronti.
Con
l’ingresso nell’Unione europea, oltre ai singoli migranti, anche molte aziende
hanno cominciato a installarsi in Polonia, tant’è vero che Varsavia è stata
considerata la seconda città, dopo Londra, più attrattiva per le imprese, come
riportato da un altro recente articolo di Cafè Babel. Insieme a
immigrati e aziende, sono arrivati massicci investimenti che hanno comportato,
per lo meno nelle grandi città, aumento dei salari, miglioramenti nello
standard di vita e crescita del ceto medio. Grande impulso allo sviluppo del
paese inoltre è stato dato con gli europei di calcio ospitati dalla Polonia
(insieme all’Ucraina) nel 2012, per i quali (o grazie ai quali) sono state
costruite diverse infrastrutture: una linea metropolitana, strade, hotel e uno
stadio. Oltre ai vantaggi economici, i campionati europei di calcio hanno
portato anche un vento di ottimismo e modeizzazione, sostenuto comunque dai
bilanci positivi degli ultimi anni. L’economia polacca sembra infatti l’unica a
ottenere risultati positivi in questo periodo di crisi finanziaria europea: nel
2010 il Pil della Polonia è cresciuto del 3,8%. Più velocemente che in
Germania.
I
polacchi nel mondo hanno massicciamente contribuito allo sviluppo del paese e
al benessere delle famiglie rimaste in patria attraverso l’invio di rimesse,
che ogni anno ammontano a circa 900 milioni di dollari. Alcune ricerche hanno
anche evidenziato la tendenza crescente dei migranti Polacchi a rimpatriare per
investire in loco i risparmi accumulati all’estero. Oltre che dai rientri
spontanei dei migranti polacchi, la riduzione della cosiddetta «fuga dei
cervelli» è accompagnata anche dal governo che sta, da parte sua, tentando di
riportare a casa i propri giovani. Con il sostegno dei fondi stanziati
dall’Unione europea, infatti, la Polonia sta sostenendo iniziative per
agevolare i giovani ricercatori nell’avviare una carriera in patria. Un esempio
è il programma Homing Plus della Fondazione di Ricerca Polacca (Fnp). Il
problema di programmi come questo è però che esso risulta essere molto limitato
e può coinvolgere solo un piccolo numero di ricercatori, dato che le borse di
studio a disposizione sono ogni anno solo 15. Un altro interessante progetto,
attivato nel 2007, è il sito powroty.gov.pl che vede più di 10.000
accessi settimanali. Il sito offre diversi servizi tra cui numerose
informazioni per coloro che vogliono rientrare in patria.
La
migrazione polacca così come l’intero paese sono caratterizzati da una profonda
religiosità, a forte impronta nazionalista. Forse anche questo determina la
scelta di Roma, tra le città italiane, come meta privilegiata. La maggior parte
degli immigrati polacchi in Italia dichiara infatti di coltivare e mantenere
rapporti con una struttura religiosa in Italia (Caritas Migrantes 2006). Per
gli immigrati polacchi i luoghi di culto non sono solo importanti per le
attività liturgiche e spirituali, ma diventano anche importanti centri di
ritrovo e di trasmissione ai figli della cultura di origine, ovvero punti di
riferimento non solo religioso, ma anche (e soprattutto) identitario.
Viviana Premazzi