4_Orti: Contadina Provvidenza
Esperienze 3/ Cooperativa Cavoli Nostri
Dall’incontro tra due religiosi e un gruppo di giovani
nasce un’esperienza sostenibile. Grazie alla produzione orticola rifornisce un
centro per anziani del Cottolengo. Allo stesso tempo impiega persone
svantaggiate, dando loro un salario. Sempre con una grande fiducia nella
provvidenza.
In paese la indicano ancora con il nome antico, la
Colonia: una struttura settecentesca a due passi dal centro di Feletto (To),
circondata da sei ettari di terreno, sede dagli anni ‘40 della Piccola casa
della Divina Provvidenza (uno dei centri del Cottolengo di Torino) per
l’accoglienza di persone sordomute.
Nel tempo il numero di religiosi impegnati nella
struttura si è assottigliato, e i mezzi materiali hanno iniziato a scarseggiare
finché, nel 2007, la direzione della Casa è stata affidata a fratel Umberto
Bonotto, che ha deciso insieme al confratello Marco Rizzonato di «sfruttare» la
campagna a disposizione per rilanciare le attività agricole. Alcuni giovani,
venuti a conoscenza del progetto, si offrono «provvidenzialmente» di
collaborare nel ridare vita agli spazi in abbandono, accompagnati dalla
Coldiretti di Torino. Nasce così, nel 2011, la cornoperativa Cavoli Nostri. «Dopo
le prime perlustrazioni, insieme ad altri amici ci siamo innamorati del posto e
dello spirito che lo animava, e abbiamo iniziato a incontrarci una volta la
settimana per far crescere insieme il sogno di trasformare i terreni della
Piccola casa in qualcosa che, pur mantenendo la vocazione sociale, assumesse
però anche una valenza produttiva» racconta Silvia, 41 anni, socia volontaria
della cornoperativa sgorgata da quel sogno collettivo.
Silvia vive a Torino, dove lavora come psicologa e
collabora con l’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali), ma
appena ha un momento libero va a Feletto per fare anche lei la sua parte.
Seminare, zappare, togliere le erbacce, pulire… il lavoro non manca mai e i
volontari non si tirano indietro, qualunque sia la loro competenza
professionale: a parte Stefania, che per «puro caso» è agrotecnica di
professione, e Daniela, che è cresciuta in un’azienda agricola, ci sono
Martina, laureata in giurisprudenza, Elena, un’economista, Davide, impiegato…
13 soci in tutto, tra lavoratori e volontari, inclusi i due religiosi e tre
ospiti della Piccola casa in grado di lavorare.
Finora Cavoli Nostri ha ridato vita a 2,5 ettari dei sei
disponibili, impiegandoli per la coltivazione ortofrutticola. Il Cottolengo
concede i terreni in comodato d’uso, in cambio la cornoperativa fornisce alla
Piccola casa i prodotti necessari al sostentamento dei suoi ospiti, che oggi
sono una ventina, alcuni molto anziani, e tutti uomini.
«Ci sono anche 5-6 sordomuti, stiamo imparando il
linguaggio dei segni per comunicare meglio con loro» spiega Silvia. Mentre ci
accompagna a visitare le serre (ce ne sono tre già in funzione, ma ne stanno
montando altre per incrementare la produzione), Silvia ci racconta l’origine
del nome Cavoli Nostri. «Ci ha dato lo spunto fratel Marco, raccontandoci un
episodio della vita di San Giuseppe Cottolengo: per assistere i malati
rifiutati dall’ospedale, il Cottolengo aveva preso in affitto due stanzette a
Torino; poi però era scoppiata un’epidemia di colera ed era arrivato lo
sfratto. I volontari che aiutavano il santo erano disperati, non sapevano che
fine avrebbero fatto, ma lui li rassicurò dicendo: “Come il cavolo va
trapiantato per potersi riprodurre, così sarà anche per noi”. Detto fatto: il
Cottolengo prese in affitto un piccolo rustico, che fu all’origine dell’attuale
Casa della Divina Provvidenza di Torino, in grado di ospitare oggi centinaia di
persone».
Anche tra i soci della cornoperativa si respira quella «fiducia
nella Provvidenza» tipica del più genuino spirito cottolenghino: una fiducia
che spinge a non arrendersi davanti alle difficoltà, e a vivere secondo gli
ideali della sobrietà e della solidarietà. «Cerchiamo di fare buon uso delle
risorse a nostra disposizione, senza sprecare nulla, nel rispetto delle persone
e dell’ambiente» spiega Silvia mostrandoci la serra delle fragole: i bancali
con le piantine sono stati ricavati da vecchi letti del Cottolengo dismessi, e
sono rialzati da terra «così da permettere anche a chi ha problemi fisici di
poter lavorare, restando in piedi anziché a terra ginocchioni».
Se Cavoli Nostri continua la tradizione solidaristica
del Cottolengo, lo fa però in uno stile del tutto laico: «La cosa bella è che
pur trovandoci in una struttura religiosa viviamo nella piena libertà
d’espressione, credenti e non» spiega Silvia. «Quello che condividiamo sono valori
umani di solidarietà e di amore per il prossimo».
Cavoli Nostri è una cornoperativa sociale di tipo b che
cura la riabilitazione e l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate dai
18 ai 60 anni: disabili psichici e intellettivi, ma anche rifugiati politici. «Oggi,
con la crisi dello stato sociale e il declino di molti servizi essenziali, nel
nostro piccolo vogliamo dimostrare che si può fare welfare in modo nuovo,
raggiungendo la piena sostenibilità economica per uscire dalle logiche
dell’assistenzialismo» spiega Stefania, socia volontaria di Cavoli Nostri. «Adesso
con la vendita ortofrutticola riusciamo a retribuire alcuni dei nostri ragazzi,
anche grazie all’apertura di un punto vendita diretto». Dallo scorso giugno
infatti Cavoli Nostri è aperto al pubblico tutti i sabati mattina (nella bella
stagione anche mercoledì pomeriggio). «Ogni sabato abbiamo una cinquantina di
acquirenti, non è poco se consideriamo che qui in paese quasi ogni abitante ha
il proprio orto», spiega Stefania. «Molti vengono a comperare dalla città,
lavoriamo grazie al passaparola e rifoiamo anche alcuni gruppi d’acquisto. I
nostri prodotti sono molto apprezzati perché, oltre alla componente “sociale”,
sono biologici al 100%; almeno di fatto visto che non abbiamo ancora concluso
le pratiche per la certificazione».
A Torino c’è un ristorante, Le Papille, che ha iniziato
con la passata di pomodoro di Cavoli Nostri e adesso propone ai clienti anche
gli altri prodotti della cornoperativa. «Il nostro sogno sarebbe aprire un
laboratorio per la trasformazione di sughi, conserve, confetture, in modo da
attivare qualche inserimento lavorativo in più» racconta Silvia. Nel frattempo
per trasformare i prodotti, Cavoli Nostri lavora in rete con altre realtà della
provincia, accomunate dalla filosofia dell’agricoltura sociale, come la cascina
Amalterna di Borgiallo, in Valle Sacra, e l’Agricò di Pecetto, che ha vinto
l’Oscar Green 2011 e offre inserimento lavorativo alle vittime di tratta.
«Non è sempre facile far capire ai consumatori il valore
del cibo sano» dice Silvia, «all’inizio qualche cliente, contento di sostenere
il progetto d’inserimento dei ragazzi, si lamentava però dell’aspetto estetico
dei prodotti, dei calibri della frutta, ecc. In questi casi rispondiamo che “per
noi la differenza è un valore, in tutte le sue manifestazioni!”».
Non contenti di produrre cibi buoni e biologici, a
Cavoli Nostri stanno anche studiando le pratiche eco-sostenibili
dell’agricoltura biodinamica. Inoltre, grazie al progetto La Carriola
finanziato dalla Compagnia di S. Paolo, hanno potuto dotare sia l’interno delle
serre sia l’esterno di un nylon biodegradabile per la pacciamatura
(copertura del terreno per mantenere l’umidità del suolo e proteggere dall’erosione)
che non danneggia l’ambiente.
Ma come vivono questa esperienza i ragazzi che ci
lavorano? Paolino, di 35 anni, è tra i più disponibili a raccontarsi: è
arrivato qui da circa un anno, e dopo un tirocinio di sei mesi è stato assunto
dalla cornoperativa. Paolino abita in un paese vicino e due – tre volte la
settimana viene a Feletto in treno per lavorare un paio d’ore, un impegno
compatibile con le sue possibilità. «Prima di questa esperienza non avevo mai
fatto il contadino» ci racconta, «mi piace molto venire qui, stare a contatto
con la natura mi rilassa la mente ed è bello vedere le cose che crescono». Dopo
qualche difficoltà iniziale, Paolino si è perfettamente ambientato e il suo
viso si illumina mentre ci racconta i piccoli-grandi incarichi che svolge nella
cornoperativa. «Tolgo le erbacce, curo le piantine di fragola, raccolgo i
fagiolini… Quel poco che guadagno è una grande soddisfazione, così so che ho
qualche soldo da parte in caso di bisogno». Magari per fare un regalo al
nipotino di 2 anni, per cui Paolino stravede… La chiacchierata s’interrompe,
per Paolino è ora di tornare in stazione. Ci saluta raggiante stringendoci la
mano e ci dice, dopo averci dedicato il suo tempo, «grazie della disponibilità!».
Le aree d’intervento dell’agricoltura sociale:
• riabilitazione/cura: per persone con gravi disabilità
(fisica, psichica/mentale, sociale) con una finalità socio-terapeutica;
• formazione e inserimento lavorativo: esperienze orientate
all’occupazione di soggetti a basso potere contrattuale o con disabilità;
• ricreazione e qualità della vita: esperienze rivolte a un
ampio spettro di persone con bisogni speciali, con finalità socio-ricreative
(agriturismo «sociale», fattoria didattica);
• educazione: per soggetti diversi che traggono utilità
dall’apprendere il funzionamento della natura e dei processi produttivi
agricoli;
• servizi alla vita quotidiana: agri-asili, accoglienza
diua, riorganizzazione di reti di prossimità per la cura e il supporto agli
anziani.
(Fonte: Francesco Di
Iacovo, «Agricoltura sociale: quando le campagne coltivano valori», Franco
Angeli 2008).
Stefania Garini