riferimento al problema endemico della fame, al dramma della povertà, alle epidemie
infettive, al diffondersi dell’Aids, alle guerre etniche locali. Ma il grande
pubblico forse non è a conoscenza del fatto che il continente nero è in grado
di esprimere concretamente notevoli potenzialità di sviluppo sul piano
economico, finanziario, industriale e sociale. Rapporti redatti da organismi
come il Fondo monetario internazionale o la Banca mondiale mettono in luce come
l’Africa riservi al mondo delle sorprese per il futuro, quando si rivelerà un
continente in grado di competere con l’Occidente e le altre potenze economiche
del pianeta.
(Nairobi, Kenya, piazza della Holy Family Basilica)
La Cina e le banche
Il primo paese a rendersi conto delle potenzialità
insite nel continente africano, intraprendendo di conseguenza un accelerato
programma di sfruttamento, è stata la Cina. Immediatamente seguita dalle
multinazionali occidentali nei settori agroalimentare e delle
telecomunicazioni. Anche le banche e le agenzie petrolifere, insieme alle
imprese edili e delle infrastrutture, hanno fiutato il business e si
sono adoperate alacremente per agire in territorio africano. Fra le prime
banche a investire in Africa si menziona in particolare la russa Renaissance
Capital. Essa ha aperto a partire dal 2005 sette ultramodei uffici in ben
sette capitali: Johannesburg, Lagos, Lusaka, Lubumbashi, Nairobi, Accra,
Harare. L’ente finanziario russo ha investito in questa gigantesca operazione
più di un miliardo di dollari, dando lavoro a 180 persone.
I
rapporti delle banche e degli istituti di ricerca confermano dunque che
l’Africa è il continente in cui l’economia globale attualmente in crisi può
rivitalizzarsi. Il Fondo monetario internazionale, per esempio, ha dichiarato
che l’area subsahariana vedrà crescere il Pil fino a quasi il 7%, la Nigeria
diventerà la locomotiva dell’Africa e i Brics (Brasile, Russia, India, Cina e
Sudafrica) investiranno sempre di più nel continente nero. Secondo un’indagine
eseguita dalla Banca mondiale (Africa’s Pulse), che ha analizzato lo
stato dell’economia della regione a Sud del Sahara, in questa zona si realizzerà
presto un progresso economico senza precedenti. Inoltre, sempre secondo le
stime del Fondo monetario internazionale, nell’arco di tempo che va dal 2013 al
2016 l’Africa potrà accogliere il 30% degli investimenti mondiali.
Le
analisi effettuate dalla Banca mondiale confermerebbero che a medio termine le
prospettive di crescita in alcune aree dell’Africa rimarranno salde e saranno
rinvigorite e sostenute da un’economia mondiale in graduale miglioramento.
Secondo altri rapporti inteazionali, nel 2012 circa un quarto dei paesi
africani è cresciuto del 7%, mentre stati come Sierra Leone, Niger, Costa
d’Avorio, Burkina Faso, Ruanda, Liberia ed Etiopia hanno evidenziato un
fenomeno impressionante: la più rapida crescita al mondo. Le previsioni in
materia d’investimenti fanno pensare che, con i prezzi delle materie prime
costantemente elevati, gli utili e gli incrementi in infrastrutture regionali
risulteranno maggiori con relativa crescita del commercio e del business.
Quest’ipotesi di crescita è perlomeno verosimile, tanto più se si pensa che da
un punto di vista energetico l’Africa possiede il 10% delle riserve mondiali di
petrolio e l’8% di quelle di gas. La Banca mondiale, inoltre, in base alle
indagini effettuate in loco, ritiene che ad attestare un futuro positivo di
crescita per le economie africane ci siano i seguenti fattori: la ricchezza
mineraria e la crescita del consumo interno, senza contare l’aumento degli
investimenti privati. In effetti, le recenti scoperte di petrolio, gas
naturale, rame e altri minerali strategici, l’apertura e l’espansione di nuove
miniere in Mozambico, Niger, Sierra Leone e Zambia, laddove sono accompagnate
da una efficace governance politica ed economica, stanno favorendo una solida
crescita economica in tutto il continente. È opinione ancora della Banca
mondiale che, date le notevoli quantità di nuove entrate derivanti dai minerali
che si configureranno in tutta la regione, i paesi africani ricchi di risorse
dovranno investire con attenzione e con scrupolosità questi guadagni per
migliorare le condizioni sanitarie, l’istruzione e l’occupazione, ottimizzando
così le prospettive di sviluppo anche per le popolazioni locali. Inoltre,
sempre secondo stime della stessa Banca la popolazione giovanile dell’Africa
risulterà essere la più grande forza lavoro al mondo, sorpassando la Cina entro
il 2030 e l’India entro il 2040.
Un
progresso sostanziale si registra anche nel campo della telefonia mobile:
essendo assente la telefonia fissa, sarà possibile il boom dell’Information
and Communication Technology. La telefonia mobile al momento serve 700
milioni di utenti su una popolazione che supera il miliardo di persone. In
questo settore specifico delle telecomunicazioni, l’Africa risulta il secondo
mercato in più rapida espansione al mondo (il primo è l’Asia). Altre notizie
incoraggianti provengono dal ramo delle esportazioni verso l’Africa. Nei primi
mesi del 2013 si è visto crescere in modo forte l’esportazione verso i mercati
subsahariani di macchine e attrezzature per costruzioni. Infatti, mentre nel
2012 essa rappresentava il 6% del mercato mondiale di quel settore, ora invece
rappresenta il 26%, e sono più che raddoppiate le macchine esportate in
Sudafrica (110%).
Questo
dato positivo, va bilanciato con quello negativo circa le macchine e
attrezzature per il movimento a terra (-22%) e quelle stradali (-4,9%) – che può
significare meno strade -; mentre la crescita delle esportazioni mondiali verso
l’Africa di gru a torre e di macchine perforatrici, rispettivamente del 18,2% e
del 7,6%, può indicare un aumento delle attività estrattive e minerarie con il
risvolto positivo delle maggiori entrate economiche e quello negativo del loro
impatto sull’ambiente.
Nonostante
queste notizie molto confortanti e incoraggianti che auspicano la ripresa
economica dell’Africa, non si nasconde che nelle pieghe dello sviluppo
economico e finanziario si insinuano le identiche contraddizioni che
caratterizzano il capitalismo finanziario occidentale, in quanto all’aumento
del Pil corrisponde quasi sempre una ingiusta distribuzione delle risorse. È il
motivo per cui i vescovi africani nel messaggio conclusivo della riunione del
cornordinamento Giustizia e pace del Secam (Simposio delle Conferenze
Episcopali di Africa e Madagascar), svoltosi a Bujumbura, in Burundi, nel
novembre 2013, hanno lanciato il grido «No alla miseria». Nel testo i vescovi
elencano chiaramente le cause della miseria in Africa e Madagascar, esprimendo
un «netto rifiuto dello sfruttamento dei più poveri e dei più deboli, della
riduzione in schiavitù, del traffico dei nostri bambini e dei loro organi».
Denunciano inoltre «l’insicurezza crescente in alcuni paesi e regioni del
continente», ricordando «le violenze e le vessazioni criminali in Centrafrica,
i conflitti ricorrenti nella Repubblica Democratica del Congo, il fanatismo e
l’estremismo religioso in Nigeria, Mali, Egitto, Somalia, Kenya e Tanzania».
L’obiettivo è dunque quello di porre fine allo «sfruttamento ingiusto delle
nostre risorse naturali, con l’industria mineraria che provoca conflitti
violenti e criminali». L’auspicio, invece, è che «gli Stati africani abbiano il
coraggio di scrivere e votare delle leggi che proteggano le rispettive risorse
naturali», in modo da realizzare un «buon governo», che escluda «tutte le forme
di corruzione e cattiva gestione».
Giampietro Casiraghi