Nel nome della libertà
In povertà e in ricchezza / 2
«Lo chiedono i mercati», «Non ci sono soldi», «Lo stato sociale
è un lusso», e poi – per chiudere la discussione – «La questione è molto più
complessa». In un’epoca dominata dall’iperinformazione, l’economia vive di
bugie vendute come dogmi. I risultati sono drammatici e vengono pagati con l’erosione
quotidiana della democrazia. Esistono alternative a un sistema sempre più
ingiusto? Una cosa è certa: così non si può proseguire. «L’infelicità degli
altri ci riguarda», anche perché – ragionando egoisticamente – «il tuo
malessere minaccia la mia tranquillità».
Anno 2001: al culmine della
crisi argentina, Buenos Aires è percorsa giorno e notte da 40mila cartoneros,
che recuperano cartoni e qualsiasi rifiuto utile alla loro sopravvivenza.
Anno 2014: l’Italia, nona potenza
mondiale1, vive il settimo anno di una crisi che pare senza fine. Di questi
tempi il fatto che la grande maggioranza degli italiani continui a non
praticare la raccolta differenziata2 diventa una fortuna. In tal modo, tra l’immondizia, si trovano più
rifiuti da recuperare: cibo, materiali riciclabili (plastica, alluminio, legno,
carta, vetro), cose riutilizzabili (vestiti, oggetti, giochi).
A tutte le ore del giorno e della
notte, donne e uomini setacciano con cura i cassonetti delle nostre città.
Difficile non accorgersi del loro numero in aumento anno dopo anno. Le persone
più organizzate girano con attrezzi utili allo scopo: un uncino di ferro per
aprire i sacchetti o agganciare qualcosa, una torcia per vedere meglio
all’interno dei cassonetti, un carrellino con le rotelle per trasportare ciò
che viene recuperato, oppure una vecchia bicicletta con un cestino capiente.
Un tempo la pratica era esclusiva di
rom e stranieri, oggi non è più così: ci sono anche gli italiani, nella maggior
parte dei casi persone anziane, quasi sempre sole. D’altra parte le statistiche
fanno rabbrividire. Nel 2012 la povertà relativa ha riguardato il 15,8% della
popolazione italiana (pari a 9 milioni 563 mila persone), quella assoluta l’8%
(4 milioni 814 mila persone)3. La disoccupazione ha superato il 12%, quella giovanile
addirittura il 40%.
«Un italiano su sei – scrive Sbilanciamoci!
nel suo rapporto 2014 – non trova lavoro e, tra chi lavora, uno su quattro ha
un lavoro precario. […] Con il degrado sociale crescono le spinte razziste e
xenofobe, aumentano i reati, si allarga l’economia criminale»4. La situazione italiana è ormai
insostenibile e potenzialmente esplosiva5. Anche per l’assenza di uno
strumento d’emergenza quale il «reddito minimo garantito» e la presenza di «problemi
genetici» (evasione fiscale, economia criminale e corruzione; vedere box),
molto gravi e apparentemente insolubili.
Le tasse (non progressive) e
la fuga dei capitali
L’economia – la «scienza triste»6 – ci spiega che le crisi sono
cicliche. Nessuna obiezione al riguardo. Tuttavia, essa evade (almeno) tre
domande: perché a pagare sono sempre gli stessi soggetti? Perché, nelle crisi,
a salvarsi o spesso a guadagnarci sono sempre i soliti? Perché, in presenza di
una crescita della ricchezza complessiva, le diseguaglianze crescono, nel Nord
come nel Sud del mondo? Le contraddizioni del sistema economico vigente sono
diventate talmente palesi (e pericolose) che hanno iniziato ad ammetterlo
addirittura le organizzazioni economiche inteazionali (come l’Fmi7) e i media allineati con l’ortodossia
della globalizzazione neoliberista.
«È tristemente facile – ha scritto ad
esempio lo statunitense Time – imbattersi in statistiche secondo cui i
ricchi stanno diventando sempre più ricchi mentre la classe media e i poveri
stanno a guardare»8. E l’inglese The Economist: «Ci hanno pensato le
privatizzazioni (ma non erano la panacea di tutti i mali?, ndr) a
indebolire ulteriormente la ricchezza dei lavoratori».
In questo desolante panorama c’è
dunque qualcosa di buono: finalmente anche in alto si è iniziato a mettere in
discussione il sistema. Una volta a farlo erano soltanto i movimenti
altermondialisti9, spesso demonizzati.
Le libertà economiche «divinizzate»
dalla globalizzazione neoliberista stanno riducendo o compromettendo i diritti
della grande maggioranza della popolazione mondiale: dal diritto a un lavoro
dignitoso ai diritti sociali (sanità, educazione, previdenza) fino ai diritti
ambientali delle generazioni future.
«Nel nome della libertà – ha scritto
Ronald Dore della London School of Economics -, non vi è solo più
diseguaglianza, ma anche una maggiore tolleranza delle diseguaglianze»10. Secondo Joseph Stiglitz, la stessa
democrazia è in pericolo, perché i governi non sono più liberi di usare il
fisco, strumento prioritario per ridurre le diseguaglianze. Scrive il premio
Nobel per l’economia: «Quella che viene chiamata competizione fiscale – la gara
tra i diversi sistemi politici per la minore imposizione fiscale – limita
infatti le possibilità di una tassazione progressiva. Le imprese minacciano di
andarsene se le tasse sono troppo alte. E lo stesso fanno gli individui ricchi»11.
Per inquadrare la situazione, è
sufficiente un dato sui movimenti di capitali «non produttivi», una vergogna
mondiale cui il sistema non vuole porre rimedio. Secondo Tax Justice Network,
almeno 21 mila miliardi di dollari sarebbero depositati in paradisi fiscali, un
valore quasi pari al Pil di Stati Uniti e Giappone12.
Concentrazione versus
distribuzione
Dagli Stati Uniti alla Cina, il mondo
è stato unificato sotto un’unica filosofia economica, quella della
globalizzazione neoliberista. Tuttavia, a dispetto di questo denominatore
comune, i paesi – come vedremo – non sono tutti eguali.
La disparità nella distribuzione dei
redditi (e della ricchezza) è misurabile con l’«indice Gini»: si tratta di un
indice di concentrazione il cui valore può variare tra zero e uno (o tra 0 e
100 se si ragiona in termini di percentuale). Valori bassi indicano una
distribuzione abbastanza omogenea, valori alti una distribuzione più disuguale,
con il valore 1 (o 100) che corrisponderebbe alla concentrazione di tutto il
reddito del paese nelle mani di una sola persona.
Nella classifica dell’indice Gini
(calcolato negli anni tra il 2004 e il 2011), tra i paesi con la peggiore
distribuzione dei redditi troviamo la gran parte dei paesi africani, tre paesi
latinoamericani (Haiti con un valore pari a 59,2, la Colombia con 58,5 e il
Guatemala con 55,1), e ben tre grandi potenze mondiali (la Cina con 47,4, gli
Stati Uniti – in progressivo peggioramento13 – con 45, e la Gran Bretagna con 40,
anch’essa in peggioramento e ultima tra i paesi europei). Alcuni paesi
latinoamericani, conosciuti per le loro diseguaglianze, negli ultimi anni sono
migliorati, pur rimanendo molto diseguali: il Brasile (passato da 55,3 a 51,9),
la Bolivia (da 57,9 a 53), il Messico (da 53,1 a 48,3) e soprattutto il
Venezuela (da 49,5 a 39). Infine, i paesi del mondo con la migliore
distribuzione sono tutti europei: la Svezia (23), la Norvegia (25), la Finlandia
(26,8), l’Austria (26,3) e la Germania (27).
Quanto
all’Italia – con un indice di 34 (era 27) – è al secondo posto nell’Unione
europea per livello di disuguaglianza nella distribuzione dei redditi,
preceduta soltanto dalla Gran Bretagna14.
Si tratta di numeri soggetti a
interpretazioni e contestazioni, ma sono significativi e disegnano un mondo in
linea con la realtà quotidiana15.
I meccanismi sacralizzati del
sistema
Tra le tante analisi sulla situazione economica
mondiale, c’è quella di papa Francesco. Si trova nella Evangelii Gaudium,
l’esortazione apostolica uscita nel novembre 2013. «Non è compito del papa –
scrive Bergoglio – offrire un’analisi dettagliata e completa sulla realtà
contemporanea», ma in realtà, l’analisi del pontefice è tanto chiara nelle
parole quanto esplicita nelle critiche al sistema.
«La maggior parte degli uomini e delle donne del nostro
tempo – si legge nel capitolo secondo – vivono una quotidiana precarietà, con
conseguenze funeste. Aumentano alcune patologie. Il timore e la disperazione si
impadroniscono del cuore di numerose persone, persino nei cosiddetti paesi
ricchi. La gioia di vivere frequentemente si spegne, crescono la mancanza di
rispetto e la violenza, l’inequità diventa sempre più evidente. Bisogna lottare
per vivere e, spesso, per vivere con poca dignità».
Le
parole del papa nascono (anche) dall’esperienza diretta. Durante la devastante
crisi argentina il cardinale Bergoglio era arcivescovo di Buenos Aires e in
quella veste aveva avuto parole di fuoco contro il sistema, parlando di un «vero
terrorismo economico finanziario»16.
«Oggi
– prosegue la Evangelii Gaudium – tutto entra nel gioco della
competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più
debole. Come conseguenza di questa situazione, grandi masse di popolazione si
vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie di
uscita». «In questo contesto, alcuni ancora difendono le teorie della “ricaduta
favorevole”, che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero
mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale
nel mondo. Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime
una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere
economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante. Nel
frattempo, gli esclusi continuano ad aspettare». Parole tanto forti da
provocare la reazione (risentita) dell’Economist, che accusa il papa di
riflettere una posizione ideologica di sinistra17.
«Mentre i
guadagni di pochi crescono esponenzialmente – si legge ancora nell’esortazione
apostolica al numero 56 -, quelli della maggioranza si collocano sempre più
distanti dal benessere di questa minoranza felice. Tale squilibrio procede da
ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione
finanziaria. Perciò negano il diritto di controllo degli stati, incaricati di
vigilare per la tutela del bene comune. Si instaura una nuova tirannia
invisibile, a volte virtuale, che impone, in modo unilaterale e implacabile, le
sue leggi e le sue regole».
Sono affermazioni sorprendenti per un
papa? Non proprio. Già nella Caritas in Veritate, l’enciclica del 2009
di papa Benedetto XVI, si affrontavano con chiarezza i temi imposti
dall’economia globalizzata: lo sviluppo, le disparità crescenti, la precarietà,
i diritti dei lavoratori18.
Nel capitolo secondo si legge, ad
esempio: «L’esclusivo obiettivo del profitto, se mal prodotto e senza il bene
comune come fine ultimo, rischia di distruggere ricchezza e creare povertà».
Si parla dei «nuovi poveri», della
riduzione dell’intervento redistributivo dello stato e dei sindacati: «Cresce
la ricchezza mondiale in termini assoluti, ma aumentano le disparità. Nei paesi
ricchi nuove categorie sociali si impoveriscono e nascono nuove povertà. […]
le politiche di bilancio, con i tagli alla spesa sociale, spesso anche promossi
dalle istituzioni finanziarie inteazionali, possono lasciare i cittadini
impotenti di fronte a rischi vecchi e nuovi; tale impotenza è accresciuta dalla
mancanza di protezione efficace da parte delle associazioni dei lavoratori».
Ancora più forte – siamo nell’ambito
di un’enciclica papale – risulta essere l’affermazione successiva: «L’insieme
dei cambiamenti sociali ed economici fa sì che le organizzazioni sindacali
sperimentino maggiori difficoltà a svolgere il loro compito di rappresentanza
degli interessi dei lavoratori, anche per il fatto che i governi, per ragioni
di utilità economica, limitano spesso le libertà sindacali o la capacità
negoziale dei sindacati stessi».
Tutto ciò si riflette negativamente
sulla condizione dei lavoratori: «Quando l’incertezza circa le condizioni di
lavoro, in conseguenza dei processi di mobilità e di deregolamentazione,
diviene endemica, si creano forme di instabilità psicologica, di difficoltà a
costruire propri percorsi».
In un’epoca dominata dalla filosofia
(e dalla pratica) individualista, risulta (ancora) più difficile parlare di
interessi collettivi, etica pubblica, solidarietà. Diventa così indispensabile
far leva sull’interesse personale per raggiungere (almeno) l’obiettivo minimo
della convivenza civile. «Il tuo malessere minaccia la mia
tranquillità», sintetizza Ronald Dore19.
Il professor Bruni amplia il
ragionamento. «C’è oggi – scrive – troppa ricerca di felicità private, che,
come tutti i beni privati, sono rivali e a “somma zero” (cioè la maggiore
felicità dell’uno è a scapito di quella degli altri). […] La pubblica felicità
ci dice invece qualcosa di diverso e di opposto: non si può essere felici da
soli, e l’infelicità degli altri ci riguarda, soprattutto l’infelicità civile,
come quella dovuta alla disoccupazione, che non è mai faccenda privata ma
sempre pubblica essendo il lavoro al centro del patto sociale. Se riduciamo
questa infelicità pubblica, aumentiamo la felicità di tutti e di ciascuno»20.
Un altro professore di economia
politica, Leonardo Becchetti, conclude affermando che «il progresso dell’uomo
sta nella capacità di accettare limiti alla “libertà di” quando questa rischia
di provocare danni ai propri simili»21. Limiti che la globalizzazione neoliberista – introdotta dagli
Stati Uniti negli anni Settanta – ha via via ridotto o cancellato (deregulation,
si chiama in inglese), per lasciare spazio – è stato spiegato – alla libera
espressione del mercato, foriero di maggiore benessere per tutti. I risultati
di questa scelta sono davanti agli occhi di chi vuole vedere.
Manca poco alle 20,00. Sono appena tornato dal lavoro e sto
per mettermi a tavola. Squilla il telefono. Vado a rispondere di malavoglia.
Dall’altra parte risuona una voce femminile con inflessione straniera. «No,
ancora un call center», penso subito tra me e me.
– In famiglia chi si occupa della linea telefonica?, mi
chiede la donna.
– Guardi, non voglio essere antipatico, anche perché
immagino che nel suo lavoro sia costretta a sentire molti insulti senza neppure
poter replicare. Però non voglio cambiare operatore. Mi spiace.
– Mi dica soltanto – continua la telefonista -, qual è la
velocità della sua linea internet?
– Non ricordo, ma mi basta perché io non scarico film dalla
rete.
– Questa è un’offerta unica! Non può perderla, insiste la
donna.
– No, mi spiace. Mi lasci andare a mangiare, per favore. So
che questo mio rifiuto le farà perdere una provvigione, ma la proposta non mi
interessa.
Buon lavoro? Mi rendo conto che possa sembrare una presa in
giro. Le indagini raccontano che i dipendenti dei call centers sono in
maggioranza donne, che quasi tutti posseggono un diploma o addirittura una
laurea e che guadagnano – a seconda del contratto, quand’esso esista e sia
veritiero (di solito le ore contrattuali sono inferiori a quelle reali) – tra i
250 e i 600 euro al mese più una percentuale a seconda dei contratti che
riescono a far sottoscrivere ai clienti (le cosiddette «attivazioni»). Un
settore che occupa almeno 100mila persone, ma che è sempre a rischio «delocalizzazione».
Già oggi molti call centers italiani sono stati spostati in Albania, Romania,
Tunisia. Là i salari costano ancora meno e in più non si rischia un controllo
della Guardia di finanza. Eccola la competizione esasperata imposta dal sistema
neoliberista e soprattutto giocata sulle spalle dei più deboli.
A volte penso che potrei chiedere di essere liberato
dall’invadenza dei call centers. C’è una via facile e legale per impedire che
venga chiamato il proprio numero. Tuttavia, subito dopo questo pensiero, mi
ricredo. Se si togliessero tutti, è probabile che molte persone rimarrebbero anche
senza questa occupazione, pur precaria e malpagata. No, meglio continuare a
farsi disturbare. Forse un giorno risponderò di sì a una proposta. Magari
soltanto per sentirmi meno colpevole.
1 – Nel 2013 l’Italia è stata superata dalla Russia. Questa la classifica: Stati Uniti, Cina, Giappone, Germania, Francia, Brasile, Gran Bretagna, Russia, Italia.
2 – Nel 2012 la percentuale di raccolta differenziata ha raggiunto la misera cifra del 39,9%. E probabilmente il dato è sovrastimato. Fonte: rapporto Ispra 2013.
3 – Fonte: dati Istat del 17 luglio 2013 (www.istat.it).
4 – «Rapporto Sbilanciamoci! Come usare la spesa pubblica per i diritti, la pace, l’ambiente, 2014», a cura di Sbilanciamoci!, pag. 12. Il sito da cui scaricare il pregevole rapporto: www.sbilanciamoci.info.
5 – La cosiddetta «rivolta dei forconi» del dicembre 2013 ne è un esempio.
6 – Si attribuisce la definizione – the dismal science – allo storico inglese Thomas Carlyle (1795-1881). Da più parti sono stati sollevati dubbi anche sul fatto che l’economia sia una scienza.
7 – Nel suo report Fiscal Monitor, Taxing Times dell’ottobre 2013, il Fondo monetario internazionale (Fmi) arriva a suggerire una maggiore tassazione dei redditi più alti e dei patrimoni, una cosa impensabile fino a qualche anno fa.
8 – Si legga: Marx’s revenge: how class struggle is shaping the world (La vendetta di Marx: come la lotta di classe sta plasmando il mondo), Time, 25 marzo 2013. Riprodotto anche dal settimanale Internazionale, n. 1027 del 22 novembre 2013.
9 – Si intende la galassia dei movimenti inteazionali per i quali «un altro mondo è possibile».
10 – Ronald Dore, Il lavoro nel mondo che cambia, Il Mulino, Bologna 2005.
11 – Joseph E. Stiglitz, Il prezzo della disuguaglianza, Einaudi, Torino 2013, pag. 227.
12 – Il sito dell’organizzazione: www.taxjustice.net.
13 – Secondo il prof. Emmanuel Saez, dell’Università di Berkeley, nel periodo 2009-2012 l’1% degli statunitensi ha visto il proprio reddito aumentare del 31,4% contro lo 0,4% degli altri cittadini (3 settembre 2013).
14 – In Italia l’indice Gini è peggiorato sensibilmente nel corso degli anni. Era pari a 27,3 fino al 1995. Fonte: Barbara Bisazza, Distribuzione dei redditi, Italia seconda in Europa per disparità, in Il Sole 24 Ore, 24 giugno 2013. Per le indagini più recenti si veda: www.gini-research.org.
15 – Per evitare possibili contestazioni (del tipo «queste sono considerazioni ideologiche»), abbiamo ricavato questi dati da una pubblicazione di un’istituzione ufficiale, appartenente cioè al sistema e non a esso alternativa: The World Factbook della Central Investigation Agency (Cia), i servizi segreti statunitensi (www.cia.gov).
16 – Si legga l’intervista concessa al mensile 30 Gioi nel 2002. E soprattutto la Lettera della Conferenza episcopale argentina del 17 novembre 2001 (Carta al pueblo de Dios), un mese prima delle rivolte di piazza e delle dimissioni del presidente Feando De La Rua.
17 – «But the same cannot be said about the sections of the document which deal with global economics. In these sections, the ideological position is clear. The passages reflect a particular school of left-wing thought, and they are full of left-wing insights and left-wing blind spots». La frase si può leggere nell’articolo Left, right, left, left del 28 novembre 2013 (www.economist.com).
18 – Caritas in Veritate, Libreria editrice vaticana, giugno 2009. Si veda, in particolare, il capitolo secondo Lo sviluppo umano nel nostro tempo (pag. 29 e seguenti). L’enciclica è facilmente reperibile in rete.
19 – Ronald Dore, Il lavoro nel mondo che cambia, Il Mulino, Bologna 2005, pag. 15.
20 – Luigino Bruni, Economia con l’anima, Emi, Bologna 2013, pagg. 146-147.
21 – Leonardo Becchetti, C’era una volta la crisi, Emi, Bologna 2013, pag. 91.
• Sbilanciamoci!, Rapporto
Sbilanciamoci! Come usare la spesa pubblica per i diritti, la pace, l’ambiente
/ 2014, Roma, 10 novembre 2013.
• Censis, 47° Rapporto
sulla situazione sociale del Paese / 2013, Roma, dicembre 2013.
• Caritas italiana, Dati
e politiche sulla povertà in Italia, Roma, 17 ottobre 2013.
• Caritas italiana, Rapporto
2012 sulla povertà e l’esclusione sociale in Italia. I ripartenti. Povertà
croniche e inedite. Percorsi di risalita nella stagione della crisi, Roma,
17 ottobre 2012.
• Zygmunt Bauman, «La
ricchezza di pochi avvantaggia tutti». Falso!, Laterza 2013.
• Luciano Gallino, Il
colpo di stato di banche e governi, Einaudi 2013.
• Federico Rampini, Banchieri.
Storie dal nuovo banditismo globale, Mondadori 2013.
• Joseph E. Stiglitz, Il
prezzo della disuguaglianza. Come la società divisa di oggi minaccia il nostro
futuro, Einaudi 2013.
• Alessandro Volpi, La
globalizzazione dalla culla alla crisi. Una nuova biografia del mercato globale,
Altreconomia 2013.
• Maurizio Franzini, Ricchi
e poveri. L’Italia e le disuguaglianze (in)accettabili, Università Bocconi
Editore 2010.
• Maurizio Franzini, Disuguaglianze
inaccettabili. L’immobilità economica in Italia, Laterza 2013.
Saggi recenti della
Emi:
• Leonardo Becchetti, C’era
una volta la crisi, Emi, Bologna 2013.
• Luigino Bruni, Economia
con l’anima, Emi, Bologna 2013.
• Papa Francesco, Guarire
dalla corruzione, Emi, Bologna 2013.
• Papa Francesco, Evangelii
Gaudium, 6 novembre 2013 (esortazione apostolica scaricabile – in formato Pdf – dal sito www.vatican.va).
Paolo Moiola